Un team formato da scienziati britannici e italiani ha fatto i primi passi verso una nuova forma di analisi per la diagnosi dell’autismo.
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Attualmente, non ci sono test biologici che possono individuare la condizione, che viene diagnosticata solo attraverso valutazioni comportamentali da parte di medici specialisti.
L’autismo influisce infatti sul comportamento e in particolare sull’interazione sociale, ma è difficile da individuare e di solito non viene diagnosticato prima dei due anni, o, spesso, molto più tardi.
E i test di chimica clinica per il disturbo dello spettro autistico (ASD) non sono attualmente disponibili.
In Italia, sono circa 100mila i bambini e gli adolescenti che hanno ricevuto una diagnosi di autismo: un bambino su 100, con una frequenza 4 volte più alta fra i maschi.
L’osservatorio Autismo della Regione Lombardia, indica una prevalenza minima di 4,5 casi ogni 10mila, per la fascia corrispondente alla scuola elementare il dato sale sopra il 7 per 10mila.
Inoltre, le statistiche mostrano che i tassi di incidenza sono aumentati dal 10 al 17 per cento ogni anno.
Non c’è una spiegazione condivisa di questo continuo aumento ma il fattore spesso citato, riguarda proprio il miglioramento del processo diagnostico.
E, secondo lo studio inglese, pubblicato sulla rivista britannica di autismo molecolare (BMC – MA) il 19 dicembre scorso, sarà forse possibile determinare la presenza della malattia attraverso esami del sangue e delle urine.
Il loro studio, ha testato bambini con e senza la condizione di autismo e ha trovato livelli più elevati di danno proteico in quelli con il disturbo.
Trentotto bambini con ASD (29 maschi, 9 femmine, età 7,6 ± 2,0 anni) e 31 controlli sani di età corrispondente (23 maschi, 8 femmine, 8,6 ± 2,0 anni) sono stati reclutati per questo studio.
“La glicemia proteica plasmatica, gli addotti di ossidazione e nitrazione e il metaboloma degli amminoacidi nel plasma e nelle urine sono stati determinati mediante cromatografia liquida con spettrometria di massa tandem e analisi di diluizione isotopica stabile. Sono stati quindi impiegati metodi di apprendimento automatico per esplorare e ottimizzare combinazioni di dati di analiti per la diagnosi di ASD”, si legge nello specifico.
I ricercatori cioè hanno cercato differenze chimiche nel sangue e nelle urine di 38 bambini autistici e 31 bambini che non presentano la sindrome, tutti di età compresa tra i 5 e i 12 anni.
Scoprendo che nei bambini affetti da autismo i livelli di danno alle proteine, in particolare nel plasma sanguigno, erano più alti.
“Le cause genetiche di ASD sono evidenti in circa il 30-35 per cento dei casi. Per il restante 65-70 per cento dei pazienti, è generalmente riconosciuto che i risultati ASD derivano dalla combinazione di fattori ambientali con più mutazioni de novo, variazione del numero di copie e varianti genetiche rare, ognuna delle quali può prestarsi ad effetti additivi”, si legge ancora nella nello studio, che specifica quanto sia difficile la diagnosi della patologia nei casi in cui non c’è un’evidenza di derivazione genetica.
“Ci si aspetta che migliori prestazioni diagnostiche possano essere raggiunte con un numero relativamente piccolo di analisi di biomarker legati al meccanismo patogenetico dell’ASD”, concludono i ricercatori affermando quindi che questi test potrebbero portare in definitiva al rilevamento precoce della condizione, che può essere difficile da diagnosticare.
Ovviamente esperti hanno espresso anche cautela, affermando che un test del genere sarà ancora lontano dall’essere applicato e confermato.
La dottoressa Naila Rabbani, dell’Università di Warwick che ha partecipato alla ricerca sostiene che “c’è il metodo, c’è tutto, tutto ciò che dobbiamo fare è ripeterlo” e che quando i test saranno pronti per lo screening “sarebbe molto bello andare avanti con i bambini più piccoli, forse due anni o addirittura un anno”, ampliando lo studio.
E ha aggiunto che il suo desiderio è che la ricerca riveli anche i fattori di causa dell’autismo e, attraverso questo, migliorarne la diagnosi.
Tuttavia, altri ricercatori hanno espresso cautela sullo studio appena pubblicato.
James Cusack, medico direttore della scienza presso l’ente britannico di ricerca sull’autismo Autistica, ha dichiarato: “Questo studio potrebbe fornirci indizi sul perché le persone autistiche sono diverse ma non fornisce un nuovo metodo per la diagnosi”.
“Non sappiamo se questa tecnica possa chiarire la differenza tra autismo, ADHD, ansia o altre condizioni simili. Lo studio ha riguardato solo un piccolo gruppo di persone”, continua, sostenendo che il modo migliore per diagnosticare l’autismo sia ancora attraverso l’intervista clinica e l’osservazione”.
Anche secondo Max Davie, medico e professore del Royal College of Paediatrics and Child Health, si tratterebbe di un’area di ricerca promettente, ma che è “molto lontana da un test definitivo per l’autismo”.
Secondo il medico quindi “mentre si applaude l’arrivo di questa interessante area di ricerca, è importante che però non sia adottata con troppo entusiasmo: se applicato a una grande popolazione produrrà un gran numero di “falsi positivi “, causando enormi preoccupazioni e potenziali danni bambini e famiglie”.