Se pensate che le microplastiche si trovino solo negli oceani e nei pesci, sbagliate. Uno studio internazionale ha dimostrato, infatti, che vengono riscontrati anche nel nostro organismo. I ricercatori della università di Medicina di Vienna e dell’Agenzia per l’ambiente austriaca hanno mostrato che nei campioni di feci umane sono presenti particelle di microplastiche: polipropilene e polietilene tereftalato sono solo un paio dei composti riscontrati.
Quando parliamo di microplastiche ci riferiamo a plastiche di dimensioni minime che si creano staccandosi, per via dell’usura o della degradazione, da pezzi di plastica più grandi. In altri casi, invece, queste microplasitche vengono usate di proposito, in alcuni prodotti (come vernici e detergenti, ma anche in alcuni cosmetici).
Come si legge su Wired, i ricercatori hanno iniziato a studiare quindi la quantità di microplastiche nei nostri organismi, in modo da poter monitorarne anche gli effetti nocivi per la salute. Da Vienna, i gastrointerologi hanno lanciato l’allarme: è forte la preoccupazione che queste particelle nel tratto gastrointerstinale possano favorire la trasmissione di agenti patogeni o sostanze chimiche nocive per il nostro organismo.
I ricercatori hanno studiato otto soggetti e i risultati sono stati inquietanti: “Le microplastiche potrebbero essere presenti nel 50 per cento della popolazione mondiale”, affermano gli studiosi. Tutti non vegetariani, sei di questi mangiano pesce: un italiano, un finlandese, un inglese, un basco, un polacco, un russo, un austriaco e un giapponese. Questi hanno meticolosamente appuntato sul loro diario alimentare tutto ciò che ingerivano fino al giorno del test.
Lo studio condotto dai ricercatori ha messo in evidenza come tutti avessero mangiato cibi incartati in materiali di plastica, oltre ad aver bevuto acqua da bottiglie ancora di plastica.
A questa fase è seguita l’analisi dell’Agenzia per l’ambiente austriaca sui campioni di feci degli otto volontari, testando 10 tipi diversi di microplastiche. Le dimensioni variano (da 50 micrometri a mezzo millimetro), mentre le tipologie di plastica maggiormente riscontrate sono quelle di polipropilene e polietilene tereftalato.
“Si tratta del primo studio di questo genere che conferma quello che abbiamo sospettato a lungo”, ha affermato Philipp Schwabl, che ha coordinato la ricerca. “Cioè che la plastica raggiunge l’intestino. Siamo preoccupati per le implicazioni di questo risultato, con particolare attenzione per i pazienti che hanno malattie del tratto gastrointestinale”.
Ma come è arrivata la plastica nei nostri organismi? Secondo gli scienziati, la plastica che in grande quantità arriva negli oceani, viene ingerita dai pesci. Gli stessi che finiscono sulle nostre tavole. Tra i pesci in cui più sono state riscontrate le microplastiche ci sono il tonno, ma anche l’aragosta e i gamberetti.
Non soltanto. Perché determinanti sembrerebbero essere anche gli imballaggi, prevalentemente in plastica. Dalla produzione alla tavola, i cibi sono in continuazione esposti alle plastiche.
La ricerca è stata contrastata da alcuni studiosi, che ritengono i dati molto limitati. Il biologo Martin Wagner dell’Università norvegese della scienza e della tecnologia ha infatti affermato che “la scala è ridotta e non rappresentativa”, dunque non affidabile.
Sempre secondo Wagner la ricerca non sarebbe stata condotta in modo appropriato e, soprattutto, punta il dito contro gli studiosi di Vienna non avrebbero fornito dettagli sulle misure prese per evitare la contaminazione con microplastiche in laboratorio.
Intanto, però, anche la politica si sta muovendo. Le microplastiche infatti verranno bandite nei cosmetici a livello europeo e ridotte negli imballaggi del cibo, mentre il ministero dell’Ambiente italiano è diventato “plastic free”. In Gran Bretagna si sta adottando la stessa soluzione e molto presto potremmo assistere alla messa al bando della plastica monouso.