Il parto di un bambino morto è un’esperienza terribile e dolorosissima. Solo negli Stati Uniti, ben 24mila neonati ogni anno nascono già senza vita.
Le cause possono essere molteplici, ma non sempre sono del tutto chiare. Tra le più diffuse vi sono difetti genetici, complicazioni legate al cordone ombelicale o alla placenta e malattie trasmesse dalla madre.
Un problema molto diffuso di cui si discute ancora troppo poco. Proprio dalla volontà di rompere questo muro di silenzio nasce Empty Photo Project di Susana Butterworth, una fotografa ventitreenne di Washington, Stati Uniti.
Un sofferto omaggio al suo primogenito, nato morto appena sei mesi fa: “Voglio che le foto di questo progetto siano abbastanza forti da trasmettere agli altri il dolore che si prova in questi casi. Voglio che tutti si rendano conto della necessità di aprire un dialogo sulla questione”, ha detto la fotografa statunitense in un intervento pubblicato da HuffPost UK.
Proprio l’ultimo aspetto è quello che sembra stare più a cuore a Susana Butterworth: troppe persone vivono la tragedia con eccessiva timidezza e non ne parlano, portandosi dentro un peso insopportabile. Secondo l’artista, invece, “chi ha partorito un bimbo già morto non potrà mai superare il dramma se lasciata sola, senza nessuno disposto ad ascoltarla”.
Immagini e parole per dare voce ad alcune donne che hanno vissuto in prima persona la perdita di un figlio. Tutte loro sono state fotografate mentre reggono uno specchio tondo davanti al grembo, come a voler simboleggiare il vuoto incolmabile lasciato dal bambino perso precocemente.
“È difficile raccontare la mia storia. Il vuoto che provo non si può spiegare. Sapevo delle probabilità, ma non avrei mai immaginato che sarebbe potuto succedere proprio a me. Scoprire che il mio bellissimo bambino soffriva di questa terribile malattia trasmessa da me mi ha fermato cuore. Mi ha letteralmente tolto il respiro. Mi sono subito data la colpa. Sono crollata al pavimento e ho cominciato a urlare. Non mi sono neanche messa a piangere. Era tutto troppo surreale”.
“La perdita di un bambino è un argomento di cui nessuno vuole parlare. Se posso essere onesta, anche io ho qualche difficoltà. Avevo poco più di 18 anni quando ho scoperto di essere incinta. Ero ancora una ragazzina, non ero sicura di riuscire a essere una buona madre. Ho pensato di abortire, ma qualcosa dentro di me diceva che potevo farcela. Stavo cominciando ad abituarmi all’idea di diventare madre quando ho ricevuto la notizia che nessun genitore vorrebbe mai ricevere. Mia figlia Sophia Lynn soffriva di un difetto del tubo neurale che non le avrebbe permesso di sopravvivere fuori dal grembo”.
“Non augurerei mai a nessuno il dolore che ho provato io quando è morto mio figlio Gabriel. Mi sono arrabbiata molto quando il dottore ha parlato di aborto mancato. Io non ho abortito. Io volevo davvero il mio bambino. Non ho apprezzato il fatto che abbia usato il termine medico corretto. Mi sono sentita vuota, con il corpo di mio figlio dentro di me e il suo cuore già fermo”.
“27 anni dopo la tua brevissima vita, ancora ricordo quel giorno come fosse ieri. Avevo appena 24 anni, ero sposata da poco e mi sentivo al settimo cielo per il nuovo arrivo in famiglia. Avevo deciso di chiamarti Brittany Diane. Sei arrivata presto, dopo 23 settimane di gravidanza, senza troppi allarmi. Hai lottato duramente. Ho avuto a disposizione solo quelle 23 settimane e appena quattro ore di vita in tua compagnia. Quei momenti trascorsi con te, mia dolce Brittany, mi hanno reso la donna e la madre che sono oggi”.