La tecnologia tDCS sta raccogliendo sempre più interesse e le sue applicazioni aprono orizzonti sempre più ampi. Acronimo di Stimolazione Transcranica a corrente diretta continua, il suo utilizzo è sia curativo che di potenziamento.
Da un lato può infatti diventare strumento per il trattamento di condizioni patologiche piuttosto diffuse come il morbo di Parkinson, la demenza di Alzheimer, la Sclerosi Multipla o ancora il dolore cronico. Dall’altro può svolgere un prezioso aiuto per le varie dipendenze, la riabilitazione dopo eventi come ictus e traumi, da disturbi che colpiscono la psiche come depressione e ansia. Questa tecnologia viene sempre di più utilizzata in ambito sportivo per la sua funzione di potenziamento.
Una debole corrente elettrica continua di intensità costante tra 1-2 mA viene applicata al capo attraverso un caschetto con elettrodi rivestiti da spugna sintetica imbevuta da soluzione salina. Chi lo usa non percepisce nulla, il sistema è sicuro e senza controindicazioni.
Per scoprire di più TPI ha incontrato la dottoressa Elisabetta Geda dell’IRR, Istituto delle Riabilitazioni RIBA, a Torino. Un centro all’avanguardia per l’utilizzo delle ultime tecnologie in ambito medicale e Collaborating Center of Sports Medicine della Federazione Internazionale di Medicina dello Sport.
La dottoressa Geda spiega: “In qualche articolo è stato erroneamente definito un metodo sperimentale, in realtà è una tecnica nata negli anni Cinquanta ed è migliorata grazie alla tecnologia di controllo, al dispositivo di supporto e nella connessione, ora senza più ingombranti cavi e materiali poco confortevoli. Gli atleti o i pazienti non sono usati come cavie. Le modifiche avvengono per trovare il miglior protocollo possibile. Sull’utilità e l’efficacia è assodato, noi lavoriamo sulla modalità”.
Il centro IRR segue i ciclisti del team Bahrain Merida di Vincenzo Nibali, e Vittoria Bussi, detentrice del record dell’ora femminile. Gli atleti vengono seguiti nel tempo e in loco con trattamenti di potenziamento, neuropsicologia e psicologia dello sport, un programma a tutto tondo. Oppure anche da remoto come nel caso della squadra dello Squalo dello Stretto.
“Ogni disciplina sportiva ha una sua particolarità, il ciclismo è ideale per l’endurance e il recupero“, ci racconta la dottoressa Geda. “Dunque il potenziamento di un’attività che non è intensa e breve, ma su uno sforzo di lungo periodo. In questo caso si va a stimolare il cervello durante un’attività rilassante come può essere il massaggio, che favorisce il recupero e va a potenziare l’azione meccanica e fisiologica di questo trattamento post-tappa. In altri sport in cui conta il gesto tecnico si lavora ad esempio sulla corteccia frontale dove vengono gestite le funzioni cognitive superiori, di alto livello“.
“Una volta trovata la configurazione migliore, il nostro cervello lavora per neuroplasticità. Dando uno stimolo, si attivano i neuroni che si adattano all’ambiente e alla situazione. Quando l’attività finisce, il cervello dopo breve tempo si riadatta per la nuova attività”.
“Se l’attività viene ripetuta, il network creato rimane più stabile e diventa qualcosa di fermo e più facile da riattivare con un minore stimolo. Per questo motivo la stimolazione ha senso se ripetuta sempre uguale. L’effetto apprendimento fa sì che basti poco per riattivare l’assetto di recupero generale”.
“In ogni stimolazione c’è sempre un anodo e un catodo con un potenziale positivo che eccita la corteccia sottostante e una iperpolarizzazione dove la corteccia non è così facile da attivare”
“Dunque, con due punti di stimolazione si avrà una corteccia inibita. Lavorando in modo qualitativo con più canali e più elettrodi, si riesce a minimizzare questo aspetto. Ed è qui che andiamo a lavorare e dove si può fare la differenza”.
Il flusso di corrente da un elettrodo all’altro modifica i potenziali di membrana dei neuroni modulando l’eccitabilità della corteccia cerebrale e, di conseguenza, l’attività neuronale di una determinata area del cervello. Il risultato è che si può aumentare o diminuire la funzionalità a livello cognitivo, comportamentale e motorio.
Molti atleti utilizzano uno strumento non costoso chiamato Halo che si può acquistare anche su Amazon e che appare come una sorta di cuffie per ascoltare la musica.
“È evidente che da un lato si ha un dispositivo generalista e per nulla personalizzato e dall’altro l’esatto opposto; un po’ come scattare una foto in automatico con un cellulare economico e con una reflex con lenti professionali con tutte le configurazioni manuali”.
La dottoressa Geda: “Seppur la tecnica sia la medesima di fondo, con tDCS abbiamo la possibilità di eseguire buone simulazioni di ciò che sta avvenendo e come si vanno a modulare gli stimoli. Con Halo, se l’atleta sbaglia anche di mezzo centimetro si va a stimolare un’area di cervello completamente diversa. E non c’è controllo visto che si può utilizzare 4-5 volte al giorno invece che solo una come con tDCS”.
“Il software proprietario della macchina utilizzata è sviluppato da Neuroelectrics e può essere utilizzato anche per la ricerca. È così possibile osservare come si è modificata nel corso delle sedute l’attività celebrale. La comunicazione è Bluetooth fino a 20 metri. La batteria dura fino a cinque sedute circa”.
“Gli elettrodi si montano poi si opera un check per l’impedenza utilizzando una pinzetta che si applica al lobo dell’orecchio e che fa da terra e che funge da controllo continuo. Qualora ci fosse un’impedenza eccessiva rispetto a quella impostata si blocca tutto e in qualunque situazione”.
“Cambia da persona a persona, ad esempio per alcuni pazienti con cervello meno plastico i miglioramenti possono fermarsi dopo diverse sedute, per i cervelli molto plastici basta poco per sentire subito benefici.
Ci sono pazienti ipersensibili che provano fastidio, bruciore, ma spesso l’origine è anche psicosomatica, con effetti collaterali non documentati a livello statistico. In questo caso si agisce semplicemente abbassando l’intensità della corrente.
Dal laboratorio viene impostato il programma di stimolazioni, gli atleti da remoto accedono alla piattaforma con una password tramite una normale connessione a Internet per ricevere i dati dopodiché una volta ricevuti vengono scaricati e tutto è programmato. Loro hanno solo due comandi, ossia il check dell’impedenza che va eseguito sul momento (indossando il cassetto) e poi il tasto start. Possono controllare la seduta successiva, ma non possono accedere prima del tempo”.
“Lo abbiamo riscontrato, sì, i cavi fanno ancora paura e la terapia elettroconvulsiva spaventa ancora in Italia”.
In merito alla collaborazione con la squadra professionistica di ciclismo Bahrain Merida capitanata da Vincenzo Nibali, Domenico Pozzovivo (foto) è stato il tester più prezioso di tCDS nel corso del 2018. TPI ha incontrato lo scalatore lucano in occasione del training camp dello scorso dicembre in Croazia sull’isola di Hvar. “In questo periodo storico in cui, anche nel ciclismo i marginal gains possono fare la differenza questa si presenta come una tecnologia molto interessante, per nulla invasiva, che principalmente ottimizza le capacità di recupero.
Visto che potrebbe essere un problema trovare il tempo giusto per un trattamento, soprattutto durante un grande giro, poterlo fare durante il massaggio è perfetto perché sfruttiamo questo momento. Non crea problemi effettuarlo durante altre attività, anzi l’effetto è migliore. Basta rimanere statici”.
Il percorso è iniziato a febbraio, proseguendo alla Tirreno Adriatico e, soprattutto, al Giro d’Italia 2018 che era l’appuntamento più importante della stagione: “Al Giro lo abbiamo sfruttato in modo continuativo. Il mio protocollo durava circa 25 minuti, ma può cambiare in base all’obiettivo, senza però essere mai superiore ai 30 minuti”.
“Si può provare una leggera sensazione di calore che poi scompare dopo pochi secondi. L’effetto di rilassamento, soprattutto se si è predisposti a isolarsi dal contesto e concentrarsi, è immediato. Ho notato che la qualità del sonno è stata nettamente migliore rispetto agli anni precedenti, addormentandomi prima e svegliandomi più riposato. Anche monitorando i parametri del sonno con altre strumentazioni ne abbiamo avuto conferma”.
“È stato semplice. C’è un’applicazione specifica che controlla che catodo e anodo siano attivi e sistemati in modo ideali e anche la trasmissione di elettricità. Dopo questo check iniziale il sistema fa partire il protocollo. In caso di problemi ad esempio a livello di segnale si può intervenire.
Visto che ho una capigliatura più folta, ho dovuto bagnare di più le spugnette perché la soluzione salina facilita il passaggio della corrente. Il mio feedback era eventualmente sull’insorgere di fastidio, ma non ne ho avuti. Continuerò a utilizzarlo questa stagione e spero di trovare ulteriori informazioni, ma non escludo di utilizzarlo anche al di fuori del periodo di allenamento o di corsa, a casa”.
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