Yanis Varoufakis, partiamo da qui: come sta la Grecia?
Esiste una risposta ufficiale e una ufficiosa. Secondo la versione ufficiale, la Grecia è fuori pericolo. È in ripresa, è stata normalizzata e non si trova più tra le grinfie della Troika. O almeno questo è quello che vi direbbe il premier greco Mitsotakis. Ma se lo chiedete a me, la situazione non è mai stata peggiore di oggi, molto peggio che nel 2010 e nel 2015.
In che modo?
Tanto per cominciare, quando eravamo in bancarotta nel 2010, il Pil greco era pari a 225 miliardi di euro l’anno, nel 2021 è stato pari a 181 miliardi. Il nostro debito pubblico era pari a 300 miliardi di euro, oggi è pari a circa 400 miliardi. Inoltre, abbiamo avuto 10-12 anni in cui abbiamo svenduto tutto – ad esempio i nostri aeroporti non ci appartengono più. Ogni centesimo di ricavato va diretto alle isole Cayman, non resta in Grecia. Il modo in cui abbiamo smantellato la nostra rete elettrica sotto la Troika è il motivo per cui oggi con la crisi energetica abbiamo i prezzi dell’elettricità più alti.
E allora perché nessuno parla di quanto sta accadendo in Grecia?
Ecco, questo è un punto tremendamente importante. A decretare quale nazione è in bancarotta e quale no nell’Unione europea lo decide la politica, non la finanza. Se domani, per una ragione qualsiasi, Bruxelles e Francoforte decidessero che l’Italia è in bancarotta, l’Italia è in bancarotta. Tutto ciò che devono fare è dire una singola, piccola parolina e lo spread sale del 20%. Il vostro debito è sostenibile solo perché lo decide la BCE.
Quindi ora la Grecia è addomesticata e per questo va bene così com’è?
La finanza oggi ama la Grecia perché è una fonte di grossi guadagni. Una vera miniera d’oro. Esistono due motivi. Anzitutto perché lo spread è al 2,5% sui bond tedeschi, che è un po’ come ottenere un premio assicurativo sapendo che non ci saranno incidenti perché la BCE continuerà a comprare bond. Quindi continuano allegramente ad acquistarli, almeno finché Mario Draghi e OIaf Scholz andranno d’accordo con Mitsotakis.
E il secondo motivo?
Sta nel fatto che con la Grecia così conciata la finanza può permettersi di fare cose terribili. I prestiti spazzatura, i prestiti privati, sono stati impacchettati in derivati con la garanzia di Stato offrendo un margine di profitto minimo a chi li acquista. E attraverso questo meccanismo di compravendita fanno cose stupefacenti. Vi faccio un esempio: prendete una banca, che non è più legata ai greci in alcun modo, questa ha in pancia i prestiti di cui parlo, li vende a un fondo, il fondo appartiene allo stesso banchiere. Il quale fondo però ha la garanzia statale – dell’ECB, in realtà, perché lo Stato è in bancarotta – e lo presta nuovamente alla banca, che a sua volta li mette sul mercato per vendere i prestiti ai consumatori.
Un circolo vizioso diabolico con il solo fine di speculare sui greci…
Adorano questo circolo vizioso e ci fanno un sacco di soldi, perfino le commissioni su queste operazioni sono milionarie. Perciò finché esiste un accordo politico che stabilisce che la Grecia sta bene, tutto ciò andrà avanti. Intanto, però, l’economia greca sta collassando. Prendete il vecchio aeroporto di Atene, un aeroporto bellissimo. È stupendo, enorme. Lo hanno dato a un oligarca greco, Latsis, che ha la residenza in Svizzera. Lo ha acquistato dallo Stato a un prezzo ridicolo con l’obiettivo di creare un parco, un casinò, un centro commerciale. Un grande investimento. Non ha fatto nulla di tutto ciò. Ha ottenuto i terreni quasi gratis e adesso li sta lottizzando e rivendendo. È come vedere la mafia in azione.
Varoufakis, lei sta descrivendo il sistema politico finanziario che ha retto l’Europa (e l’Occidente) negli ultimi 25 anni. È possibile cambiarlo?
Ci sono diversi modi in cui il sistema può cambiare. Al momento, abbiamo una banca centrale europea che finge di occuparsi dell’inflazione – dico finge perché non c’è molto che possa fare contro l’inflazione. Perché? Perché nel 2020, quando avremmo dovuto creare un tesoretto europeo per affrontare il debito pubblico e privato, non abbiamo fatto nulla. Quando nel 2012 l’intero meccanismo stava per crollare, Mario Draghi con il suo “whatever it takes” ha infilato tutti i prestiti spazzatura – pubblici e privati – nel portfolio-asset della BCE. E adesso non sanno cosa farci, perché se li vendono per contrastare l’inflazione – per contenere il quantitative easing come viene chiamato – finiremmo con società fallite e Stati in bancarotta.
E quindi ora che succede?
Quindi ora si trovano all’angolo e non sanno cosa fare. Se alzano i tassi d’interesse distruggeranno l’Italia e le multinazionali, e se non lo fanno sarà la politica tedesca a distruggerli, che è molto infastidita a causa dell’inflazione. E vi garantisco che l’opinione pubblica tedesca non vede di buon occhio l’inflazione. Perciò qualcosa – non so cosa – si spezzerà. Olaf Scholz è un candidato naturale per questa rottura perché è molto debole.
Addirittura?
Bè, sì… si capisce già che ha perso il controllo della situazione, ha meno autorità dei Verdi dentro il governo tedesco in questo momento, per rendere l’idea. E molto presto i democristiani torneranno alla ribalta. Già mi vedo il presidente della CDU che condurrà una campagna in stile “Make Germany Great Again”.
Cosa significherà questo?
Due cose: austerità. E poi che l’ECB venderà i suoi asset, e questo avrà forti ripercussioni sul resto d’Europa.
Facciamo un esercizio di fantapolitica. Se la sogna mai un’Uecon lei al governo in Grecia, Melanchon in Francia e qualcun altro dei vostri al comando in Europa?
Il trucco per fare la cosa giusta è di essere in grado di lottare per ciò che dev’essere fatto, anche quando prevedi di non farcela. Se pensassi che ciò che faccio mi porterà al potere, non lo farei, perché non posso prevederlo.
Ma tornerebbe volentieri al governo?
È un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo! (ride). Il punto è che stiamo perdendo un’occasione dopo l’altra. Il 2008 è stato una grande occasione per compiere progressi in tutto il mondo perché era chiaro che dopo trent’anni in cui ha prevalso il mito secondo cui il mercato sa sempre cosa fare anche il neoliberismo era ormai giunto al capolinea. Anche i più celebri sostenitori di quella narrativa hanno ammesso che era crollato. Alan Greenspan ad esempio ha dichiarato che il suo modello economico del mondo era sbagliato. E noi non eravamo pronti, la sinistra non era pronta.
E oggi la sinistra lo è?
No. Oggi meno che mai. La sinistra è finita. Ha toccato il fondo. Melanchon ha fatto un ottimo lavoro creando una coalizione temporanea, ma ora non siedono neanche in parlamento come un unico blocco. Guardi, come le dicevo, in passato abbiamo avuto momenti bellissimi nelle piazze, c’erano incontri frequenti con la sinistra italiana, abbiamo parlato molto, ma non abbiamo concluso nulla. E nel frattempo persone come Mario Draghi, Timothy Geithner e Larry Summers hanno rimesso in piedi il settore finanziario utilizzando denaro pubblico – delle banche centrali – e hanno spinto il capitalismo verso una grande deflazione, una grande stagnazione. Perciò oggi ci ritroviamo con il più basso livello di investimenti nella storia del capitalismo rispetto ai denari che sono in circolazione, con ciò diminuendo le capacità produttive dell’Occidente.
Segno che anche il neo-liberismo ha perso il passo della storia?
Basti pensare che produciamo meno cose oggi rispetto a 15 anni fa. La Cina si è espansa, ma Stati Uniti e Europa sono in contrazione. Le multinazionali sono più ricche che mai. Il benessere dei pochi è aumentato, la sofferenza della maggioranza delle persone è cresciuta incredibilmente per l’austerità. Abbiamo avuto 13 anni di stagnazione, lavori di bassa qualità, precarietà, e questa era la situazione prima della pandemia. Poi è arrivato il Covid, e i governi hanno continuato a fare esattamente la stessa cosa: stampare denaro, darlo ai banchieri e farlo girare in borsa, in modo che la ricchezza finanziaria continuasse a salire, senza tuttavia fare investimenti.
Con quali conseguenze?
Siamo stati tagliati fuori dalla Cina a causa della catena di approvvigionamento, perciò d’improvviso abbiamo assistito a una riduzione delle forniture. L’aumento della domanda è lieve perché le persone non hanno molti soldi, i prezzi salgono e tutto d’un tratto il sistema collassa perché devono fare qualcosa per l’inflazione ma hanno zombificato il capitalismo e non possono de-zombificarlo senza che avvenga qualche grossa catastrofe. Per quanto riguarda la sinistra, noi in Grecia siamo responsabili della nostra sconfitta, abbiamo avuto una grande opportunità nel 2015. Avremmo potuto dire, sapete cosa? Se volete chiudere le nostre banche, va bene, usciamo dall’Europa. Soffriremo, ma almeno rimetteremo a posto i conti e ri-inizieremo da capo. Ero pronto a farlo ma all’epoca Tsipras si è arreso e io ho rassegnato le mie dimissioni. Quella è stata la fine della sinistra in Europa.
Perciò come si può costruire qualcosa per il futuro se la sinistra è al capolinea?
Con grande difficoltà. (ride)
Come definirebbe, allora, il movimento che si sta creando intorno a lei in Europa?
La buona notizia è che non è solo in Europa. Dal 2018 Democracy in Europe Movement 2025 (DiEM25) si è ampliata unendo le forze con Bernie Sanders negli Stati Uniti e abbiamo creato un movimento internazionale progressista. Ad esempio il nostro grande amico Gustavo Petro è appena stato eletto presidente della Colombia. I presidenti di Honduras, Cile e Colombia adesso fanno parte del nostro gruppo. Nel mondo siamo attivi in India, Nigeria, Sudafrica stiamo cercando di trovare persone in Cina – cosa certo non facile – e abbiamo un gruppo in Turchia [l’HDP ndr].
E in Italia su chi punta Varoufakis?
C’è DiEM Italia!
Va bene, certo, ma chi vede di buon occhio? Faccia qualche nome…
Penso che dovrete aspettare fino a settembre per un annuncio importante, adesso non posso fare nomi, ma non attingeremo di certo persone dal PD. Quello che vogliamo fare è creare uno spirito internazionalista radicale, basato su un’economia razionale e politiche radicali. Questo è il nostro progetto globale.
Senta, che sensazione ha provato quando ha visto la foto di Macron, Scholz e Draghi in treno verso l’Ucraina?
L’Ucraina è una grande sfida per tutti noi. Anzitutto voglio essere chiaro sul fatto che ritengo Putin un criminale di guerra dal 2001 – quell’anno fui l’unico professore del mio dipartimento a opporsi per il suo dottorato ad honorem. La difficoltà che tutti noi abbiamo, in quanto persone non presenti sul terreno di battaglia, è questa: come sostenere l’Ucraina senza essere responsabili al contempo della sua distruzione per essersi fatta trascinare da Joe Biden, che sta provocando danni immensi al futuro del Paese. Per esempio quando ha detto che Putin dev’essere processato dalla Corte penale internazionale, anzitutto il Congresso non lo approverebbe, gli Stati Uniti non ne fanno parte. In secondo luogo gli servirebbe l’approvazione del Consiglio di sicurezza – ovvero della Russia. Cose da pazzi. Bisogna fare attenzione quando si dicono certe cose.
Pensa che Biden sia ingenuo?
No, penso che gli Stati Uniti abbiano un interesse personale verso il prolungamento del conflitto in Ucraina contro gli interessi dell’Europa. Nel 2011, quando vivevo negli Stati Uniti, un ex dirigente dell’NSA mi spiegò quale fosse la politica degli USA all’interno della Nato, e vale ancora oggi. Disse: “Il nostro unico scopo in Europa è tenere i tedeschi sotto controllo e i russi fuori”, ed è quello che hanno fatto. In un certo senso Putin è una creazione degli USA. Nei primi anni ’90 i governi sotto Boris Eltsin erano molto pro-americani, volevano essere parte dell’Occidente. Ma l’economia russa è stata schiacciata, l’aspettativa di vita degli uomini scese da 74 a 58 anni, e Putin è quello che succede quando si umilia un Paese: sale al potere l’uomo forte fascista. E si capisce che agli americani va bene perché ora vendono il loro gas e petrolio dal Texas e il New Mexico agli europei sostituendo Gazprom, Olaf Scholz comprerà 100 miliardi di euro in armamenti dagli Usa. Henry Kissinger, un uomo molto intelligente, nel 1970 chiede al Consiglio di sicurezza dell’Onu, “come faremo a mantenere la nostra egemonia quando non saremo più la principale potenza economica?” L’hanno fatto, e adesso stanno mettendo a rischio la sostenibilità dell’Ucraina.
Come se ne esce da questa guerra?
Secondo me dalla prima settimana di guerra si sarebbe dovuto organizzare un summit tra Biden, Putin, Zelensky e l’UE molto semplicemente. Trovare un accordo che riportasse le truppe russe dov’erano prima del 24 febbraio, demilitarizzare la zona tra l’Ucraina e la Russia, far accedere l’Ucraina all’Europa ma non nella Nato. In questo modo Putin avrebbe potuto vendersi l’accordo come un successo, facendo del Donbass una specie di Irlanda del Nord. L’alternativa a questo sono dieci anni di guerra e un nuovo Afghanistan o una nuova Cipro.
E gli Usa vogliono davvero solamente usare l’Europa e controllarla?
Certo, non solo controllarla, ma farci anche un sacco di soldi. Più inviamo armi pesanti, artiglieria a lunga gittata, più penetreranno nel Paese per mantenere una distanza di sicurezza. Certo è possibile e doveroso armarli, ma al tempo stesso bisogna aprire un canale diplomatico con Mosca e Biden dovrebbe dire: “Li armeremo, ecco la vostra via d’uscita”. Ma come avrebbe detto Mao Zedong: “Grande la confusione sotto il cielo, situazione eccellente!” La guerra rafforza gli Usa economicamente e politicamente. Putin è il responsabile, ma gli americani stanno peggiorando le cose.
Per quale motivo oggi il reddito di cittadinanza è così divisivo in Italia?
Nel 2015, quand’ero al ministero, la Troika veniva da me esercitando pressioni per farmi accettare il un reddito minimo garantito. All’inizio pensai, perché no? Ma poi ho capito cosa volevano: tagliare tutti gli altri sussidi. Invece di sostenere le famiglie con bambini o disabili, preferiscono sostituire gli aiuti con un piccolo reddito minimo garantito per risparmiare in un colpo solo. Per questo i sindacati sono contrari, non si tratta di migliorare le condizioni di vita delle persone, è nuova austerity travestita da reddito garantito. Il diavolo è nei dettagli. Va anche compiuta una distinzione tra salario minimo e reddito universale. Quest’ultimo non è discriminatorio e ha un enorme potenziale progressista, potere d’emancipazione.
Pensa che Mario Draghi si ritirerà dalla scena una volta terminata l’esperienza di governo?
Conosco Mario personalmente. È un uomo molto intelligente, abbiamo avuto degli scontri durissimi, come quando nel 2015 per salvare le banche italiane sacrificò quelle greche. Quello che trovo interessante in lui come Primo ministro secondo me rivela molto sull’attuale situazione dell’Europa: è forse uno dei premier più popolare d’Italia da decenni, ma se si fosse candidato alla carica non sarebbe stato eletto. Capendo questo si comprende in che genere di situazione si trova la politica.
Ha visto il discorso di Giorgia Meloni in Andalusia. Che sensazioni ha provato?
È una neofascista molto intelligente. La differenza tra lei e Salvini è che lei è una fascista più pericolosa, e si è allineata agli Usa. Salvini è stato attratto dai democratici illiberali come Orban, Le Pen e Putin. Meloni non ha questo tipo di impegni, ha capito che la sua scelta migliore era quella di essere un’atlantista. Non dimentichiamoci che è lo stesso modo in cui i fascisti spagnoli e portoghesi sono sopravvissuti per decenni all’interno dell’Alleanza guidata dagli Usa, perché a Washington non importa se sei fascista, basta che obbedisci agli ordini nella sfera internazionale.
Cos’è il “tecnofeudalesimo”?
È il titolo del mio prossimo libro, lo finirò ad agosto e dovrebbe uscire a dicembre. Nel 2010-11, ebbi questa sensazione: quello che fu il 1991 per il comunismo, il 2008 lo è stato per il capitalismo, penso che quell’anno abbia segnato la sua fine. Ma il capitalismo poggia su due colonne: la prima sono i profitti privati, fanno girare il sistema, è come il combustibile in un motore. Il secondo pilastro sono i mercati: il mercato del lavoro, finanziario, immobiliare, tutto avviene attraverso mercati. Sia i profitti che il mercato adesso non vanno più. I profitti privati sono stati sostituiti dai soldi delle banche centrali, mentre i mercati stanno venendo sempre più rimpiazzati dalle piattaforme digitali come Amazon, che non è un mercato. È nato un nuovo tipo di capitale che io chiamo ‘capitale cloud’. Stiamo venendo addestrati a fare le cose su piattaforme che non sono mercati ma appartengono a una persona. Abbiamo un nuovo sistema socio-economico adesso che non è più capitalista, sebbene il capitale continui a regnare. Questo è quello che chiamo tecnofeudalesimo.
È giunto il momento che le Big Tech paghino per i nostri dati?
Sì certamente, nel libro che ho presentato ieri “Another Now”, getto le basi per un mercato socialdemocratico. In un capitolo propongo una legge sui diritti dei dati e come potrebbe funzionare quel mercato. Ma la cosa importante non sono solamente i nostri dati digitali ma anche e soprattutto la nostra identità digitale. Dobbiamo ri-privatizzarla e toglierla alle multinazionali. Non bastano le regolamentazioni – è impossibile regolamentare le big tech – bisogna fare qualcosa di più: ci serve un cambiamento a livello di diritto societario. Ma questa è un’altra lunga discussione che spero potremo avere presto insieme.