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    Fake news sul Covid-19: intervista a Roberta Villa, della task force del governo contro le bufale

    Come orientarsi nell'infodemia senza cadere nella censura? "Non daremo etichette di veridicità, ma incoraggeremo il pubblico a seguire la scienza"

    Di Lorenzo Zacchetti
    Pubblicato il 9 Apr. 2020 alle 15:44 Aggiornato il 9 Apr. 2020 alle 21:34

    “Il nostro contributo sarà supportare le istituzioni attraverso proposte, analisi e strumenti che facilitino la diffusione di informazioni scientificamente affidabili sull’emergenza sanitaria, nella convinzione che il miglior contrasto alla cattiva informazione sia la capacità di ciascun cittadino di saper trovare da sé le notizie e le risposte di cui ha bisogno”, così recita il primo comunicato della task-force di esperti ai quali il Governo ha affidato la battaglia contro le fake-news sul Coronavirus.

    Formata dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Andrea Martella, che ha anche la delega all’editoria, la squadra è composta da professionisti di diversa estrazione: i giornalisti Riccardo Luna e Giovanni Zagni, i docenti universitari Ruben Razzante e Luisa Verdoliva, il debunker David Puente e Roberta Villa, giornalista e scrittrice laureata in medicina e chirurgia. La loro consulenza, è bene specificarlo, viene fornita a titolo gratuito, come contributo alla soluzione di un’emergenza che riguarda tutta la popolazione. Con Roberta Villa abbiamo parlato del non semplice progetto di divulgazione delle conoscenze scientifiche sul virus che sta paralizzando il mondo: “Non intendiamo distribuire etichette di ‘vero’ o ‘falso’ a quello che viene scritto”, spiega a TPI.

    “Non abbiamo certo un approccio censorio e questo orientamento è pienamente condiviso da tutte le persone che formano il gruppo di lavoro, pur avendo background diversi. Non ci occupiamo né di repressione, né di debunking: il nostro scopo è trovare delle strategie positive, per facilitare l’accesso alle evidenze scientifiche di quel determinato momento. Se poi qualcuno vorrà continuare a credere che il Coronavirus è stato creato in laboratorio per scopi bellici, non saremo certo noi a impedirglielo”.

    Come opererete, sul piano pratico?

    Oggi è impossibile dirlo. Il nostro compito consiste proprio nel trovare dei metodi, che però attualmente sono emersi solo in fase di brainstorming e quindi vagliati. L’importante è chiarire che lavoreremo per fornire un orientamento nell’infodemia, ovvero nel caos informativo nel quale siamo immersi. Il nostro punto di riferimento non sarà certo quello che dice il Governo, ma quello che dice la scienza.

    Ma non sempre i messaggi dalla scienza sono univoci. Ad esempio, la posizione dell’OMS sulle mascherine non è chiarissima…

    No, l’OMS è stata chiarissima, come sempre. Semmai, non è chiaro come le sue indicazioni siano state riportate in Italia. Sia l’OMS che il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie hanno un approccio chiaro sul punto: non ci sono prove scientifiche solide che questa misura possa essere efficace a ridurre il contagio, a meno che una persona abbia dei sintomi o debba curare qualcuno che li ha. In condizioni di carenza di mascherine, bisogna privilegiare il personale sanitario. Se il personale sanitario ne ha a sufficienza e si vogliono usare anche per la popolazione generale, lo si faccia pure, ma secondo alcune regole precise. Purtroppo alcune Regioni le hanno rese obbligatorie per tutta la popolazione, quando ancora i medici non ne hanno a sufficienza, ma questo è un mio giudizio personale, non a nome della task-force.

    Il punto, quindi, è come usare le mascherine?

    La questione è sia l’uso che se ne fa, sia il rischio di una falsa rassicurazione: non basta indossare la mascherina per poter ignorare il distanziamento sociale. Avvicinarsi troppo alle altre persone è sbagliato e ancora peggio è abbassare la mascherina per parlare: è la cosa più pericolosa che si possa fare. Tutto questo lo ha chiarito anche il Ministero. Il fatto che poi le Regioni assumano decisioni diverse è del tutto al di fuori del nostro ambito di intervento: non entreremo nel merito delle singole politiche. Il nostro compito non consiste nel dire se l’obbligo di mascherine vada bene o male, ma facilitare il pubblico nell’andare a trovare le informazioni scientifiche che possono chiarire i suoi dubbi. Bisogna anche far capire che le cose sono complesse: non esiste sempre e solo un ‘sì’ o un ‘no’, ma possono esserci diverse circostanze e modalità. Non saremo noi a dire se il provvedimento di una Regione sia giusto o sbagliato o se una determinata notizia pubblicata da un giornale sia vera o falsa. Non è assolutamente nel nostro mandato.

    Avrete una relazione con le singole testate, per contribuire a chiarire eventuali temi di difficile interpretazioni?

    Non discuteremo con i singoli giornali: il nostro è un ruolo che agisce più sul sistema che sui singoli casi. Non andremo mai a controllare la veridicità delle notizie pubblicate: quello è il compito dei debunker e semmai lo farà Puente, come ha sempre fatto. Noi cercheremo dei modi per aiutare la gente affinché di fronte a una notizia palesemente falsa si accenda un campanello d’allarme e ci sia il modo di verificarla. Avremo una collaborazione con le piattaforme online, per realizzare iniziative come quella già intraprese da Facebook, che suggerisce ai suoi utenti di andare sul sito del ministero della Salute, dove c’è già una pagina di FAQ che smonta le false credenze. Semplicemente diamo una consulenza su come favorire il fatto che la gente vada lì per informarsi, invece che altrove.

    Fino ad oggi, qual è la ‘fake news’ più clamorosa nella quale vi siete imbattuti?

    È difficile da dire. La situazione è in divenire e questo dà una chiara misura di come la scienza non sia una cosa granitica, bensì in continuo aggiornamento. All’inizio dell’epidemia si erano diffusi timori sulla possibilità che si ammalassero anche gli animali domestici e ovviamente allora rispondevamo che non c’erano prove del fatto. Col tempo, però, dei casi di felini positivi al Coronavirus ci sono stati, quindi oggi sappiamo che le tigri e i gatti possono essere contagiati, in certe condizioni sperimentali. Invece, rispetto ai cani, attualmente non ci sono casi conosciuti. Il termine ‘fake news’ ci induce a ragionare rigidamente in termini di ‘vero o falso’ e per questo sono un po’ restia ad usarlo. Bisogna uscire da questa dimensione semplicistica e distinguere tra cosa sia aderente alle conoscenze scientifiche di quello specifico momento e cosa invece no. La realtà è un po’ più complessa di quanto vorremmo, ci sono diverse sfumature di grigio. Spesso quelle che consideriamo ‘fake news’ nascono da un fondo di verità, che ci spinge a crederci. È importante ricostruire come un nucleo originale, magari decontestualizzato e ingigantito, possa dare vita a una valanga informativa fasulla.

    Sul fatto che il Coronavirus possa essere nato in laboratorio si continua a leggere molto…

    Se c’è una ‘fake news’ per eccellenza è quella sull’origine del virus in laboratorio, creato dagli americani per distruggere i cinesi (o viceversa, a seconda delle versioni). A Wuhan, epicentro della pandemia, c’è anche un laboratorio virologico di alta sicurezza, una coincidenza che fin dall’inizio della vicenda mi ha spinto a dire che questa ipotesi non era impossibile, ma molto meno probabile rispetto a quella di uno spillover naturale, perché i Coronavirus nella storia hanno già fatto varie volte questi passaggi da una specie all’altra. Di fronte all’ipotesi più semplice, di tipo naturale, è meno probabile che l’origine sia stata volontaria e oltretutto con effetti indesiderati: un’arma biologica dovrebbe distruggere i nemici in maniera controllata, non tutti indistintamente.

    Tuttavia, questo ancora non basta per escludere del tutto l’ipotesi?

    In seguito, grazie agli studi sul genoma, le prove a favore del fatto che l’origine del virus sia naturale sono aumentate sempre di più. Oggi l’ipotesi che sia stato prodotto in laboratorio è veramente remota. Nella scienza si può dimostrare quello che si vede, non quello che non si vede. Quello che vediamo oggi è che questo virus ha tutte le caratteristiche di un virus naturale. Non possiamo escludere nulla, ma è come il paradosso della teiera di Bertrand Russell: possiamo escludere che ci sia una teiera che ruota intorno a Marte? No, finché qualcuno non va in orbita a verificare che non ci sia. Tuttavia, fino a quando questo non succede, possiamo ragionevolmente possiamo comportarci come se la teiera non ci fosse. Il nostro scopo non è quindi distinguere tra vero e falso, ma favorire un metodo diverso di approccio all’informazione, che migliori il senso civico delle persone nei confronti di ciò che arriva da qualunque fonte. E’ chiaro che il messaggio vocale che gira anonimo su Whatsapp ha un’attendibilità diversa rispetto ad un’affermazione dell’OMS. Questo dobbiamo imparare a distinguerlo in termini gerarchici, ma nello stesso tempo dobbiamo tenere conto del fatto che la conoscenza può evolversi, soprattutto di fronte a una malattia nuova come questa, che stiamo imparando a conoscere.

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