Il caso della denuncia di violenze subite da Asia Argento ha portato alla luce i molteplici motivi che impediscono alle donne di denunciare gli stupri e gli abusi. Primo fra tutti il terrore di essere etichettate come artefici della propria disavventura.
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Nel leggere le reazioni alla denuncia di Asia, riusciamo a comprendere i motivi che l’hanno spinta a tacere per anni. Sapeva che il cinismo, il maschilismo e l’assenza di umanità di alcune persone avrebbero sminuito l’episodio che ha segnato la sua vita.
Oltre la paura di andare contro un uomo potente, naturalmente.
Vittorio Feltri, direttore di Libero, ne è l’esempio perfetto: in poche parole è riuscito a sminuire il coraggio di Asia, trasformando lo stupro in una “piacevole leccatina”.
Un po’ come Abid, il mediatore culturale che sulla vicenda di Rimini aveva commentato dicendo che “lo stupro è brutto solo all’inizio”.
Dietro ad ogni stupro, sminuito dagli uomini, trasformato in un gioco, ci sono centinaia di donne che si chiudono nel silenzio, corrodendosi tanto da sentirsi in colpa per la violenza subita.
Le parole di Vittorio sono lo specchio dell’Italia: incapace di comprendere la violenza di genere, mentre assiste silenziosa alle ondate di stupri, abusi, femminicidi e violenze di ogni tipo nei confronti delle donne.
Il direttore Feltri, assieme a tutti i cinici e a tutte le ciniche che non hanno risparmiato Asia da commenti crudeli, sono la dimostrazione che nel paese è assente una reale presa di coscienza di quanto la violenza nei confronti delle donne sia quotidiana e continua.
Quotidiana, perché le molestie partono dal vicolo di casa fino ad arrivare al lavoro o all’università, sui mezzi pubblici, al semaforo, al pub o al supermercato, e vengono scambiate per “complimenti”, che noi donne dobbiamo accettare.
Continua, perché non si ha nessuna pietà delle vittime e si cerca sempre di sminuire il fatto, di ridimensionare la vittima che tenta di farsi spazio e di farsi ascoltare. E la vittima si ritrova ad essere abusata più volte, tante quanti sono i commenti di mancata solidarietà.
L’abuso si ripete in ogni “è stata colpa sua”, “poteva evitare di uscire a quell’ora, vestirsi in quel modo, parlare in quel modo”. E ad ogni commento una vittima si ritira in una bolla e rifiuta di denunciare, di parlare e di raccontare perché sa che il suo ambiente non è pronto ad accoglierla, a sostenerla ed aiutarla.
I meccanismi che si innescano nelle vittime sono molteplici, con conseguenze devastanti a livello psicologico e fisico. Sono tantissime le donne che non hanno mai denunciato e che forse non lo faranno mai, troppo spesso per colpa dell’ambiente in cui si ritrovano che rende la vittima una colpevole che merita di vivere con il dolore, senza alcuna giustizia.
Nelle ultime ore, le donne di tutto il mondo hanno aderito alla campagna #MeToo (in Italia #Quellavoltache), per denunciare gli abusi e le violenze nei confronti delle donne. #MeToo ha permesso alle donne di unirsi alle ondate di denuncia, lasciando libertà di scelta nel parlare della propria esperienza o di aderire semplicemente, tramite l’hashtag.
#MeToo racchiude ogni forma di abuso e di violenza nei confronti delle donne, creando una catena di solidarietà che contrasta la cattiveria delle donne, che non hanno risparmiato Asia e tutte le donne vittime di violenza negli ultimi mesi.
Asia, tutte le vittime di violenza e tutte le donne che hanno aderito alla campagna #MeToo, mostrano che la battaglia femminista e per l’uguaglianza effettiva di genere è ancora agli inizi. E che la strada da percorrere è ancora lunga e in salita.
Sodfa Daaji è attivista per i diritti delle donne in Italia ed in Tunisia. Studentessa di scienze internazionali e diplomatiche all’università di Bologna, presidente della Commissione Parità di Genere per Afrika Youth Movement e membro del gruppo abolizionista dell’European Women’s Lobby.