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    Zona rossa in Val Seriana, Conte e Fontana sono penalmente perseguibili. Lo dice la legge

    Di Filippo Bertolami
    Pubblicato il 15 Giu. 2020 alle 12:18 Aggiornato il 16 Giu. 2020 alle 12:22

    Zona rossa in Val Seriana: Conte e Fontana sono penalmente perseguibili

    Perché Conte dice che la mancata costituzione delle zone rosse ad Alzano e Nembro è stata una decisione politica del Governo convenuta con la Regione Lombardia e Fontana tace sul punto? Forse per invocare l’insindacabilità degli atti politici ed eludere quindi responsabilità penali, civili e amministrativo-erariali, causate da sottovalutazioni, mancanza di coordinamento e condizionamenti per il pressing degli imprenditori del bergamasco e dei fabbricanti d’armi del bresciano? È proprio vero che hanno fatto tutto quello che dovevano/potevano per bloccare i contagi partiti da Alzano e Nembro come hanno dichiarato ai PM o ci sono stati ritardi omissivi, rifiuti di adempiere ad obblighi di rispettiva competenza, nonché disparità di trattamento e contraddittorietà con le zone rosse costituite per altri comuni, compreso Codogno e Vo’ Euganeo che, appena “sigillati” nelle zone rosse, hanno registrato il blocco dei contagi e dei morti?

    Se invece la Procura di Bergamo non considerasse gli atti in concorso tra Conte e Fontana come politici, bensì amministrativi, oltre al reato di epidemia, sarebbe loro contestabile l’omissione-rifiuto di atti d’ufficio e perfino l’omicidio per ciò che erano tenuti ad adempiere per legge appena ricevuta la notizia dei primi contagiati ad Alzano e Nembro, poi deceduti a causa del Covid-19? Potrebbe essergli contestato anche l’abuso d’ufficio o perfino la corruzione per aver accettato il rischio di danneggiare la salute e l’incolumità dei cittadini a favore degli interessi economici degli industriali? Per questo rischiano anche la grave imputazione per “dolo eventuale” – con conseguente aumento delle pene – soprattutto a fronte delle richieste di chiusura dei due comuni da parte dell’Istituto superiore di sanità e degli ospedali da parte dei medici disperati, per la situazione ormai evidentemente degenerata?

    Zona rossa: nessuna “impunità politica”

    Perché il PD, la Lega e Colao hanno tentato, in modo tanto trasversale quanto maldestro, di proporre uno “scudo Covid-19” per tutti i dirigenti pubblici e privati coinvolti nell’emergenza, compresi gli imprenditori e gli industriali che hanno ottenuto il privilegio di non subire zone rosse e/o di non fermare le loro aziende come gli altri? Forse perché vorrebbero estendere anche a loro l’impunità “politica”, facendo ricadere il prezzo degli errori di Governo, Regione Lombardia e datori di lavoro solo sui cittadini? Gli stessi che nei prossimi anni, oltre a piangere i morti e a lavorare in condizioni di insicurezza, saranno ulteriormente tartassati per risarcire i danni civili ed erariali causati da una gestione stile ammuina-scaricabarile, da parte di chi avrebbe invece avuto tutti gli strumenti a disposizione per limitarli?

    Sembrerebbe proprio che la Procura di Bergamo, dopo aver disconosciuto la “politicità” delle scelte sulle zone rosse, dovrebbe considerare sia i provvedimenti che le scelte omissive di Conte e Fontana come espressione di un agire amministrativo illegittimo, in quanto vincolato a ben precisi canoni giuridici connessi a pareri di carattere tecnico-scientifico, che sono stati rispettivamente violati e inascoltati; a fronte peraltro di evidenti lesioni di diritti e libertà di rango costituzionale che non possono sottrarsi al vaglio della tutela giurisdizionale, soprattutto per il rifiuto di adempiere a quanto richiesto da tecnici e dirigenti sanitari, tanto osteggiato da certi imprenditori e industriali.

    Per il bene comune la Procura dovrebbe quindi indagare Conte e Fontana in concorso con i rispettivi dirigenti-esecutori e i pressanti rappresentanti degli imprenditori – qualora si dimostrasse pure la minatorietà del pressing o peggio lo scambio di favori di qualsiasi genere – affinché si possa poi giudicare pubblicamente e trasversalmente il comportamento di un’intera classe dirigente, su una vicenda che comunque segnerà in negativo la storia dell’Italia, così come il disastro del Vajont, le torture del G8 di Genova o il crollo di Rigopiano, considerato che l’accertamento delle responsabilità penali faciliterà quello delle responsabilità civili e amministrativo-erariali e sarà utile anche per meglio focalizzare su quelle politico-istituzionali.

    Zona rossa: cosa dice la legge

    Vediamo come e perché. La teoria sull’insindacabilità degli atti politici per la necessità di rendere impunito chi sta al potere, risale storicamente a Luigi XIV, Le Roi Soleil (il Re Sole) che infatti si considerava legibus solutus (al di sopra delle leggi), ma già dopo la Rivoluzione francese si ridusse al dibattito sulla particolare natura solo degli acts de gouvernement (atti governativi); mentre in Italia gli “atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico” vennero considerati non impugnabili (art.31 del Regio decreto n.1054/1924 – Testo unico del Consiglio di Stato) se, come risulta dai relativi atti parlamentari, fossero stati “diretti a tutelare, sì nell’indirizzo degli affari interni che nelle relazioni coi potentati stranieri, gli interessi e le necessità dello Stato”, essendo peraltro “carente un interesse privato direttamente offeso”.

    In materia la nostra Costituzione ha sancito tre principi cardine per uno stato di diritto e democratico in cui la legge dovrebbe essere uguale per tutti: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti” (art.28); “Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria” (art.96); la “tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti” (art.113).

    Il nostro ordinamento prevede pure l’immunità penale per il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro, ma solo se “abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo” (art.9, comma 3 – legge costituzionale n.1/1989 – Procedimento per i reati ministeriali) (NB – evocata anche da Salvini per i casi Diciotti, Gregoretti e Open Arms); nonché la non impugnabilità degli “atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico” (art.7, comma 1, decreto legislativo 104/2010 – Codice del processo amministrativo).

    Negli anni le nostre supreme corti giurisdizionali hanno ulteriormente eroso/ridotto la portata dell’insindacabilità degli atti politici, che non potrà comunque essere di “ostacolo all’accertamento degli eventuali reati commessi nel corso del loro esercizio e delle conseguenti responsabilità, sia sul piano penale che su quello civile” (Corte di Cassazione – Sezioni Unite n. 5044/2004); considerato che “gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto” (Corte Costituzionale, n.81/2012) e che comunque “l’atto politico è tale soltanto se (…) si caratterizza per essere libero nei fini, perché riconducibile alle supreme scelte in materia di costituzione, salvaguardia e funzionamento dei pubblici poteri” (Consiglio di Stato, Sezione VI, n.3550/2018).

    Visto il quadro normativo-giurisdizionale attualmente in vigore quindi, nessuno dei provvedimenti, dei ritardi o dei rifiuti per la costituzione delle zone rosse ad Alzano e Nembro da parte di Conte e Fontana potrà quindi essere equiparato a decisione politica libera nei fini e svincolata da canoni giuridici. Infatti proprio l’art.1 comma 1 del decreto-legge n.6 del 23 febbraio 2020 stabilisce che “allo scopo di evitare il diffondersi del COVID-19, nei comuni o nelle aree nei quali risulta positiva almeno una persona (…) le autorità competenti sono tenute ad adottare” (NB – letteralmente un obbligo quindi e non una facoltà); tanto che infatti lo stesso giorno Conte ha emanato un decreto con cui sono state costituite zone rosse per vari comuni, compreso Codogno, non anche per Alzano e Nembro, nonostante l’emergenza in quei comuni fosse già acclarata da giorni.

    Solo il successivo 8 marzo saranno ricompresi in una più ampia e meno controllata zona, quindi definibile più correttamente “arancione”, in quanto comprendente tutta la Regione Lombardia e senza la sospensione delle attività imprenditoriali o del servizio di trasporto merci o persone, così come era invece precedentemente avvenuto per gli altri comuni compreso Codogno. Così come evidenziano la gravità delle loro responsabilità anche ulteriori elementi indizianti: i dati statistici che hanno visto un’impennata della mortalità nei due comuni della Val Seriana che a metà aprile si assestava al 745% in più rispetto agli anni scorsi e per tutto il territorio al 568%; l’ingiustificabile riapertura dell’ospedale di Alzano e la mancata chiusura di tutti quelli in cui i contagi stavano crescendo in modo inarrestabile; cui si aggiungono le oltre alle 84mila imprese di Bergamo rimaste aperte con 385mila dipendenti che, unitamente alle 107mila di Brescia con 402mila lavoratori impiegati, hanno rappresentato una vera e propria bomba ad effetto contagioso, che poteva essere disinnescata, anziché ricomprendendola nella zona arancione, costituendo zone rosse le due province di Bergamo e Brescia, che invece sono poi divenute il lazzaretto d’Italia.

    Nessuna condanna preventiva, ma è necessario che un pubblico processo faccia luce su quanto di tragico è accaduto a quelle famiglie i cui morti pesano sulla coscienza di un’intera classe dirigente, visto che a conferma di quanto già indicato nel precedente approfondimento su “Chi decide sulle zone rosse? La legge dice che su Alzano e Nembro hanno torto sia Conte sia Fontana”, oggi la posizione di entrambi è ancor più focalizzata nella sua gravità e sarebbe inutile invocare il caos che oggettivamente pervade questo tipo di emergenze. Perché la nostra classe dirigente politico-amministrativa è strapagata e anche chiamata a mantenere la freddezza decisoria nei momenti più cruciali per la salvaguardia di una comunità, avendo tutti gli strumenti e le risorse che, pagando le tasse, i cittadini gli conferiscon, delegandogli ogni potere per tutelarli e non per fare ammuina-scaricabarile dietro l’immunità politica di chi vorrebbe essere legibus solutus atteggiandosi a Roi Soleil.

    Leggi anche: 1. Chi decide sulle zone rosse? La legge dice che su Alzano e Nembro hanno torto sia Conte sia Fontana /2.. Ma quale colpa del Governo, le Regioni che volevano hanno istituito 117 zone rosse. Anche la Lombardia poteva / 3. Mancata zona rossa Alzano-Nembro, il Viminale smentisce la Procura di Bergamo che invece ha già “assolto” Regione Lombardia. Fontana e Gallera potevano farla se avessero voluto

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