«Dico la verità non per uccidere la speranza al contrario lo faccio per tenerla alta, perché spero si possa fare di più perché sul cancro al seno l’informazione è veicolata da un ottimismo bugiardo che si dimentica di me», Nunzia morta di tumore metastatico al seno, il 9 maggio 2020.
Ogni anno in Italia circa 14.000 donne muoiono di cancro al seno. Secondo il rapporto annuale dell’Aiom (Associazione Italiana di Oncologia Medica) del 2020, il tumore più frequentemente diagnosticato è il carcinoma della mammella (54.976, pari al 14,6% di tutte le nuove diagnosi), colpisce una donna su otto. Il 5-7% delle donne colpite dal cancro al seno sono metastatiche de novo, ossia dall’esordio. Solo nel nostro paese, se ne contano 37.000.
Nel mese di ottobre tutto si tinge di rosa per cercare di sensibilizzare quanto più possibile la prevenzione e l’importanza della diagnosi precoce, così da tenere sotto controllo la possibilità di un male al seno.
Un tecnico radiologo sistema il seno sulla apposita piattaforma dell’unità mammografica e lo comprime gradualmente con una paletta di plastica trasparente. Questa procedura può provocare dolore, che però persiste solo per il tempo necessario all’espletazione dell’esame. La compressione della mammella è necessaria perché permette di uniformare lo spessore dell’organo in modo da visualizzarlo nella sua interezza, è così che avviene una mammografia.
La mammografia è l’esame di screening più comune per una diagnosi precoce, dura complessivamente dai 5 ai 10 minuti. La mammella è una ghiandola costituita da tessuto adiposo, dotti (o condotti), vasi sanguigni e linfatici e infine dai lobuli. Un tumore si sviluppa quando alcune cellule cominciano a proliferare in modo incontrollato.
Per ottenere diagnosi precoce è, tuttavia, necessario che le donne si sottopongano a visite senologiche e controlli clinici e strumentali con regolarità e con la giusta periodicità. Secondo ciò che riporta il Ministero della Salute, la partecipazione allo screening con una frequenza annuale o biennale, riduce la mortalità di chi scopre di avere un tumore, del 30%. L’allungamento della vita e il protrarsi di un buono stato di salute, unitamente all’efficacia diagnostica, hanno indotto i ricercatori a ritenere vantaggiosa l’estensione dell’età di screening fino a 74 anni. Tuttavia sui benefici di questa strategia non si hanno ancora dei dati convincenti.
«Ero sotto la doccia, ricordo era estate fuori 40 gradi, mentre mi insapono mi accorgo di una pallina al seno sinistro, sembrava avessi tra le dita una nocciolina, era dura. Ogni anno facevo la mammografia perché mia mamma si era ammalata qualche anno prima». Tania, a 51 anni ha scoperto di essere affetta da tumore al seno dopo che l’ultima mammografia di 14 mesi prima non registrava nessuna anomalia, «chiamai subito il senologo di mia madre, nel giro di poche settimane la diagnosi. “Come tua madre”, il dottore mi disse solo questo, guardandomi negli occhi».
Le cellule dei tumori benigni crescono con lentezza e rimangono confinate alla mammella, senza espandersi in altre parti del corpo. «Me lo ricordo benissimo quel giorno, un esame di routine e il mondo all’improvviso sembra caderti addosso. “Signora va operata subito”, quella sensazione di sentirsi immortale, tipica delle donne che appaiano invincibili e con la soluzione sempre a portata di mano l’ho dimenticata in meno di un secondo».
Cristina racconta che dal quel momento ha deciso di segnare su un diario ogni sua sensazione, anche solo una parola coma a ricordarsi che fosse presente, per darsi speranza, non era preparata a nessuna sconfitta. «Dopo l’operazione, ogni volta che tornavo in ospedale per i cicli di chemioterapia scrivevo la data e poi in stampatello “anche oggi è fatta”. È stato così per mesi e mesi. Ma posso dire che, un giorno ho scritto la parola “è fatta” per sempre. Sono guarita, non ci credevo ho avvolto il diario con il foulard che ha stretto il mio capo per mesi e che spesso ha asciugato le mie lacrime come fosse un fazzoletto. Piangevo di giorno, di notte anche mentre passeggiavo per strada, mi perdevo tra i miei pensieri, ma non ho mai pianto così forte e così tanto, come quando ho letto “pulita”, per me significava, essere rinata, essere viva».
Secondo la scienza, oggi per i tumori inferiori al centimetro la percentuale di sopravvivenza è del 97%. La stessa ci dice che, con l’aumento di donne che si sottopongono a degli esami di controllo, sta regredendo il numero di decessi per tumore al seno. La causa di questa evoluzione favorevole è appunto, il miglioramento della diagnosi precoce che, va chiarito, non può prevenire il tumore, ma aiuta a riconoscerlo in uno stadio iniziale. Infatti, meno la malattia è in stadio avanzato, migliori sono le chance di guarigione.
La diagnosi precoce è fondamentale, ma una mammografia non riduce il rischio di ammalarsi, né lo elimina. Purtroppo, non sempre dalla malattia, se è presa in tempo, si guarisce.
«Un normale controllo ecografico e ti dicono che hai un tumore. Ogni anno mi sottoponevo a ecografia mammaria, analisi del sangue e vari controlli di routine. Scoperto il male sono iniziati una serie di accertamenti necessari. Dal primo momento ho pensato che cancro e morte significassero la stessa cosa». Paola, lo scopre a 37 anni, scopre di essere malata e di avere la forma più grave, poco dopo è metastatica.
Ogni tumore al seno si classifica all’interno di stadi che vanno dal I al IV, oltre quest’ultimo non esiste nient’altro. Il destino di chi si ammala al IV stadio è il destino delle metastatiche.
«Quando ti dicono la parola “metastatica” pensi già alla morte, è come una sentenza che ti cambia la vita, cambia il tuo aspetto fisico e l’approccio mentale. Ti guardi allo specchio e dici: “sono gonfia, sono dimagrita, sembro invecchiata di 10 anni, ho le rughe dovute alla sofferenza, non ho i capelli, sono rossa in viso[…]”», scrive Catia.
I tumori maligni sono così denominati per la loro natura, difatti possono propagarsi dalla sede originaria del tumore ad altre aree dell’organismo per contiguità, per continuità e per via sistemica. Una certa percentuale di donne secondo le statistiche, anche solite alla prevenzione e pur avendo fatto diagnosi precoce, si scopre metastatica dall’inizio.
In altri casi, invece, il tumore della mammella anche quando sembra debellato, può tornare a colpire, anche a distanza di molti anni dalla fine delle terapie. Da uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, è stata denominata “metastasi tardiva”, la ripresa del tumore al seno che è capace di risvegliarsi dopo perfino 20 anni dalla prima diagnosi. Quando si verifica, quello che viene chiamato “rude awakening” ovvero “duro risveglio”, è spesso mortale velocemente.
La realtà, agli occhi di chi vive sulla propria pelle la battaglia alla vita e la condanna a essere metastatica, è ben diversa: «diventare metastatica ti rende diversa, gli altri non capiscono che se ti senti stanca non è per il caldo, non capiscono che quasi ogni giorno pensi alla morte. Così vivi in due mondi, uno di questi è quello “sano”, in cui davanti ai familiari, avere mani e piedi che bruciano, capelli e unghie che cadono, nausea e sapore pessimo in bocca, afte, stanchezza, parole che non ti vengono in mente, è tutto normale».
Una battaglia, secondo i racconti di queste donne che, va affrontata non solo nei confronti di un mostro che prima o poi, dopo aver risucchiato ogni tua viscera, ti spegne poco a poco conducendoti alla morte, ma anche nei confronti di una narrazione “tossica” del cancro al seno che mette in scena la tragicommedia dello slogan “la prevenzione salva sempre la vita”. O la necessità di raccontare storie a lieto fine, di donne guerriere, rese forti e belle dalla malattia.
Una voce fuori dal coro è quella di un comitato di donne con tumore al seno metastatico che prende il nome di “Oltre il nastro rosa”, donne che confluite nel tempo in due gruppi Facebook, hanno imparato a sostenersi e ad avanzare le proprie richieste. «È giusto fare diagnosi precoce perché è vero che più si prende in tempo e meglio è, ma non è più vero che questo salva necessariamente la vita. A noi questo fa rabbia perché così passa il concetto che se ti sei ammalata di metastasi è colpa tua, perché non facevi diagnosi precoce. Si tende sempre a colpevolizzare la donna è un vecchio retaggio maschilista della società mondiale per cui le colpe devono sempre ricadere sulle donne», è quello che grida a gran voce Giorgia, metastatica dal 2019 e rappresentante del comitato.
La ricerca fa dei passi troppo lenti tanto che, ancora oggi, nessuno è in grado di capire come si evolve un tumore e la soluzione oltre a sembrare lontana, è quasi un’utopia. Di cancro al seno metastatico non ne parla mai nessuno. «Siamo consapevoli che di questo moriremo», Giorgia insieme alle sue compagne hanno maturato una grande consapevolezza, ma non si arrendono davanti ai deficit della ricerca. Risulterebbe che meno del 5% dei fondi totali per la ricerca al cancro al seno, venga dedicata alle forme metastatiche.
La verità è che tutte queste donne ricevono una doccia fredda senza preavviso e da un momento all’altro vedono stravolte le proprie vite, i propri sogni e le proprie aspettative. Da un giorno all’altro, percorrono infiniti corridoi di ospedali, siedono diverse sale d’attese, si sottopongono a continui cicli di chemioterapia, radioterapia e operazioni. Vengono spogliate dei loro corpi, private della loro femminilità, «non lo accetti ti fa tanta rabbia, io non ho sbagliato nulla, ti ripeti che tutte quelle cose che ti avevano detto di fare le hai fatte tutte, dalla diagnosi precoce alle terapie, io per esempio sono andata oltre i protocolli. Io ho fatto tutto. La mia forza è mia figlia, il desiderio di portarla più avanti negli anni possibili, di non lasciarla orfana a 7 anni», racconta Giorgia.
È necessario fare un appello al mondo della ricerca, di sicuro andrebbe studiato in maniera più approfondita la biologia delle cellule dormienti . «Il vero problema, – dice Giorgia-, è che la scienza non ha capito come queste cellule si svegliano, ogni donna che ha avuto il tumore al seno ha nel corpo delle cellule dormienti e tra queste ci sono donne a cui non si risveglieranno mai più e donne a cui sì. La scienza non ha capito da cosa dipenda e finché su questo non si investirà seriamente, non serviranno a nulla le diagnosi precoci. Le donne con cancro al seno metastatico continueranno a esserci e continueranno a morire».
Mercoledì 13 ottobre 2021, diverse rappresentanti del comitato Oltre il nastro rosa, si sono riunite in piazza Castellani dinanzi al Ministero della salute, per dare voce alle proprie richieste. Dopo aver distribuito delle T-shirt bianche con il logo dell’evento, strette dalla commozione in memoria delle compagne perse in quest’ultimo anno, hanno donato un fiore come simbolo di ricordo, poi consegnato al Ministero e hanno, con grande determinazione, esposto ai microfoni i propri punti. Innanzitutto si è fatta pressione sull’aumento dei fondi pubblici destinati alla ricerca, specifica per il cancro al seno metastatico; si è chiesta la velocizzazione degli iter burocratici per l’approvazione e l’autorizzazione dei farmaci da parte dell’AIFA insieme alla loro diffusione uniforme su tutto il territorio; in più l’istituzione di un osservatorio sul tumore al seno che comunichi i dati di quanti diventano metastatici dopo 1/5/10/15 anni e statistiche di sopravvivenza che vadano oltre i 5 anni. Le donne hanno preteso tempi garantiti per gli esami diagnostici; ancora, un’informazione corretta sul tumore, lontana dalle immagini esasperate e una maggiore diffusione di informazione su trials clinici, con la creazione di un preciso database diffuso in tutte le Breast unit, alla portata sia delle pazienti che dei professionisti.
«Sono passata a cercare su Google “quanto si vive con cancro al seno IV stadio?” a “cosa c’è dopo la vita?”», racconta Laura che di anni ne ha 33 o Lorenza, moglie, mamma e nonna: «con me ci puoi stare basta che non mi fai morire, ma se te ne vai mi rendi contenta». Il tumore metastatico non se ne va mai, se non portandosi dietro la fisicità e l’emotività di una donna che è figlia, madre, moglie, amica. Tutte le donne colpite dal cancro ricevono una sentenza capace di sentenziarle in un limbo di emozioni contrastanti, in bilico tra la vita e la morte.
«Quando ho perso i capelli ho chiesto di andare in psicoterapia», Giorgia sottolinea l’importanza di percorsi specifici per le pazienti metastatiche all’interno delle Breast unit che prevedano team multidisciplinari (oltre agli oncologi, psicologi, fisiatri, gastroenterologi, altri specialisti) e contatti di riferimento costanti, risposte garantite ogni 24ore.
«Una volta metastatica non c’è più via di scampo, il tumore vince sempre e l’obiettivo è rallentare la proliferazione di esso, ma sarà di tumore che morirò, una morte lenta e sofferente, oltre che prematura», Stefania l’ha scoperto a 33 anni mentre dava alla vita sua figlio e lo nutriva da quel seno sinistro maledetto.
In piazza mercoledì c’era anche Barbara, una donna che si riconosce pienamente nel racconto delle altre, fa parte del Coordinamento Regionale Sanità della regione Lazio. Denuncia senza paura i deficit della sanità pubblica a vantaggio di quella privata. Solo pagando o in intramoenia, una donna può avere un senologo e un radiologo di riferimento che la segua e possa valutare, in maniera continuativa, l’evoluzione dello stato di salute. Infatti, per poter accedere agli esami nelle strutture pubbliche le donne sono costrette a numerose telefonate per ottenere appuntamenti sparsi per l’intera regione, con tempi infiniti di attesa. Ma quando si riesce ad accedere ai Centri Senologici, non c’è la presa in carico, malgrado vengano prescritti controlli ogni 3 mesi.
Barbara spiega che tutto ciò avviene, nonostante nel 2014 siano state redatte le cosiddette “Linee di indirizzo sulle modalità organizzative e assistenziali della rete dei centri di senologia”. Lo stesso Parlamento Europeo ha indicato “la lotta al cancro alla mammella come una delle priorità della politica sanitaria degli Stati membri”, linee guide che il nostro paese non sembra aver adottato. Manca la prevenzione, è carente la diagnosi precoce e quando ci si ammala non si viene prese in carico e viene meno una costante informazione sui passaggi che riguardano la guarigione, partendo dalla definizione dei tempi e delle caratteristiche delle terapie alle possibili conseguenze dell’intervento chirurgico. Iniziare a modificare le attuali strategie di follow-up, rappresenterebbe un importante e necessario punto di partenza.
La vita delle donne affette da cancro al seno metastatico non è per niente rosea, è una vita sfilacciata preparata alla morte che si appiglia alla possibilità dell’azione banale del quotidiano che diviene preziosa in ogni sua forma, a dimostrazione che stanno ancora vivendo.
«Tutto ciò è amore puro, disinteressato, che convive in me insieme alla crudeltà di questa malattia», Nunzia prima di andare via.
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