Il tema della Dipendenza Affettiva sta sempre più uscendo dall’ombra generando una spaccatura tra chi avverte l’esigenza di considerare l’amore tossico come una condizione che chiunque può sperimentare almeno una volta nella vita e chi sostiene l’esistenza di un fenomeno specifico chiamato dipendenza, sottolineando la presenza di una dinamica affettiva che ricalca le caratteristiche di una dipendenza da sostanza, ovvero la persistenza nel continuare ad alimentare un legame disfunzionale nella convinzione di non poter più sopravvivere senza di esso.
Al pari di una dipendenza da sostanza, la persona colpita da questo disagio dedica tutte le proprie energie all’oggetto d’amore e manifesta sintomi paragonabili all’astinenza qualora compia il tentativo di chiudere il legame con il partner. “Se non mi arriva il suo messaggio resto tutto il giorno in attesa a pensare come mai non mi stia scrivendo e non riesco a concentrarmi su nulla fino a quando non sento il bip del telefono che mi rassicura che per lei esisto ancora”, dice un mio paziente che per sette anni resta aggrappato ad una relazione che lo alimenta con briciole affettive.
Trovo particolarmente calzante il termine “malnutrizione emotiva” per spiegare le origini che portano allo sviluppo di questa patologia che tanto frequentemente gli psicologi riscontrano nella propria pratica clinica. I Love Addicted sono persone che, per svariate motivazioni, non sono state adeguatamente nutrite a livello affettivo nella propria infanzia e che hanno imparato a guadagnarsi il “pane dell’amore”, metafora che utilizzo nel mio libro (La principessa che aveva fame d’amore, Sperling & Kupfer, 2017), facendo i “bravi” bambini, ovvero bambini che non “disturbano” con le proprie necessità emotive, assicurandosi il legame con l’altro attraverso l’adesione alle sue aspettative.
Questi bambini interiorizzano una concezione inadeguata dell’amore, ovvero che l’amore “va conquistato” compiendo azioni che gratificano l’altro anziché concepirlo come qualcosa di incondizionato che ogni bambino ha diritto di ricevere senza dover fare nulla di particolare a parte esprimere sé stesso. Qualora nel corso dello sviluppo non si verifichi qualche esperienza “nutriente” e correttiva che aiuti tale individuo a trovare un modo più corretto di alimentarsi a livello emotivo, potrebbe generarsi un profondo vuoto d’amore, una fame vorace che mal lo guiderà nelle sue scelte affettive.
Il vuoto affettivo potrebbe condurlo, in età adulta, a stringere legami nei quali delegherà al proprio partner la responsabilità di saziarlo emotivamente rendendosi dipendente da lui al punto da riprodurre un rapporto simile a quello che il bambino instaura nei primi mesi di vita con il proprio caregiver. Una tale dinamica genera un legame fondato su premesse inadeguate, ovvero l’aspettativa che l’altro possa colmare atavici buchi emotivi affidandogli la responsabilità della propria felicità.
Questa malsana modalità di amare fu posta in evidenza in modo significativo da Robin Norwood, psicoterapeuta americana, specializzata in problemi di dipendenza, che sottolineò come la dipendenza non derivasse soltanto da un rapporto morboso con sostanze stupefacenti, come possono essere l’alcool o la droga, ma anche da quello con una persona descrivendolo questa new addiction nel suo best seller Donne che amano troppo, uscito nelle librerie italiane nel 1987.
Attraverso questo libro l’autrice compie qualcosa di rivoluzionario introducendo il concetto di “limite” in un campo nel quale nessuno aveva pensato potesse esistere, quello amoroso, spiegando in modo semplice come riconoscere la presenza di una dipendenza affettiva: “Quando giustifichiamo i malumori, il cattivo carattere, i tradimenti del partner, stiamo amando troppo. Quando siamo offesi dal suo comportamento, lo giustifichiamo e pensiamo sia colpa nostra, stiamo amando troppo. Quando cerchiamo di aiutarlo in tutti i modi diventando la sua terapista, stiamo amando troppo. Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo”.
Il termine “troppo” apre una nuova chiave di lettura per comprendere il comportamento patologico di pazienti, donne in particolare, malnutrite affettivamente e disposte a tutto pur di non perdere un legame affettivo chiaramente disfunzionale. L’autrice ha stimolato l’interesse di altri ricercatori e studiosi nell’ambito della psicologia che hanno approfondito questo disagio dando vita a molteplici contributi focalizzati a concettualizzare criteri utili per delimitare il confine tra amori infelici e Love Addiction.
A tal proposito particolarmente significativo appare il lavoro di Reynaud e collaboratori (Reynaud, Karila, Blecha e Benyamina, 2010), che definiscono chiaramente le differenze tra amore e dipendenza, intendendo con il termine Love Passion uno stato universale e necessario per gli esseri umani, che implica un attaccamento funzionale agli altri, e con Love Addiction una condizione disadattiva caratterizzata da una necessità e da un desiderio imperiosi dell’altro che si traducono in pattern relazionali problematici, caratterizzati dalla persistente e assidua ricerca di vicinanza, nonostante la consapevolezza delle conseguenze negative di tale comportamento. Il gruppo di ricerca propone una definizione diagnostica della Love Addiction, basata sulla durata e sulla frequenza della sofferenza percepita.
Io stessa, alla luce dell’ampia casistica incontrata nei quindici anni di dedizione a questo campo, ho realizzato ricerche che mi hanno consentito di ipotizzare criteri diagnostici, descritti nell’articolo pubblicato sulla rivista di Terapia Familiare dal titolo “Dipendiamo. Un trattamento sistemico di gruppo per la cura della Dipendenza Affettiva” (Franco Angeli, 2018), con l’obiettivo di agevolare la comprensione della sintomatologia tipicamente riscontrabile nella Dipendenza Affettiva che la differenzia da altri disagi amorosi.
Nel panorama italiano spiccano altri studiosi interessati ad approfondire questa problematica quale Cesare Guerreschi, fondatore della Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive (S.I.I.Pa.C.), autore di numerosi libri sulle New Addiction tra i quali “La Dipendenza Affettiva. Ma si può morire anche per amore?” (Franco Angeli, 2011) nel quale viene spiegato come i “drogati d’amore” soffochino lo sviluppo delle capacità individuali e sopprimano ogni desiderio e ogni interesse ossessionati dal mantenere il controllo sul proprio legame affettivo.
Altri psicologi si sono inoltre addentrati nella comprensione delle scelte relazionali delle persone affettivamente dipendenti rivelando, in modo piuttosto sorprendente come gli affamati d’amore si sentano attratti da persone a loro volta impossibilitate nel fornire un adeguato nutrimento emotivo. La letteratura evidenzia in particolare due tipi di partner predisposti a colludere con i meccanismi del dipendente affettivo.
Un primo tipo di partner corrisponde al profilo di una persona a propria volta dipendente (dipendente da alcool, droga, gioco, ecc.) portatore di profonde carenze affettive, che funge da attrattiva per il dipendente il quale si illude di poterlo salvare attraverso la propria totale devozione fino al completo annullamento di sé, garantendosi in tal modo la ricompensa di venir amato e mai abbandonato. Nella realtà, i partner costruiscono un rapporto di co-dipendenza, come ben descrivono Verde e Iacone nel libro L’amore ai tempi del Genoma (Psiconline, 2010), ovvero un legame patologico, sorretto da una premessa fallimentare che nel tempo renderà la relazione asfittica, controllante e bloccante nello sviluppo della dell’identità di entrambi.
Una seconda tipologia di partner con la quale frequentemente chi soffre di Dipendenza Affettiva si ritrova ad intrecciare un legame, presenta invece caratteristiche “apparentemente” antitetiche al dipendente presentandosi come una persona altamente autosufficiente e indipendente a livello emotivo. Il fascino spigionato da questo individuo, che sembra bastare a sé stesso, colpisce profondamente il dipendente che vede in lui tutto ciò che egli non possiede. Tale ammirazione lo spingerà a porsi in una posizione di adorazione e di sottomissione iniziando una sfida senza fine per riuscire a conquistare, sempre attraverso la totale devozione, l’amore di un soggetto che in realtà nasconde una profonda incapacità, quella di donare amore.
L’affamato d’amore si ritrova a cercare nutrimento da un individuo che, per proprie esperienze di vita, ha imparato a reprimere il proprio bisogno d’affetto diventando un “anoressico affettivo” utilizzando un termine introdotto da Nicola Ghezzani, autore di numerosi saggi, articoli scientifici e opere di letteratura che nel suo libro Relazioni crudeli. Narcisismo, Sadismo e Dipendenza Affettiva (Franco Angeli, 2019) descrive le dinamiche di questi legami malati nei quali i partner costruisco giochi distruttivi in contrasto con il senso dell’amore stesso.
Molto significativo in tal senso anche il contributo di Borgioni dal titolo Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all’indifferenza vuota (Alpes, 2015) che affronta il tema della Dipendenza Affettiva, e del suo rovescio, la contro dipendenza, atteggiamenti opposti ma che hanno una radice comune e che rappresentano in fondo le due facce di uno stesso problema: “C’è chi pensa di aggrapparsi a qualcuno inseguendo l’illusione dipendente di poter riconquistare il paradiso perduto, richiamo a un’infanzia precocemente derubata; c’è chi, invece, risolve il problema della separazione celebrando il mito di un’indipendenza e di un’autosufficienza assoluti; ma è solo grazie alla capacità di costruire un equilibrio dinamico fra questi opposti che possiamo rispondere ai fallimenti interpersonali e ricercare le soluzioni creative per continuare a rischiare e a credere nella relazione”.
La moltitudine di studi, contributi e ricerche realizzati sulla dipendenza affettiva evidenziano la serietà di questa patologia che può condurre a gravi conseguenze psichiche e fisiche qualora venga banalizzata, non riconosciuta e non adeguatamente trattata. Dipendenza Affettiva e Anoressia affettiva sono termini che non nascono con l’intento di patologizzare l’affetto ma vuole essere prima di tutto un invito a renderci consapevoli di come nella nostra epoca l’amore stia perdendo senso e consistenza, come ben delinea il sociologo Bauman nel suo capolavoro Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi (Laterza, 2018), che racconta il dramma dell’uomo contemporaneo sempre in lotta tra il suo bisogno di essere amato e la paura che l’amore possa privarlo della libertà, dramma che si concretizza nelle innumerevoli richieste di aiuto che gli psicologi riscontrano tra i loro pazienti.
Accettare l’esistenza di patologie in campo affettivo è un passo fondamentale per intervenire attraverso percorsi di cura adeguati ma soprattutto per realizzare interventi di prevenzione, nella quale credo enormemente, affinché le nuove generazioni possano ricevere un orientamento che li aiuti a vivere l’affettività in modo più sereno e consapevole, trovando un equilibrio tra l’amore per sé stessi e l’amore per l’altro.
Leggi anche: No Cappellini, il tema delle dipendenze affettive non può essere ridicolizzato in questo modo
Leggi l'articolo originale su TPI.it