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“La sanità è alla deriva: ecco cosa fare con il Recovery Plan e nel rapporto con le Regioni”

Di Lorenzo Zacchetti
Pubblicato il 8 Feb. 2021 alle 11:30 Aggiornato il 8 Feb. 2021 alle 13:00

I vertici di Aduc, Fials e Salutequità convergono nella loro analisi sulle criticità del SSN: “I fondi europei non compensano i mancati investimenti che hanno permesso al Covid-19 di fare una strage”

A un anno dall’inizio della crisi derivata dalla pandemia di Covid-19, è necessario rivedere la devoluzione alle Regioni delle competenze sanitaria. Ne è convinto Primo Mastrantoni, segretario di Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori): “E’ di tutta evidenza che una delle riforme alle quali il prossimo Governo dovrebbe mettere mano è quella di ridefinire le competenze Stato-Regioni, modificate da una deleteria riforma costituzionale del 2001 che ha moltiplicato centri decisionali e di spesa. Invece di semplificare si è complicato. Gli effetti si vedono. Tragicamente”.

“Secondo il report dell’Istituto Superiore di Sanità ci sono stati 85 mila morti, dei quali 35 mila nella prima ondata (marzo-maggio 2020) e 50 mila nella seconda ondata (ottobre 2020-gennaio 2021)”, continua Aduc. “Il virus ha ignorato l’etichetta partitica delle Giunte regionali, ma la Lombardia, che si riteneva essere il modello sanitario per eccellenza, è quella che ha registrato la maggior percentuale di decessi”.

“Altro flop regionale è stato quella della somministrazione del vaccino antinfluenzale: la competenza è regionale, così come la disorganizzazione registrata. Il piano vaccini Covid-19 prevedeva la somministrazione del vaccino per categorie, privilegiando, in primis, il personale sanitario. Ovviamente, le Regioni sono andate in ordine sparso: la Lombardia ha vaccinato il 41% del personale sanitario e il 51% non sanitario; l’Abruzzo, invece, ha vaccinato l’89% del personale sanitario e l’8% non sanitario (dati GIMBE)”, conclude Aduc.

Sul piano vaccinale è molto critico anche Giuseppe Carbone, segretario generale di Fials (Federazione Italiana Autonomie e Sanità): “Siamo solidali con infermieri, medici, operatori sanitari e cittadini che vedono disattese le loro legittime aspettative di efficienza e organizzazione del sistema salute ai massimi livelli”.

Anche dal suo punto di vista, è il sistema sanitario nel suo complesso a dover essere radicalmente ripensato: “Il Presidente Mattarella ha detto che le emergenze del Paese ‘possono essere fronteggiate soltanto attraverso l’utilizzo rapido ed efficace delle grandi risorse predisposte dall’Ue’, ma nessuno ancora ha capito come saranno utilizzate e il giocattolo rischia di restare inutilizzato”, afferma Carbone.

“Intanto i reparti ospedalieri sono sguarniti di personale e i vaccini per proteggerlo non bastano: la sanità è alla deriva. Mancano sufficienti risorse sui territori per pagare il lavoro svolto dagli operatori in prima linea contro il Covid-19 e per la somministrazione dei vaccini, poiché di fatto scarseggiano gli stanziamenti previsti dalla legge di Bilancio per tutte le realtà del sistema sanitario regionale nel 2021”.

Nel merito del Recovery Plan, Carbone spiega: “Come sindacato, riscontriamo evidenti falle nel testo in discussione: dove sono le indicazioni per procedere spediti? Mancano strumenti e cronoprogramma. Abbiamo letto solo slogan e proditorie intenzioni, ma il tempo stringe e l’emergenza incalza. É un elaborato fumoso che non contiene costi e impatti su Pil e occupazione: in altre parole non c’è il libretto delle istruzioni. Se il focus è davvero il lavoro in sanità, ravvisiamo lacune impressionanti”.

“In questa seconda versione del Recovery Plan – attacca Carbone – chiediamo in particolare che nella missione salute per il rafforzamento della rete dell’assistenza territoriale, vengano meglio definiti funzionalità e ruolo delle Case di Comunità e dell’Ospedale di Comunità, laddove quest’ultimo deve essere per le acuzie, mentre il territorio diventa protagonista. La missione non è corredata dalla previsione d’impatto occupazionale, anche sotto il profilo formativo al fine di sviluppare le competenze tecnico-professionali, digitali e manageriale dei professionisti della sanità, nonché di colmare le carenze sia di infermieri che di alcune figure specialistiche mediche. Una previsione atta a delineare il quadro della capacità dei vari investimenti di contribuire a qualità e quantità occupazionale affinché si eviti l’esternalizzazione dei servizi. Non vorremmo che si facciano le nozze coi fichi secchi, pretendendo di realizzare il progetto con le dotazioni di organico già esistenti. Invochiamo l’immediato coinvolgimento delle parti sociali per chiarire questo aspetto”.

“Per quanto riguarda la sanità digitale, Fials auspica che non rimanga un libro dei sogni avulso dal reale, soprattutto per telemedicina, formazione continua e fascicolo sanitario elettronico, che rappresenta il vero strumento della sanità del futuro, e non può e non deve tardare ancora nel vedere la luce. Ricordiamo che gli investimenti delle due componenti della missione salute sono divisi in quattro progetti per un ammontare di 18,01 mld di euro a cui si aggiungono risorse React Ue per 1,71 mld, per complessivi 19,72 mld”, conclude Carbone.

A criticare i provvedimenti previsti nel Recovery Plan è anche Tonino Aceti, Presidente di Salutequità, Associazione indipendente per la valutazione della qualità delle politiche per la salute: “Il PNRR (Piano Nazionale di Ripartenza e Resilienza) riserva alla missione Salute una cifra insufficiente a garantire la vera ‘svolta’ che servirebbe per il nostro SSN, per il suo rilancio, soprattutto in vista di eventuali altri episodi pandemici che potranno verificarsi nei prossimi anni e che non dovranno più mettere in ‘pausa’ le altre patologie com’è accaduto con il Covid-19”.

“Le risorse destinate alla sanità passano da 15 mld, cifra certificata dal Governo come già disponibile nella prima versione di Recovery Plan, a 19,7 MLD. Nessun raddoppio quindi, ma lo spostamento da una parte all’altra di risorse già presenti nella precedente versione del Recovery Plan e un’aggiunta di 4,7 MLD”, il Presidente di Salutequità.

“I 19,7 miliardi  restituiscono al Servizio Sanitario Pubblico solo la metà dei circa 40 mld di euro di mancati incrementi subiti dal fondo sanitario negli ultimi dieci anni per garantire il famoso equilibrio di finanza pubblica richiesto dalle diverse manovre che si sono succedute negli anni. Un rifinanziamento, in parte, di alcune voci fino a oggi sottostimate e lasciate alla spesa privata, non un investimento per un nuovo modello”.

“Il fabbisogno iniziale di risorse stimato dal Ministero della Salute per gli interventi di edilizia sanitaria in vista della prima stesura del recovery ammontava a 34,4miliardi, di cui 14 miliardi per adeguamenti sismici e antincendio. Invece il Recovery Plan poi approvato dal Consiglio dei Ministri assegna per la sicurezza degli ospedali 5,6 mld per realizzare 675 interventi di antisismica entro il 2026. Inoltre, mentre il Recovery Plan parla di ‘675 interventi’, che potrebbe significare anche una molteplicità di interventi per una stessa struttura sanitaria, nel 2013 la relazione conclusiva della Commissione parlamentare di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del SSN segnalava come le strutture che necessitavano di una pluralità di interventi di messa in sicurezza non fossero meno di 500”.

“Per il rafforzamento dei servizi territoriali e per una migliore presa in carico delle persone con fragilità (cronicità, non autosufficienza, disabilità…) vengono destinati, attraverso il Recovery Plan, 7,9 mld in sei anni, di cui circa un miliardo all’assistenza domiciliare. Una cifra insufficiente a coprire gli oltre 17 miliardi l’anno di spesa privata delle famiglie per l’assistenza sanitaria a lungo termine, assistenza domiciliare e assistenza ambulatoriale per cura e riabilitazione, certificata dalla Corte dei Conti”.

“A rendere il quadro ancora più serio è il combinato disposto con la Legge di Bilancio 2021: infatti, se nel 2022 l’incremento del finanziamento del SSN è pari a 822,870 milioni di euro, già nel 2023, 2024 e 2025 questo si riduce a 527,070 milioni di euro per ciascuno degli anni, mentre a decorrere dal 2026 è pari a 417,870 milioni di euro l’anno”.

“Dal 2023 sale nuovamente in cattedra la razionalizzazione della spesa (spending review – comma 404 L. 178/2020), che negli anni passati è stata confusa e declinata con un vero e proprio razionamento della spesa, dei servizi sanitari e dei diritti dei pazienti. E anche grazie a questo il SSN si è presentato alla sfida con la pandemia da Covid-19 impreparato, con i fondamentali non in ordine, con pazienti non-Covid costretti a diventare gli esodati del SSN e con numero di decessi di pazienti Covid-19 purtroppo tra i più alti in assoluto”.

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