Un missile balistico intercontinentale (Icbm) è una combinazione di due o più razzi, montati uno in cima all’altro, in modo da funzionare per stadi di accensione.
Il primo stadio infatti avvia i propri motori e una volta coperto parte del percorso, si stacca dal resto del razzo, permettendo al secondo e così via ai successivi stadi di accendersi e raggiungere il bersaglio, trasportando la testata esplosiva a destinazione.
Si tratta fondamentalmente della stessa tecnologia missilistica utilizzata per lanciare satelliti, telescopi e navicelle nello spazio.
Soltanto che in questo caso, un Icbm può trasportare un’arma nucleare, con un raggio di azione di oltre 8.850 chilometri.
Chi possiede questo tipo di arma? Al momento soltanto sette paesi sono stati in grado di sviluppare tali vettori.
Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Israele, India e Corea del Nord sono le uniche potenze nucleari a possedere questa tecnologia missilistica. Il Pakistan, pur possedendo armi atomiche non ha ancora sviluppato gli Icbm.
Lo sviluppo di tali missili richiede ingenti investimenti perché prevede la costruzione di un vettore stabile in grado di trasportare un carico di diverse tonnellate letteralmente dall’altra parte del mondo.
In più questo tipo di tecnologia è utile soltanto a paesi che posseggano già armi nucleari, armare un missile balistico intercontinentale con esplosivi convenzionali sarebbe infatti una scelta militare inefficiente in un’ottica costi-benefici.
Un governo dovrebbe poi possedere una valida motivazione strategica per affrontare le spese e i costi, anche in termini di consenso interno e di reputazione internazionale, necessari per sviluppare armi di questo tipo.
Soltanto potenze che aspirino a ricoprire un ruolo globale o che affrontino reali o presunti nemici dall’altra parte del pianeta hanno interesse a investire ampie quantità di denaro in progetti militari tanto costosi.
Questo tipo di tecnologia fu sviluppata per la prima volta da Stati Uniti e Unione Sovietica e trovò un fondamentale impiego strategico nell’ambito della cosiddetta MAD Theory, la teoria della distruzione mutua assicurata.
Poiché infatti entrambe le superpotenze di allora potevano lanciare missili dotati di testata nucleare miniaturizzata sia da basi terrestri, che da sottomarini nucleari che da bombardieri strategici, ogni utilizzo di simili ordigni da parte di uno dei due contendenti avrebbe distrutto sia l’attaccante che l’attaccato.
Questa situazione di stallo determinò l’impossibilità di un conflitto globale tra le due superpotenze e portò a quella che fu chiamata “guerra fredda”, un conflitto asimmetrico in cui entrambe le parti si fronteggiavano senza mai scendere apertamente sul campo.
A seguito della caduta del muro di Berlino, tra il 1991 e il 2010 Stati Uniti e Russia hanno stipulato diversi accordi per limitare il proprio arsenale missilistico e atomico.
In particolare, nell’accordo cosiddetto New START, firmato a Praga dagli allora presidenti Barack Obama e Dmitrij Medvedev nell’aprile 2010, i due paesi hanno fissato a 1.550 il numero di testate e bombe nucleari e a 700 il numero di missili Icbm operativi che ciascuna delle due potenze può detenere.
Tuttavia con il proliferare delle armi atomiche, anche attori regionali quali India, Israele e Corea del Nord hanno scelto di dotarsi di tali vettori come forma di deterrenza nell’ambito di conflitti locali.
Com’è fatto dunque un missile balistico intercontinentale? Come detto, questo tipo di razzo è formato da più stadi che si accendono a diversi intervalli in modo da aumentare la gittata dell’arma.
Uno dei problemi relativi allo sviluppo di tali missili è proprio il rapporto tra la distanza che il razzo deve raggiungere e il peso della testata che vi deve essere montata in cima.
David Wright, fisico e co-direttore del UCS Global Security Program, un’organizzazione scientifica internazionale per il controllo e la messa al bando delle armi atomiche, spiega che se un missile con una gittata di 300 chilometri, come lo Scud statunitense, richiede una massa che sia soltanto cinque volte quella della testata esplosiva, allora per trasportate un’arma nucleare di una tonnellata, lo stesso razzo dovrà pesare cinque tonnellate.
Per raggiungere un bersaglio a una distanza di oltre settemila chilometri, un missile dovrebbe pesare cento volte la testata nucleare che vi è montata sopra. Quindi per una tonnellata di arma atomica da trasportate, ci vorrebbe un vettore che pesi 100 tonnellate.
Per questo non è possibile costruire un razzo unico che copra quel tipo di distanze e bisogna affidarsi ad armi a stadio multiplo. Un missile a tre stadi infatti che trasporti un carico di una tonnellata a 10mila chilometri di distanza richiede una massa tra le 80 e le 90 tonnellate.
Come funziona il lancio di un’arma del genere? Nel caso del missile balistico intercontinentale statunitente LGM-30 Minuteman III, inizialmente il razzo decolla grazie alla spinta del primo stadio.
Passato un minuto, questo si spegne, sganciandosi dal missile e permettendo al secondo stadio di accendere i propri motori.
A due minuti dal lancio, si avviano i motori del terzo stadio subito dopo lo sganciamento del secondo.
Passato un altro minuto, l’ultimo stadio esaurisce la sua spinta e il modulo principale si separa dal missile per cominciare la discesa sull’obiettivo dove rilascerà la testata nucleare.
A quel punto, il modulo, una volta posizionato sulla giusta traiettoria permette all’arma atomica o, se presenti, alle diverse testate, di dirigersi direttamente sul bersaglio.
Le testate nucleari possono quindi esplodere direttamente al suolo oppure in aria.