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Cosa ci rende complessi

Alcuni scienziati della University of Portsmouth si sono chiesti che cosa renda l'uomo più complesso di un verme o di un moscerino e sono riusciti a identificare per la prima volta i geni che determinano la complessità di una specie

Di Emma Zannini
Pubblicato il 12 Ott. 2017 alle 16:28 Aggiornato il 17 Nov. 2017 alle 20:39

Alcuni scienziati della University of Portsmouth si sono chiesti che cosa renda l’uomo più complesso di un verme o di un moscerino e sono riusciti a identificare per la prima volta i geni che determinano la complessità di una specie.

Comunemente si pensa che questa caratteristica sia legata al numero di tipologie di cellule diverse presenti in un animale, quindi muscolari, della pelle, neuroni e così via. Ad esempio un verme usato di frequente nei laboratori, il Caenorhabditis elegans, ha solo 29 tipi di cellule, mentre l’uomo ne ha circa 170.

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Colin Sharpe e la collega Daniela Lopes Cardoso hanno quindi tentato di scoprire quale fattore determini la diversità cellulare e hanno analizzato un numero elevatissimo di dati sui genomi di nove diversi animali, dall’uomo fino al moscerino.

Durante la ricerca hanno osservato che alcuni particolari geni nelle specie più complesse codificano per un numero più alto di proteine e quello che questi geni avevano in comune ha sorpreso gli scienziati.

“Il risultato non è quello che ci saremmo aspettati di trovare”, afferma Sharpe, “al posto di quello che regola l’espressione dei geni, abbiamo infatti identificato il gene che regola la struttura e l’architettura della cromatina”.

La cromatina è quella che forma i cromosomi nelle nostre cellule, quindi il DNA e le proteine, e la scoperta degli scienziati dell’Università di Portsmouth implica che ciò che ci rende diversi da un verme è il modo in cui il nostro materiale genetico è impacchettato.

Quanto rivelato dalla ricerca apre una serie di interrogativi sugli animali da usare come modelli negli studi, perché alcuni organismi potrebbero essere troppo semplici per riflettere la complessità dell’uomo.

“Se un processo biologico è molto più complicato negli esseri umani, non vale la pena usare un moscerino come cavia, bisognerebbe piuttosto cercare qualcosa di più complesso, come un topo o una rana”, dice ancora Sharpe.

Analisi basate su questi modelli si rivelerebbero in questo caso inutili e solo studi più approfonditi saranno in grado di portare ad una selezione più razionale e mirata degli animali.

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