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“Con Remdesivir, meno ricoveri in terapia intensiva, più vite salvate e risparmio per il SSN”

Credit: ANSA

La simulazione di un gruppo di economisti nello studio previsionale promosso dall’Università UniCamillus di Roma: "Grazie all'unico farmaco approvato in Europa per la cura del Covid-19, in cinque mesi si stimano 17mila ricoverati in meno in terapia intensiva, 7mila morti evitate e un risparmio per il SSN di oltre 430 milioni di euro"

Di Redazione TPI
Pubblicato il 13 Gen. 2021 alle 11:07 Aggiornato il 13 Gen. 2021 alle 11:45

“Con Remdesivir, 17mila ricoverati in meno in terapia intensiva, 7mila morti evitate in cinque mesi e un risparmio per il SSN di oltre 430 milioni di euro”: la simulazione di un gruppo di economisti nello studio previsionale promosso dall’Università UniCamillus di Roma.

Lo studio si è basato sulla simulazione dell’evoluzione della pandemia su un orizzonte di 20 settimane, ha stimato l’impatto di Remdesivir rivelando un’importante riduzione in termini di accessi in terapia intensiva, numero di decessi e risparmi sui costi sanitari diretti associati al trattamento dei pazienti ospedalizzati.

L’adozione di Remdesivir, il primo e unico farmaco approvato in Europa per il trattamento del Covid-19, è in grado di ridurre gli accessi in terapia intensiva di oltre 17.000 unità e potenzialmente evitare circa 7.000 decessi in soli 5 mesi. Grazie all’effetto della minore necessità di trattamento in terapia intensiva, infatti, si determinerebbe un risparmio per il SSN di oltre 430 milioni di euro. È questo il risultato dell’applicazione di un modello messo a punto da un team di economisti sanitari di UniCamillus – Saint Camillus International University of Health Sciences, Università Medica Internazionale di Roma per stimare l’impatto di Remdesivir sull’occupazione delle terapie intensive e, in ultima istanza, sui costi sanitari diretti per le strutture ospedaliere nella gestione dell’attuale emergenza.

Il modello, elaborato in uno studio pubblicato sulla rivista ABOUTOpen HTA & Market Access, ha previsto l’evoluzione della pandemia su un orizzonte temporale di 20 settimane in termini di contagiati, accessi in terapia intensiva e decessi. La costruzione del modello si è basata su dati epidemiologici osservati e relativi alla contagiosità (l’indice Rt) e ai dati aggiornati con cadenza quotidiana rispetto agli ospedalizzati, ai ricoverati in terapia intensiva e ai decessi nel mese di ottobre.

Lo studio ha preso inoltre in considerazione due scenari alternativi corrispondenti a due possibili evoluzioni dell’epidemia. Lo scenario “pessimistico” ha ipotizzato che il valore degli Rt rimanesse a 1,1 fino alla settimana 12 e che scendesse a 1 dalla settimana 12 alla settimana 20. Lo scenario “ottimistico” ha ipotizzato una riduzione degli Rt pari a 0,2 punti a settimana a partire dalla quarta settimana, per poi attestarsi a 0,9 dall’ottava settimana in poi. Nello scenario pessimistico, a fronte di 5,4 milioni di contagiati, si ottiene una riduzione di 25.750 accessi in terapia intensiva, di 15.047 decessi e un risparmio di 512 milioni di euro. In quello ottimistico, a fronte di 1,3 milioni di contagiati, si ha una riduzione di 12.500 ricoveri in terapia intensiva, 4.800 decessi e un risparmio di 294 milioni.

“Questo studio – sottolinea il Prof. Alessandro Signorini, direttore dell’Health Economics Team di Unicamillus – utilizza un modello dinamico epidemiologico linkato ad un modello tradizionale economico – sanitario, per stimare l’impatto sull’utilizzo di risorse umane e tecnologiche di interventi alternativi volti a fronteggiare l’emergenza da Covid-19 in un setting ospedaliero. In particolare, gli interventi sono stati disegnati per minimizzare il numero di accessi in terapia intensiva. E’ uno strumento che consente di studiare degli scenari per fare delle previsioni sulla capacità e sulla possibilità di utilizzo di assetti ad alta intensità tecnologica (come le terapie intensive) ma anche sulla necessità di investire in risorse umane. È chiaro che laddove un trattamento consenta di razionalizzare o comunque gestire in modo più efficiente gli accessi in terapia intensiva, l’intera organizzazione delle cure ne trarrebbe beneficio. Questo modello è del tutto adattabile anche a singoli contesti regionali e, nella sua struttura di base, potrebbe essere utilizzato anche per condurre delle stime simili relative ad eventuali altre crisi pandemiche”.

I risultati di questo studio evidenziano l’importanza dell’adozione di Remdesivir nelle fasi iniziali dell’infezione, per impedire che il virus diffondendosi e moltiplicandosi scateni, nella fase successiva, la tempesta citochinica con conseguente insufficienza respiratoria e danno multiorganico. “È evidente – sottolinea Massimo Andreoni , Direttore Scientifico della Società Italian di Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT) – che la somministrazione precoce di Remdesivir nei pazienti ai primi stadi dell’infezione può generare numerosi benefici sia a livello clinico, con tempi di permanenza in ospedale ridotti e un recupero più rapido dalla malattia, sia a livello di strutture ospedaliere e risorse sanitarie, con minor accesso ai ricoveri in terapia intensiva, che possono così essere liberate e impiegate per trattare altri pazienti non necessariamente affetti da Covid-19, generando un notevole risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale”.

 

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