Nel 1783 John Michell aveva ipotizzato la loro esistenza, nel 2016 ne avevamo avuto la conferma, ma soltanto da pochi giorni l’uomo ha potuto “osservare” la traccia di uno di essi. Stiamo parlando dei buchi neri e in particolare di Messier 87, situato al centro della galassia Virgo A (o M87), distante circa 55 milioni di anni luce.
Un successo, che è arrivato nella stessa settimana del 58esimo anniversario del viaggio di Jurij Gagarin, il primo uomo nello spazio. Fra pochi mesi, ci sarà un’altra speciale ricorrenza: i cinquant’anni dallo sbarco sulla Luna.
Per l’occasione e per far chiarezza sull’importanza delle recenti scoperte, è stato intervistato da Vincenzo Fiore in esclusiva per TPI, l’astronauta Umberto Guidoni. Guidoni è stato due volte in missione a bordo dello Space Shuttle della Nasa, nonché il primo astronauta europeo a visitare la Stazione Spaziale Internazionale.
Come al solito la realtà sta a metà strada fra i due estremi. Non è una foto nel senso classico del termine, è un importante risultato di analisi dei dati. Quello che è fondamentale è che queste ricerche hanno dimostrato la validità della teoria di Einstein, che già conoscevamo, ma in questo caso c’è stata un’ulteriore ed estrema verifica.
Dunque, è sicuramente un ottimo risultato, un passo avanti nella conoscenza, ma non è certo però il risultato del secolo come qualcuno lo ha descritto.
Ciò che prima era conosciuto soltanto a livello teorico, fino a qualche decennio fa, ora lo conosciamo attraverso prove concrete, di tipo “fotografico”. In questo caso si tratta di radiazioni elettromagnetiche che non sarebbero visibili a occhio nudo, che noi individuiamo e tracciamo grazie all’ausilio di strumenti.
Sono cambiate tantissime cose. Lo sbarco sulla Luna rimane un’impresa eroica, soprattutto perché effettuata negli anni ’60. Gli sforzi che hanno permesso all’uomo di mettere piede sul suolo lunare hanno portato allo sviluppo di tecnologie che oggi ci rendono più semplice la vita.
Per molti anni abbiamo continuato a investire nelle imprese spaziali umane, però sempre vicino all’orbita terrestre, arrivando alla costruzione della Stazione Spaziale Internazionale.
La Stazione ha dimostrato come si può vivere e lavorare nello spazio, ma anche un’altra cosa importantissima: che per esplorare l’universo e per lavorare bene, occorre cooperare. Non a caso ci lavorano 15 paesi, fra cui Stati Uniti e Russia che negli anni dello sbarco lunare erano in piena Guerra fredda.
Ciò ha permesso anche a noi europei di stare al passo con le due potenze. Oggi si sta pensando nuovamente all’esplorazione dello spazio al di fuori dell’orbita terrestre e quindi si riparla della Luna e di ritornarci in tempi non lontani, forse entro un decennio. L’obiettivo più lontano poi è sempre Marte.
C’è moltissimo ancora da scoprire, ma oggi abbiamo un’idea abbastanza chiara di come l’universo è nato, di come si è evoluto e di come si è trasformato in quello che conosciamo oggi.
Le osservazioni sui fenomeni estremi, come ad esempio i buchi neri, ci fanno ben sperare sul fatto che abbiamo almeno compreso le regole generali dell’universo.
Ci sono poi altri fenomeni che non riusciamo ancora a spiegare, penso alla materia oscura che resta ancora un enigma. Il solo fatto che però siamo oggi qui ad interrogarci su tali questioni, un tempo impensabili, ci permette di comprendere gli enormi passi in avanti della scienza.
La sfida del XXI secolo è sicuramente quella di mettere insieme le due teorie fondamentali che stanno alla base delle nostra comprensione dell’universo, ma che non vanno d’accordo l’una con l’altra.
Sto parlando della teoria quantistica, che riguarda i fenomeni di scala infinitesimale e della teoria della relatività generale, che riguarda i fenomeni in grande scala. La conciliazione di queste due teorie ci aprirà sicuramente nuovi interrogativi, ma ci permetterà di ottenere grandi risultati.
In linea di principio è certamente possibile. Con i nuovi telescopi spaziali e con gli osservatori costruiti sulla Terra è stato possibile rivelare la presenza di pianeti, fuori dal nostro sistema solare, in prossimità di alcune stelle.
Sono stati osservati pianeti dove la formazione della vita è possibile. Allora la domanda che sorge spontanea è questa: “È possibile che fra miliardi di pianeti soltanto uno sia abitato?”. Sarebbe difficile giustificarlo.
Un famoso astrofisico americano diceva che se la Terra fosse l’unico pianeta abitato, ci sarebbe un grande spreco di spazio. Sicuramente quindi esistono pianeti abitabili e magari anche abitati. Se esistano forme di vita in grado di costruire civiltà come la nostra, o addirittura ancora più avanzate, questo non possiamo saperlo.
Invece, se possa esserci un’eventualità di entrare in contatto con una civiltà sconosciuta, questo risulta ancora più improbabile. Non è impossibile, ma quanto sia probabile non possiamo sostenerlo.
È certamente una grande emozione, per certi versi anche contrastante. C’è la meraviglia, la spettacolarità di vedere il proprio pianeta che ti scorre sotto in pochissimo tempo.
Quando si è in orbita occorrono soltanto 90 minuti per fare un giro completo, cioè nel tempo di una partita di calcio si fa il giro intorno alla Terra.
È possibile osservare gli oceani, i continenti e le bellezze infinite di questo pianeta. Nello stesso tempo però, si constata come sia fragile quest’oasi circondata di nero e quanto quest’oasi sia danneggiata proprio dalla presenza dell’uomo: si vedono infatti gli incendi, lo smog, la deforestazione.
Sicuramente. Una cosa che mi ha colpito molto: quando si percorre un’orbita, per metà del tempo è giorno, mentre nell’altra metà è notte.
Quando si osserva la Terra di giorno non si vede traccia dell’umanità, si vedono i colori della vegetazione, i corsi d’acqua, quando la si percorre di notte si vedono le luci delle città.
Quindi si vivono due emozioni contraddittorie: ci si rende conto di quant’è piccola la nostra traccia all’interno del cosmo e, contemporaneamente, quanto può essere invasiva la presenza dell’uomo.
No, sicuramente non riusciremo mai a spiegare tutto. Ritornando alla cronaca di questi giorni, sappiamo ad esempio che quella macchia nera che abbiamo osservato da quella immagine, non riusciremo mai ad esplorarla.
Perché le leggi della fisica ci impediscono di vedere cosa ci sia dentro. Possiamo limitarci a fare delle ipotesi, ma non abbiamo un modo per verificare. Sappiamo che l’universo è nato dal Big Bang, ma non sapremo mai cosa c’era prima e neanche quello che ci sarà dopo.
Resteranno dei punti che la scienza non sarà capace di indagare, ma la cosa più affascinante per tutti noi e per i giovani, è avere la certezza che possiamo conoscere e comprendere il mondo intorno a noi.