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Tumori, trovata una molecola che ne blocca la crescita: lo studio

Di Giulia Angeletti
Pubblicato il 21 Apr. 2020 alle 09:59

C’è un “pedale molecolare” che riesce a frenare diversi tipi di tumore, il quale è stato identificato grazie a un particolare microscopio. E’ una parte dell’enzima soppressore PP2A, svelata appunto grazie a questa scrupolosa e nuova osservazione, la quale consente agli scienziati di conoscerne la struttura che potrà essere di grande aiuto nel disegnare molecole specifiche al fine di bloccare la crescita dei tumori. Tale enzima, inoltre, gioca un ruolo molto importante anche per quanto riguarda le malattie cardiovascolari e neurodegenerative; una notizia molto positiva, visto che sarà dunque possibile predisporre nuove terapie per combattere l’Alzheimer e gli scompensi cardiaci.

Suona il violino mentre la operano per un tumore al cervello

 

A illustrare la nuova scoperta uno studio pubblicato sulla rivista Cell da un gruppo di ricerca internazionale guidato dall’Università del Michigan. Ma in che modo agirebbe l’enzima PP2A per frenare la corsa del cancro? La proteina, in sostanza, agisce da soppressore del tumore, come riscontrato in diversi esperimenti condotti in provetta e su modelli animali dal gruppo di ricerca. Alcune molecole sarebbero in grado di attivare la proteina, la quale va ad agire riducendo le dimensioni del tumore. Grazie alla crio-microspia elettronica, una tecnica che nel 2017 è stata premiata con il Nobel per la chimica, è ora possibile conoscere la conformazione del sito a cui si legano le molecole attivatrici e perfezionarle per poterle trasformare in farmaci. La nuova tecnica, ha infatti spiegato Derek Taylor, farmacologo della Case Western Reserve University, “ci ha permesso di vedere per la prima volta con precisione come le diverse parti della proteina vengono unite e stabilizzate dalla molecola”. “Ora possiamo usare quell’informazione – ha proseguito Taylor – per iniziare lo sviluppo di composti che possano avere il profilo, la specificità e la potenza desiderati per arrivare all’uso clinico”.

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