Un gene “zombie” sta difendendo gli elefanti dai tumori. Il gene, da tempo non più attivo in moltissimi altri mammiferi, si è risvegliato per distruggere le cellule danneggiate.
Ad identificato sono stati dei ricercatori delle università americane di Chicago e dello Utah, che hanno pubblicato la ricerca sulla rivista Cell Reports.
Il risultato è il frutto di una scoperta precedente degli stessi ricercatori, i quali tre anni fa avevano scoperto che negli elefanti sono presenti 20 copie di un gene chiamato p53, che è presente in una sola copia anche nell’uomo.
Mentre studiavano p53 negli elefanti, i ricercatori guidati da Vincent Lynch, dell’università di Chicago, hanno individuato un gene chiamato Lif6, che da tempo non è attivo in molti mammiferi.
Questo gene viene attivato da p53 per uccidere le cellule che hanno il Dna danneggiato e che possono provocare i tumori. La sua funzione consiste, in sintesi, nel produrre una proteina che crea dei fori nelle centraline energetiche delle cellule, i mitocondri, causando la morte della cellula. In questo modo il gene “può prevenire i tumori”, ha detto Lynch.
Un “trucco dell’evoluzione” che sarebbe stato risvegliato negli antenati degli elefanti circa 25-30 milioni di anni fa, quando questi pachidermi hanno cominciato a evolversi da animali più piccoli grandi quanto le marmotte a quelli che conosciamo.
“Gli animali di grandi dimensioni e longevi devono aver sviluppato meccanismi robusti per sopprimere o eliminare le cellule tumorali, in modo da poter raggiungere l’età adulta”, ha detto Juan Manuel Vazquez, del Laboratorio di Lynch.
Gli animali più grandi, infatti, rispetto a quelli più piccoli, hanno un numero molto maggiore di cellule e tendono a vivere più a lungo. Un vantaggio? Sì, ma allo stesso tempo questo significa anche più tempo e opportunità per accumulare mutazioni che causano il cancro.