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A Rio la favela è chic

Il dramma degli abitanti della favela Vidigal di Rio de Janeiro investita dal processo di gentrificazione

Di Elena Prodi
Pubblicato il 12 Feb. 2014 alle 07:50

“Sono nato e cresciuto in mezzo a questo schifo”. Ricardo non ci sta e stropiccia nervosamente tra le mani la sua maglietta azzurra. “Da piccolo, quando fischiavano i proiettili dei banditi, mi nascondevo sotto il letto o nella vasca da bagno. Un tempo, nessuno era tanto coraggioso da avventurarsi a Vidigal. Adesso siete tutti qui e avete preso il nostro posto”. Ricardinho, per gli amici, ringhia come un cane a cui hanno sottratto l’osso.

La notte è calda e ventilata ad Alto Vidigal, senza dubbio la discoteca più fortunata di Rio de Janeiro. Incastonata nel punto più alto del centro abitato della comunità, la struttura fatiscente in legno e cemento si fa perdonare da due terrazze affacciate sul mare. Ogni mattina, come un rito sacro, il sole affiora dall’acqua e dà il buongiorno alla favela prima di bruciare il resto della città. Piccolo feudo della droga e delle armi, Vidigal è stata ripulita due anni fa dai corpi della polizia pacificatrice che, in seguito alla presa del “morro” (montagnola poco elevata dove s’insedia la favela), ha seminato la comunità di presidi di sorveglianza. La pace e le vedute di rara bellezza hanno rapidamente gonfiato i prezzi delle abitazioni e l’odore di affari ha raggiunto le narici di molti imprenditori stranieri. Un austriaco ha comprato queste quattro mura e ne ha fatto il tempio della buona musica elettronica europea. I clienti rimangono stoicamente fino alle sei, nessuno vuole perdersi l’alba e i raggi del crepuscolo mattutino che illuminano i grattacieli lividi di Ipanema nell’ora più cruda.

“Sono nato e cresciuto in mezzo a questo schifo” tuona Ricardo battendo il pugno sul bancone di una baracchina che, di fronte alla discoteca, vende pizzette. I clienti, seduti ai tavolini di plastica, alzano il sopracciglio con aria annoiata. Io, divorata dai crampi della fame ma ancor più dalla curiosità, lo fisso. Quel ragazzo vestito solo di tatuaggi, braghette da spiaggia e Havaianas compra da bere e si siede al tavolo come se avesse colto l’invito. E’ stato messo alla porta, non gli permettono di entrare in discoteca. Sarà l’ora già molto tarda, sarà il dress code troppo informale, Ricardo resta fuori, scuote la testa e agita il bicchiere: “Venivo spesso qui con i miei amici e potevamo fumare marijuana. Conosco la bigliettaia, abita due porte dopo la mia, non mi lascia entrare, lavora per quell’austriaco che si è comprato il locale”. L’accusa allo spirito imprenditoriale europeo è feroce.

“Sono nato e cresciuto in mezzo a questo schifo” e gli occhi di Ricardo si colmano di lacrime. Due anni fa, la sua famiglia ha venduto la casa a uno straniero per 60 mila reais (quasi venti mila euro), quando un tempo ne valeva solo 4 mila (poco più di mille euro). La sua famiglia non aveva mai visto tanto denaro tutto insieme e hanno colto l’opportunità per pagare le spese mediche della madre ammalata.
Oggi, c’è chi è disposto a pagare quella stessa casa 300 mila reais, sostiene. Un tempo Vidigal era uno dei metri quadrati più economici di Rio, si facevano affari e si affittavano stanze per 300 reais. Adesso a meno di 600 reais non si aprono le trattative e la comunità si è aggiudicata il soprannome di favela “chic”. Anche se lo splendido panorama non riempie lo stomaco, Ricardo non vuole abbandonare la sua Vidigal. Con calce e mattoni si è costruito un loculo a ridosso della casa di un amico.

“Sono nato e cresciuto in mezzo a questo schifo” ripete in maniera incontrollabile, quasi avesse un tic. “Vengono da fuori per comprarsi il nostro morro, adesso non hanno più paura di noi!” rincara beffardo.
Come tanti altri nativi della comunità, Ricardo vive il dramma di chi ancora non riesce a integrarsi con gli stranieri, i cosiddetti “gringos”, che iniziano a popolare il morro. Vidigal è una delle favelas di Rio che più è stata investita da quel treno in corsa che è il processo di gentrificazione, ovvero la riqualificazione di aree di degrado edilizio quando un gruppo sociale più abbiente di quello residente mette mano al portafoglio e investe in progetti di restauro urbano. Ne conseguono un aumento dei costi abitativi e la sostituzione della classe più ricca a quella di basso reddito che, disperdendosi in altri municipi, assiste impotente all’allentamento dei legami comunitari consolidati nel tempo. Quest’ultimo fenomeno è oggi la cicatrice più evidente sul volto di Vidigal e di tante altre comunità da quando la classe media ha scoperto le favelas. Oggi, i gringos più curiosi imbracciano macchine fotografiche come fossero fucili e partono per safari urbani in questi luoghi miserabili. Alcuni non perderanno l’occasione di giocare a fare i poveri affittando una stanza per qualche settimana durante la Coppa del Mondo o le Olimpiadi.

“Sono nato e cresciuto in questo schifo di posto, ma grazie per avermi ascoltato. Mi piace molto fare amicizia” commenta un’ultima volta Ricardo mentre mi regala la sua maglietta tutta spiegazzata, dimostrando silenziosamente che il problema risiede nel “come”, non nel “chi”. Non pochi sono gli stranieri residenti già da tempo nelle favelas e se alcuni di loro sono ben integrati è perché hanno saputo farsi umili davanti agli umili e non parlare con la voce grossa del denaro.

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