Confindustria Dispositivi Medici è una federazione che rappresenta le aziende di un settore che vale, tra mercato interno ed export, circa 16,5 miliardi di euro. Al suo interno, Anifa si occupa del comparto specifico rappresentato da chi produce e commercializza dispositivi medici per l’udito, rivolgendosi a un’utenza composta da ben sette milioni di italiani. Nel generale quadro di crisi determinato dalla pandemia di Covid-19, le persone con questa tipologia di disturbi hanno subito un danno duplice, in quanto all’isolamento determinato dalle proprie carenze uditive si è sommato quello imposto dal lockdown. Come nella celebre canzone di Simon & Garfunkel, “The sound of silence”, per molti di loro questi mesi sono stati caratterizzati da una presenza tanto ingombrante quanto sgradita: il suono del silenzio, appunto. Per comprendere meglio le problematiche di questo settore e dei pazienti dei quali si occupa, TPI ha incontrato Sandro Lombardi, presidente di Anifa.
Le difficoltà ci sono per tutti, ma la persona ipoacusica – soprattutto se priva di protesi – può trovarsi veramente isolata dal mondo. Le patologie ipoacusiche per loro natura allontanano il paziente dalla vita sociale e questo è ancora più forte in un periodo di separazione anche fisica come quello che stiamo vivendo. Fortunatamente la nostra categoria non è mai stata soggetta all’obbligo di chiusura, nemmeno nel primo lockdown, ma le singole persone non potevano muoversi e quindi è stato comunque un periodo molto difficile. Molti centri hanno chiuso comunque e specialmente tra marzo e aprile le conseguenze economiche sono state rilevanti, anche perché il nostro codice ATECO non è stato interessato da ristori.
Sì, molto. Nella prima fase della pandemia, c’è stato un incremento esponenziale dell’utilizzo di app e sistemi da remoto per la regolazione degli apparecchi acustici. Questi strumenti consentono all’audioprotesista di collegarsi da casa propria, o dallo studio, con l’apparecchio del paziente, al fine di effettuare le regolazioni che dovessero essere necessarie. Questo è il risultato degli investimenti e della tecnologia che è presente in questi apparecchi, benché essi diventino sempre più piccoli.
È un’iniziativa importante, che stiamo mettendo in campo come comparto. La conoscenza della patologia è ancora limitata, perché c’è un periodo di latenza piuttosto importante dal momento in cui la persona inizia a percepire un disagio uditivo al momento in cui varca la soglia di uno studio di un audioprotesista: passano anche degli anni. Eppure, più il tempo passa, più è difficile rimediare. Per questo motivo con questa campagna puntiamo molto sulla prevenzione, ma anche sulla solerzia da parte del paziente che, appena si rende conto di avere dei problemi, deve andare da un medico per una diagnosi e, se necessario, poi anche da un audioprotesista.
Sì, questa è stata la terza problematica che si è verificata a causa del Covid-19, oltre ai già descritti problemi per l’industria e per i pazienti. Sul versante delle ASL, che sono gli organi deputati alla definizione della ipoacusia e quindi all’apertura delle pratiche per chi ha diritto al rimborso, c’è stato un blocco: anche chi voleva sottoporsi a controlli ed eventualmente a un processo di rimediazione, trovava le porte chiuse e quindi non poteva usufruire dei benefici di legge rispetto al rimborso.
Il sistema storicamente si basa su un processo di rimborso da parte del SSN, per i pazienti con alcune caratteristiche predefinite. Questo è ancora valido oggi, ma è fortemente messo in discussione dall’evoluzione della situazione a livello regionale. Come noto, la sanità è appunto di competenza regionale e questo fa sì che in Italia praticamente esistano 20 sistemi sanitari, diversi tra loro. Con i nuovi LEA, pubblicati nel febbraio 2017, alcune regioni hanno escluso le protesi acustiche dal novero dei dispositivi medici su misura, spostandolo in quello degli strumenti realizzati in maniera industriale e poi regolati su misura per il paziente. Questo passaggio, che potrebbe apparire solo semantico, ha fatto sì che le protesi acustiche diventassero oggetto di gara d’appalto. Tale cambiamento sta minando un mercato che tuttora rappresenta un fiore all’occhiello per l’Italia, nel confronto con il resto d’Europa. Uno studio pubblicato dal Censis nel novembre colloca ai massimi livelli la soddisfazione degli utenti ipoacusici italiani nei confronti di un servizio che è basato su una industria privata, con la possibilità di avere rimborso nei casi in cui se ne abbia il diritto. Il paziente può quindi scegliere il proprio audioprotesista di fiducia, il quale in scienza e coscienza sceglie il prodotto più adatto, in base alla ipoacusia riscontrata. Il cambiamento in atto farà sì che il paziente non potrà più scegliere l’audiprotesista e quest’ultimo inoltre non potrà più scegliere il prodotto che ritiene più adatto, bensì dovrà basarsi su quanto previsto nella gara bandita dal decisore pubblico. Ciò rappresenta una forte limitazione, ma anche una spersonalizzazione totale della scelta.
Ribadisco un messaggio fondamentale: ai primi sintomi di ipoacusia, iniziate immediatamente il percorso. Solo così si riesce ad avere una rimediazione efficace. Ricordo, inoltre, che diversi studi clinici hanno ormai confermato la correlazione tra ipoacusia e malattie neurodegenerative: anche per questo è necessario non esitare di fronte ai primi sintomi, perché oltre a compromettere la possibilità di rimediazione (soprattutto nei pazienti più anziani), si mette a rischio anche la salute complessiva della persona in questione.
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