Domani, nel corso della 128° sessione del CIO (31 luglio al 3 agosto 2015) di Kuala Lumpur in Malesia, sarà decisa la città ospitante i Giochi Olimpici invernali del 2022. Non si tratta di una scelta particolarmente complessa per i membri del Comitato Olimpico Internazionale in quanto le città rimaste in gara sono solo due: Almaty in Kazakistan e Pechino in Cina. Era dal 1981, quando si dovette decidere la candidatura della seda per il 1988, che la scelta non avveniva che fra due sole rivali.
In effetti il percorso che ha portato le città che ambivano ad ospitare i Giochi invernali del 2022 è stato quantomai accidentato, al punto che, delle sei che avevano formalmente avanzato la propria candidatura, sono resistite solo le due asiatiche. Per differenti ragioni le altre quattro (Cracovia, Leopoli, Oslo e Stoccolma) hanno invece ritenuto opportuno fare un passo indietro.
Ad aprire la serie di defezioni era stata Stoccolma che il 17 gennaio 2014 ha rinunciato a portare avanti la candidatura dopo che il consiglio comunale era stato messo in minoranza sul tema. Il 25 maggio è stata la volta di Cracovia. Qui sono stati cittadini con un referendum ad esprimere con il 69,72% dei votanti la contrarietà ai Giochi invernali. Poco più di un mese più tardi, il 30 giugno 2014, anche Leopoli ha dovuto alzare bandiera bianca. In questo caso però le cause della rinuncia non sono da imputare al mancato supporto popolare. Per quanto la città ucraina non sia stata direttamente coinvolta nella guerra civile in corso nel Paese, l’acuirsi delle crisi politiche interne e delle tensioni militari con la Russia hanno costretto le autorità a rinunciare all’impresa, o quantomeno a posticiparla. Il primo ministro ucraino, Arsenij Jacenjuk, ha infatti dichiarato che “La candidatura di Leopoli per il 2026 potrebbe avere un’eccellente potenziale per la ripresa economica del Paese e potrebbe avere enormi benefici per l’intera società Ucraina”.
Il vero colpo per il CIO è però arrivato dal ritiro di Oslo, la città che più di tutte le altre appariva la chiara favorita. Nel caso della città scandinava è stato il governo su pressione dei partiti d’opposizione in parlamento, a togliere il proprio sostegno alla candidatura. La rinuncia ufficiale è avvenuta, non senza polemiche, il 1 ottobre. Secondo il tabloid norvegese “Verdens Gang” la rinuncia delle autorità scandinave è stata dettata in particolare dalla rigidità del CIO, il quale, oltre alla richiesta di creazione di corsie preferenziali e zone franche, pretendeva diversi privilegi (fra cui l’organizzazione per i suoi membri di un cocktail esclusivo e a carico degli organizzatori con il Re) che il rigore scandinavo non poteva tollerare.
Significativamente il passo indietro norvegese, che ha seriamente indebolito l’immagine del CIO, è arrivato pochi mesi prima della pubblicazione dell’Agenda 2020; un documento che ha portato dei significativi miglioramenti rispetto alle rigidità del passato sulla questione delle candidature. Per valutarne la sua reale efficacia bisognerà tuttavia attendere le candidature per il 2024.
Non c’è dubbio che le città candidate per il 2022 sono state negativamente influenzate dai mastodontici Giochi di Sochi organizzati dalla Russia nell’inverno 2014 e risultati più costosi di un’Olimpiade estiva. In questo senso non sorprende che le quattro città che si sono ritirate appartenessero a Paesi guidati da un regime liberal-democratico. Le pressioni dell’opinione pubblica e gli elevati standard imposti dal CIO si sono rivelati un efficace dissuasore per portare avanti quello che appariva più un peso che non un’opportunità.
Queste considerazioni non hanno invece toccato i governi cinese e kazako, nessuno dei quali può essere definito pienamente democratico. Detto questo la legittimità internazionale della Cina oggi è di gran lunga superiore a quella del 2001, quando ottenne i Giochi estivi del 2008 e la nazione gode peraltro di una stabilità economica e politica invidiabile. Per quanto possa apparire paradossale per un Paese che dall’indipendenza non conosce cambi di governo, proprio la stabilità potrebbe essere il principale limite del Kazakistan. Più che una Repubblica presidenziale infatti potrebbe essere definito una “Repubblica personale”, ma il suo “monarca”, il Presidente Nursultan Nazarbaev, si sta avvicinando all’età della pensione e il momento della “successione/transizione” potrebbe avvenire proprio alla vigilia dei Giochi.
Insomma, sebbene la candidatura della città kazaka sia più compatta, abbia più neve e sembri maggiormente allinearsi alla visione dell’Agenda 2020, è senza dubbio Pechino la grande favorita. L’ago della bilancia pende verso la capitale cinese sia leggendo il report fatto da un gruppo di lavoro del CIO sulle (allora tre) candidate, sia se si consulta il generalmente affidabile BidIndex elaborato dal sito gamebids,com. Decisive sembrano essere la superiore capacità organizzativa e le migliori garanzie in fatto di sicurezza che possono offrire i cinesi.
In attesa dei risultati che saranno ufficializzati domattina, quel che è certo è che dopo PyeongChang 2018 e Tokyo 2020 anche l’edizione del 2022 si terrà in Asia.
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