Interdetto. Dispiaciuto. Amareggiato. Arrabbiato. Incazzato, persino, anche se non gli sentirete dire una parola polemica, e anche se sul suo viso non vedrete che sorrisi. C’è un retroscena su Nicola Zingaretti in questa anteprima di crisi, che spiega cosa sta accadendo nella complicata partita a tre fra Pd, Lega e M5s. È un retroscena legato all’ormai celebre tweet di Maria Elena Boschi e alle parole con cui Matteo Renzi ha provato a imporre al suo successore una mozione di sfiducia.
In pubblico Zingaretti ha scelto di non polemizzare direttamente con i suoi avversari interni. A In Onda, per esempio, nell’ultima apparizione pubblica, ieri, ha detto: “La linea l’abbiamo decisa con gli organismi dirigenti e con i due capigruppo. Ed è la linea del Pd. Altre non ce ne sono”. Fate attenzione: uno dei due capigruppo è renziano, l’altro lo era. Zingaretti sottointende che tutto il partito era impegnato da quella deliberazione. Ma non basta quello che si dice in chiaro: il fido Andrea Cappelli, portavoce del segretario, ha diramato una nota in cui ha spiegato, attraverso la formula delle “fonti vicine alla segreteria”, che la proposta della Boschi è una linea che al Nazareno (quello di oggi) piace poco o nulla.
Perché questo punto diventa così importante in questo momento in cui il governo è in fibrillazione? Per capirlo bisogna leggere una dichiarazione insolitamente formale di ieri, quella con cui Matteo Salvini diceva di avere fiducia “nel ruolo di garanzia del Quirinale”. E perché questi due segnali apparentemente distanti, che arrivano da due leader contrapposti, sono collegati? Perché tutti sanno che in caso di crisi sia per il Pd che per la Lega il pericolo più grande sarà quello di scongiurare un qualsiasi governo che in qualsiasi forma, o in qualsiasi finalità sostituisca quello gialloverde: “Le possibilità che il Pd prenda parte ad un’altra maggioranza sono zero. Noi siamo pronti al voto, il nostro avversario è la Lega”, dice Zingaretti. “Non ci sono altri governi oltre questo” continua a ripetere Matteo Salvini. Con parole quasi identiche. E qui si inserisce il caso Boschi.
Zingaretti è convinto di aver costruito dopo il Russiagate un “capolavoro politico”. E quando parla davanti ai suoi, in queste ore, senza le cautele imposte dalle forme istituzionali dice: “Ci davano per morti, abbiamo recuperato 7 punti. Dicevano che eravamo nell’angolo. E ora in poche mosse abbiamo sensibilizzato i vertici di Camera e Senato e costretto Salvini ad andare dove non avrebbe mai voluto in questo momento, cioè di fronte alle Camere. Lì ogni parola che il ministro dirà sul Russiagate – aggiunge il segretario del Pd – lo metterà nei guai, soprattutto con i suoi alleati. E poi con l’opinione pubblica. Lì non potrà dire bugie”. E prosegue: “Sia la Casellati che Fico sono interessanti ad istituzionalizzare il percorso, con un intervento del ministro alla Camere e…”. Ultimo tassello: “Quand’é che questa crisi è diventata seria? Quando Conte ha sconfessato Salvini sull’invito a Savoini in delegazione. Per Salvini è stato come mettere nero su bianco la prova che aveva mentito. Per me è la prova che Conte ha margini di autonomia e non ne ha paura”.
E proprio a questo punto, nel pieno della partita, arriva la manovra dei renziani che secondo Zingaretti ha una sola finalità: “Costringere il M5s a rientrare nei ranghi e a ricompattare la maggioranza intorno a Salvini”. Possibile? Di fronte agli interlocutori stupefatti il segretario spiega: “È ovvio che un voto di fiducia ora otterrebbe l’unico risultato di portare Di Maio a sostenere Salvini. È una previsione di logica elementare”. Ed è qui che il segretario del Pd riflette sulla mossa di Renzi fino a considerarla non un errore, ma una sorta di “fuoco amico” contro il Pd: “La fiducia posta ora mette il carro davanti ai buoi. Può arrivare alla fine di un percorso di chiarificazione istituzionale, non prima. Diventa un soccorso politico a Salvini e un salvagente per il M5s che si trova in difficoltà”.
Perché? L’idea del segretario è semplice. L’area che fa capo all’ex premier sta rivelando il suo interesse a blindare la legislatura ad ogni costo. Tutti sanno che è sovraraprresentata in Parlamento, addirittura per gli equilibri che esistevano al momento del voto. Mentre con quelli di oggi per i renziani sarebbe impossibile anche solo immaginare di riportare una parlamentare su tre di quelli attuali. Tuttavia la cosa che fa più arrabbiare il segretario del Pd è la certezza che questo calcolo di bottega ignori totalmente la prima battaglia in cui lui vorrebbe impegnato il Pd. Quella per battere politicamente la Lega ora, ed elettoralmente domani. “Se andiamo al voto in questo quadro – conclude Zingaretti – non ce n’è per nessuno: la sfida è tra noi e la destra. Chi vuole impedire questa sfida lavora contro di noi. Non contro un gruppo dirigente, ma contro l’interesse di tutto il centrosinistra”.