In Italia l’aborto è regolato dalla legge 194 che legalizzava l’aborto volontario, approvata il 22 maggio 1978.
La legge
La legge 22 maggio 1978, n.194, dal titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, è la legge che 40 anni fa ha decriminalizzato e disciplinato l’accesso all’aborto.
Prima di allora infatti, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata dal codice penale italiano un reato, con gli articoli 545 e seguenti.
Negli anni precedenti al 1978, la battaglia per il diritto all’aborto venne portata avanti dai partiti di sinistra (PCI, PSI, PSDI), dai partiti liberal-capitalisti (PRI, PLI), e dal Partito Radicale, oltre che da numerose associazioni civili, come ad esempio dal Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto (CISA) e in particolare dalla sua segretaria Adele Faccio.
La 194 consente alla donna, di ricorrere alla IVG in una struttura pubblica (ospedale o poliambulatorio convenzionato con la Regione di appartenenza), nei primi 90 giorni di gestazione; tra il quarto e quinto mese è possibile ricorrere alla IVG solo per motivi di natura terapeutica.
Il referendum
Il 17 maggio 1981 la legge fu sottoposta a referendum abrogativo. La 194 fu confermata con il 68 per cento dei voti contrari all’abrogazione della norma. Il referendum fu proposto dal Movimento per la vita di matrice cattolica, e puntava ad abrogare ogni circostanza ed ogni modalità dell’interruzione volontaria della gravidanza, previste dalla legge 194.
Tra i quesiti referendari di quel 17 maggio ve ne erano anche altri, di cui uno sulla legge 194, proposto dai radicali, ma di matrice opposta, che voleva ampliare la legge sull’aborto e ampliare le possibilità di abortire. In entrambi i casi prevalsero i no e la legge 194 non venne modificata.
Il referendum sull’aborto divise in maniera molto forte l’opinione pubblica italiana e le campagne per il sì e per il no furono molto accese.