È il primo, vero, passo per portare l’umanità su Marte e passa dalla Luna, anche grazie all’Italia. Quando fu Donald Trump ad annunciarlo qualche anno fa, tutti pensarono all’ennesima gaffe del presidente degli Stati Uniti e invece la missione Artemis 1, lanciata il 16 novembre scorso senza equipaggio, apre la strada non solo a riportare gli esseri umani sul nostro satellite ma, usando le parole della Nasa, «a restarci». Con un contributo fondamentale del nostro Paese, che conta di concludere grandi affari nel settore dell’aero-spazio.
A differenza delle missioni Apollo, entro il 2026 il programma guidato dalla statunitense Nasa in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea (Esa), la Japan Aerospace Exploration Agency (Jaxa) e la Canadian Space Agency (Csa) punta a stabilire basi umane permanenti sia nell’orbita che sulla superficie lunare, da cui in futuro partire anche per il pianeta rosso.
In tutto questo, come mostrano le foto esclusive di Leonardo Perugini, l’Italia ha un posto in prima fila.
Sfida tra colossi
Al programma, nell’ambito di una partnership con l’Esa, collabora infatti l’Agenzia spaziale italiana (Asi) insieme ad alcuni giganti del settore e a varie piccole e medie imprese nostrane. In totale, Italia compresa, i Paesi europei coinvolti a vario titolo sono una decina: Germania, Svizzera, Francia, Belgio, Svezia, Danimarca, Norvegia, Spagna e Paesi Bassi. Il principale contributo del Vecchio continente ad Artemis riguarda la costruzione dello European Service Module (Esm) della navicella Orion, il vero cuore del progetto, realizzato dall’appaltatore principale Airbus in collaborazione con altre aziende, tra cui i colossi italiani Thales Alenia Space e Leonardo, che forniscono una serie di componenti.
Questo modulo assicura la spinta propulsiva, garantisce il controllo termico, alimenta la capsula con l’energia elettrica generata dai pannelli solari e contiene i sistemi di supporto vitale che forniscono acqua, ossigeno e azoto a un eventuale equipaggio. Con i suoi 33 motori, 11 chilometri di cavi e due serbatoi, l’Esm serve proprio a sostenere il modulo che in futuro ospiterà gli astronauti diretti sulla Luna, dove fino a tre esseri umani potranno vivere e lavorare durante il viaggio di andata e ritorno dal nostro satellite.
La struttura di base del modulo di servizio europeo è stata prodotta a Torino nella sede di Thales Alenia Space, joint venture tra la multinazionale francese Thales (che detiene il 67 per cento del capitale) e la nostra Leonardo (che possiede il 33 per cento delle quote). Qui, come spiega l’azienda, sono stati realizzati i «sotto-sistemi critici» per i moduli Orion progettati da Airbus Defence & Space, compresa l’ossatura in fibra e lega di alluminio, i radiatori necessari a impedire il surriscaldamento del modulo e i principali meccanismi di supporto vitale dei futuri astronauti. Se all’esterno la struttura è rivestita in kevlar per assorbire gli urti dei micro-meteoriti e l’impatto di altri detriti spaziali, all’interno è contenuto il sistema che garantisce lo stoccaggio dei materiali per le missioni con equipaggio, che prevede quattro serbatoi per l’acqua potabile e altrettanti per l’immagazzinamento di ossigeno e azoto. A questi si aggiungono quelli per il gas e il propellente, che va ad alimentare i 33 propulsori – un motore principale, 8 ausiliari e 24 di controllo – realizzati dalla statunitense Aerojet Rocketdyne per manovrare la capsula Orion dopo il distacco dal razzo vettore Space Launch System (Sls). L’intero modulo poi è coperto di sensori che, attraverso quasi 11 chilometri di cavi elettrici e l’avionica dell’Esm, inviano comandi e informazioni ai computer di bordo di Orion, all’interno del modulo dell’equipaggio, per gestire i servizi di scambio di dati. A questo si aggiunge il sistema di controllo termico che comprende una parte attiva, in grado di espellere il calore prodotto dalla navicella, e una parte passiva, che protegge il modulo dall’escursione termica interna ed esterna.
L’ex Finmeccanica invece ha fornito i pannelli fotovoltaici montati sulle quattro ali della navicella, che generano energia e ricaricano le batterie del modulo riservato all’equipaggio. Ognuna delle ali è composta da tre sezioni di pannelli, ciascuna di poco più di due metri per due, per una lunghezza totale di circa 7 metri e una capacità complessiva di 11 chilowatt. Inoltre, in una delle sedi milanesi di Leonardo, sono state realizzate le unità di controllo, condizionamento e distribuzione dell’energia. Tali sistemi fungono da interfaccia di alimentazione tra il modulo di servizio europeo e l’adattatore della cabina destinata all’equipaggio, distribuendo l’energia elettrica alle apparecchiature dell’Esm e proteggendo i cavi.
Oltre ai colossi nostrani, al progetto hanno contribuito anche una manciata di piccole e medie imprese, tutte di stanza in Piemonte ed Emilia Romagna, che hanno fornito le piastre di raffreddamento, le valvole per l’erogazione di ossigeno e azoto, i rivestimenti per i serbatoi dell’acqua e le strutture di ancoraggio del kevlar alla navicella Orion. Tutti sistemi irrinunciabili per la riuscita della missione, che a bordo aveva però anche una serie di carichi speciali, sempre prodotti in Italia.
Le dimensioni non contano
Oltre all’Esm, tra i contributi italiani ad Artemis I, figura anche il cubesat dell’Asi, ArgoMoon, realizzato dalla società italiana Argotec a Torino. Si tratta di un mini-satellite, sganciato dal razzo Sls, che ha assicurato alla Nasa una serie di immagini a conferma della corretta esecuzione delle operazioni del vettore, che una volta rilasciato ArgoMoon non potrà più inviare a Terra alcun segnale.
Il piccolo dispositivo (come si vede nell’immagine in apertura) pesa appena 14 chilogrammi e misura quanto una scatola di medie dimensioni, circa 20 per 30 per 10 centimetri. È l’unico satellite dei nove a bordo di Artemis I (sette statunitensi e due giapponesi) a essere stato prodotto in Europa a partecipare alla missione ma, malgrado le ridotte dimensioni, possiede le stesse capacità di una normale sonda spaziale in orbita intorno alla Terra. La sua missione durerà circa sei mesi e si concluderà con una serie di manovre orbitali che porteranno il cubesat in un’orbita stabile intorno al Sole.
Intanto è stato proprio ArgoMoon a fornire alla Nasa le foto dell’Interim Cryogenic Propulsion Stage (Icps) montato sul razzo vettore quando questo si è separato da Orion dopo aver effettuato la cosiddetta “traiettoria di inserzione lunare”, la manovra propulsiva necessaria per spedire la navicella sul nostro satellite.
Come spiega l’Asi in una nota, attraverso un software basato sull’intelligenza artificiale prodotto da Argotec, «il satellite è in grado di effettuare il riconoscimento degli oggetti nel suo campo visivo, di attuare autonomamente manovre orbitali e di assetto per mantenere la corretta distanza e catturare immagini di alta valenza tecnica ma anche di forte impatto pubblico». Non solo: ArgoMoon dispone anche di un software per la navigazione autonoma sviluppato sempre da Argotec per questa missione.
Anche per questo, al di là degli obiettivi del programma Artemis, il suo lancio in orbita rappresenta una conquista tutta italiana che dimostra quanto il nostro Paese sia in grado di produrre tecnologie e applicazioni per nano-satelliti e in particolare sistemi di telecomunicazione, navigazione e di controllo di assetto e orbitale nello spazio profondo. Insomma, veri e propri gioielli tecnologici, che non sono certo i carichi più sorprendenti lanciati questo mese con il razzo della Nasa.
A bordo del vettore statunitense Sls c’era infatti anche un pezzo della cultura italiana. Con l’iniziativa “l’Asi ti porta sulla Luna”, la nostra Agenzia spaziale ha infatti offerto a tutti gli italiani l’opportunità di «lanciare in orbita la propria creatività». Tutti i contenuti spediti negli scorsi anni all’Asi da scuole, ospedali, associazioni e semplici cittadini sono stati raccolti in una chiavetta usb contenente immagini, disegni, pensieri, canzoni e poesie ispirate o dedicate al nostro satellite, che continueranno a orbitare intorno alla Luna finché in un lontano futuro qualcuno non le riscoprirà.
I prossimi obiettivi
Tornando a tempi ben più vicini, va detto che il contributo dell’Italia al nuovo programma di esplorazione lunare e allo studio dello spazio in generale non si esaurirà certo con la missione lanciata il 16 novembre dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral, in Florida. I già citati progetti di Thales Alenia Space e Leonardo valgono infatti per le prossime sei missioni Artemis (da qui al 2026), mentre le nostre aziende sono coinvolte anche in altre ambiziose iniziative del settore.
Insieme alla statunitense Northrop Grumman, Thales Alenia Space è impegnata nello sviluppo del modulo Habitat & Logistics Outpost (Halo) per il “gateway lunare” della Nasa, una stazione orbitante intorno al nostro satellite che offra agli astronauti una tappa intermedia tra la Terra e la superficie del corpo celeste più vicino al nostro pianeta. In particolare, Halo dovrà permettere a un equipaggio di quattro astronauti di sopravvivere per un massimo di 30 giorni. Con una lunghezza di circa sei metri e una larghezza di poco superiore ai tre, il modulo costruito a Torino, che dovrebbe essere lanciato in orbita dopo il 2024, prevede quattro portelloni di attracco e fungerà anche da ponte per i velivoli in visita alla stazione lunare.
L’azienda statunitense collabora con Blue Origin, Lockheed Martin e Draper per progettare il sistema di allunaggio di un nuovo lander tra la stazione e la base umana permanente sul nostro satellite. Tale velivolo è basato sulla navicella Cygnus, sviluppata proprio in partnership con la joint venture franco-italiana. Questa è già classificata come adatta al trasporto umano e viene infatti utilizzata per assicurare i rifornimenti e il trasferimento di attrezzature ed esperimenti scientifici alla Stazione Spaziale Internazionale.
Anche l’azienda romana Avio, che già contribuisce alla flotta spaziale europea come prime contractor della famiglia di lanciatori Vega ed è uno dei principali partner dei vettori Ariane 5 e Ariane 6, partecipa a questa nuova corsa allo spazio tutta italiana. Non a caso, a giugno ha firmato una serie di contratti con l’Esa per la realizzazione di due nuovi motori eco-sostenibili per razzi spaziali. Una buona notizia non solo per l’ambiente ma anche per il sistema Italia. Grazie a questi accordi infatti è entrato a regime il piano dedicato alla “Space Factory per i Sistemi di Trasporto Spaziale” finanziato dal Dipartimento per la trasformazione digitale tramite i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. A questo proposito saranno finanziati due programmi da realizzare entro il 2026: il primo da 217,5 milioni di euro rivolto all’integrazione di nuove tecnologie su un piccolo lanciatore dotato di motori a metano ecosostenibili e il secondo da 120 milioni di euro per la realizzazione di un propulsore a basso impatto ambientale. Cifre importanti, ma si tratta solo di una parte dei quasi 6 miliardi di euro che, grazie al Pnrr, ai programmi Esa e ai fondi comunitari, l’Italia intende investire nei prossimi cinque anni nel settore aerospaziale per l’osservazione del nostro pianeta, il monitoraggio del cosmo e le infrastrutture avanzate. Che dire? Lunga vita e prosperità, speriamo.
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