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Addio Teatro Valle

Amarcord romano

Di Carlos D'Ercole
Pubblicato il 11 Mar. 2013 alle 13:32

Dopo 30 anni la mia famiglia ha lasciato la casa di Via del Teatro Valle, quella in cui sono cresciuto, dove ho ospitato amici di tutto il mondo, che ho riempito di libri fino all’inverosimile.

Ha perfettamente senso che succeda adesso che il Valle della mia infanzia non esiste più.

Il Valle in cui accedevo dall’entrata secondaria con la complicità dei custodi e degli elettricisti per spiare le prove, per entrare furtivamente nei camerini nella speranza di salutare qualche attore famoso e poi infilarmi in un palco laterale vuoto un minuto prima dell’inizio dello spettacolo.

L’Asino d’oro di Paolo Poli, Canti di Scena di Vincenzo Cerami, I Cani del Gas di Marco Paolini: tre spettacoli che ricordo con affetto perché a ciascun autore riuscii a strappare cinque minuti di conversazione.

Poli citò continuamente Oscar Wilde, Cerami mi raccontò come l’incontro con Pasolini gli avesse cambiato la vita, Paolini mi descrisse la sua Belluno e mi firmò una copia di Viaggio in Italia di Piovene che ancora conservo.

Quel Valle è per sempre legato al mio passato, alla mia memoria più intima, che nessuna occupazione, nessun progetto nobile di rinascita può far resuscitare.

Perché la fisicità di un luogo non può riportare in dietro la stagione di una vita che si è per sempre conclusa.

È la stessa sensazione che racconta André Aciman in “False Papers” quando torna nella sua Alessandria d’Egitto, la città natale da cui è stato espulso con i suoi, e che non riconosce più. Perché non sono tanto i palazzi, i cinema, le strade a essere cambiati, è lui che non è più lo stesso, immerso in un ricordo mitico e nostalgico di una Alessandria che esiste solo nella sua mente.

Sono ormai sette anni che ho lasciato Roma. Ho sempre rivendicato con orgoglio una vita da nomade, in cui non ci si accontenta, sempre alla ricerca di un posto più stimolante, più elettrizzante con cui rimettersi in discussione.

Ma improvvisamente sento di essere diventato un “déraciné”, un uomo senza radici. Senza più un punto di appoggio, un riferimento, ora che la casa di famiglia non esiste più.

Addio Teatro Valle, chissà se fra cent’anni una targa o una scritta sbiadita su un muro ricorderà chi ti ha tanto amato.

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