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Il Covid-19 non sente ragioni: 7 milioni di italiani con problemi di udito, isolati nel lockdown

I disturbi uditivi arriveranno a interessare 8 milioni di persone entro il 2025, per poi arrivare tra i 10 gli 11 milioni nel 2050. Il Presidente di Anifa, Sandro Lombardi, spiega a TPI: "Queste persone stanno soffrendo di un ulteriore isolamento, oltre al distanziamento sociale che riguarda tutti"

Di Lorenzo Zacchetti
Pubblicato il 15 Dic. 2020 alle 16:26

Sono ben 7 milioni gli italiani con problemi d’udito. Una popolazione che a causa dei periodi di lockdown è rimasta ancora più isolata. Per lo più over 65, rappresentano il 12,1% della popolazione italiana e in questi mesi di emergenza Coronavirus hanno dovuto far fronte anche ad un altro tipo di isolamento, quello acustico, che si sommato ai già notevoli disagi del distanziamento sociale.

Si va dalle difficoltà a percepire le voci sussurrate, che riguarda il 45,5%, il quale indica che questo accade a volte (32,3%) o frequentemente (13,2%), fino alla necessità di chiedere alle persone di ripetere ciò che hanno detto (54,7%) fino alla difficoltà di sentire i programmi alla TV o alla radio (26,9%).

Secondo Anifa, l’associazione di Confindustria Dispositivi Medici che rappresenta le aziende che producono e commercializzano dispositivi medici per l’udito, per circa 3 mesi, durante la fase di lockdown, quasi nessuno si è presentato nei centri acustici per sottoporsi a prove e ancor meno sono le persone che hanno avviato il percorso di rimediazione. Solo pochi centri acustici hanno lavorato su appuntamento, gestendo limitate richieste. E’ andato a rilento anche l’iter autorizzativo da parte delle ASL di competenza, i collaudi e i rinnovi.

Confindustria Dispositivi Medici è la Federazione di Confindustria che rappresenta le imprese che forniscono tali dispositivi alle strutture sanitarie italiane, pubbliche e private. Rappresenta un tessuto imprenditoriale variegato e specializzato, dove le piccole aziende convivono con i grandi gruppi. Il comparto dei dispositivi medici complessivamente genera un mercato che vale 16,5 miliardi di euro tra export e mercato interno e conta 3.957 aziende, che occupano 76.400 dipendenti.

“La gestione dell’emergenza, dal lockdown alla Fase 2, per le persone affette da problemi acustici sta diventando un vero e proprio isolamento. Chi non aveva disponibile un apparecchio acustico ha rinunciato ad andare a verificare le proprie condizioni e a dotarsi di un dispositivo che potesse aiutarlo a superare i problemi di udito. Questo atteggiamento genera spesso problemi depressivi, allontanamento da affetti e familiari e il perdurare di questa situazione potrebbe provocare un aggravarsi di molte patologie e l’insorgenza di sindromi correlate come gli effetti negativi a livello psicologico”, spiega a TPI Sandro Lombardi, presidente Anifa.

Si può stimare che nel 2025 il numero di persone con un calo uditivo autodiagnosticato sarà pari a 8 milioni e che salirà fino a una quota compresa tra i 10 e gli 11 milioni nel 2050. Si tratta infatti di patologie destinate a crescere alla luce dell’invecchiamento della popolazione, ma non solo. L’incremento maggiore si riscontra tra il 2012 e il 2018, oltre che nella classe degli ultraottantenni, nella classe d’età di età intermedia (dai 46 ai 60 anni), che rappresenta quella più esposta ai rischi di tipo ambientale (+9,8% contro il +7,7%).

“Le imprese Anifa sono impegnate per ridurre le conseguenze derivate dall’ipoacusia attraverso un investimento costante in ricerca e sviluppo (che dal 2010 al 2017 è aumentato del 74%) per apparecchi sempre meno invasivi e maggiormente personalizzati, capaci di colmare il gap uditivo in maniera sempre più naturale. Stiamo ora lanciando una campagna di informazione per aiutare tutte le persone con ipoacusia e stiamo sottoponendo al Ministero della Salute la richiesta di aggiornamento del nomenclatore contenuto nei nuovi Lea (DPCM 12 gennaio 2017) che prevede un’acquisizione di tali dispositivi da parte del Servizio sanitario nazionale tramite procedure pubbliche d’acquisto, procedura idonea per dispositivi seriali, ma non per apparecchi la cui personalizzazione è alla base dell’alto apprezzamento dei pazienti”, aggiunge Sandro Lombardi.

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