“È stata la settimana più brutta della mia vita: dopo la morte di Willy il mondo dell’informazione ha trattato Colleferro come una piazza di spaccio, quando in sei anni abbiamo fatto un meraviglioso lavoro con i giovani. Ora veniamo descritti come vichinghi e orde barbariche senza cuore”. A cinque giorni dalla morte di Willy Monteiro Duarte, il 21enne preso a calci e pugni nella notte tra il 5 e il 6 settembre, il sindaco di Colleferro, Pierluigi Sanna, si abbandona a un durissimo sfogo nei confronti della stampa italiana, che secondo il primo cittadino ha ingiustamente ritratto il suo comune come la piazza delle baby squillo e delle palestre che allenano ad uccidere. A TPI, il sindaco della città di 21mila abitanti in provincia di Roma dichiara: “Ci siamo occupati di musica, di teatro, di fabbriche, di tecnica, di scienza, saremo capitale europea dello spazio nel 2021, ma la stampa nazionale ci ha descritti come quanto di più negativo esista sul pianeta abitato dall’uomo”.
Qual è stato il titolo che più l’ha colpita?
È già gravissimo che mandino in onda le nostre immagini con la colonna sonora di Gomorra o che scrivano che questa città è piazza della droga o delle baby squillo, perché magari glielo dice un vecchietto per strada che non sa di cosa sta parlando, mentre non c’è una sola denuncia agli atti in sfruttamento della prostituzione giovanile. Sono diventato sindaco a 26 anni, gli stessi di uno degli aggressori, ma i ragazzi della mia età non andavano in giro con il Suv di notte ad ammazzare la gente. Io ho una Panda e lavoro da cinque anni come un ossesso per migliorare questa città, mi fa così tanto male che ci stiano trattando così.
Per quale motivo, secondo lei, in questi giorni si sta dicendo che realtà come Colleferro sono abbandonate da Dio e dalla politica?
Ma noi non siamo abbandonati, abbiamo l’unica azienda aerospaziale d’Italia con il doppio di ingegneri e architetti delle altre città dove si produce scienza, ogni ordine e grado di scuole, la più grande biblioteca del Lazio, tre musei: ma quale periferia? Siamo uno dei luoghi più ricchi per quanto riguarda l’enogastronomia del Lazio, a pochi chilometro dalla città dei papi, Anagni.
E le palestre?
Altro che palestre di arti marziali: abbiamo speso milioni di euro su impianti sportivi, abbiamo piste d’atletica, campi da calcio e da rugby. Mi dispiace da morire che ci si descriva in un altro modo.
A cosa imputa allora il comportamento dei quattro presunti aggressori, non vi è una responsabilità politica e culturale?
Trovare una ragione all’omicidio è impossibile, quel tipo di ferocia e sete di sangue non hanno razionalità. È sbagliato cercare una fonte razionale, perché non esiste: sono una banda di sicari che vanno condannati per il loro gesto, tra l’altro con pedigree di un certo livello che nulla aveva a che fare con la nostra città, con le nostre serate o i nostri ristoranti, proprio quelli in cui Willy si era concesso un momento di svago quella sera.
Quali misure occorre adottare in futuro per evitare che episodi del genere si ripetano?
Al primo posto dobbiamo continuare ad educare continuamente, serve educazione, serve lavorare insieme alle famiglie e alla scuola, come abbiamo fatto noi in questi anni, aprendo luoghi di aggregazione pubblici. E poi bisogna dare man forte alle forze dell’ordine, ormai senza mezzi e organico. Come possiamo pretendere che controllino se a loro disposizione non c’è nulla?
È in corso uno scontro tra chi attribuisce la responsabilità della morte di Willy alla cultura fascista che permea il nostro Paese e chi invece si concentra sull’estetica dei quattro ragazzi: i tatuaggi, lo stile, l’allenamento in palestra.
Non è una questione politica o razziale. Gli aggressori si sono accaniti con più violenza perché Willy era nero, ma il movente non è il razzismo e non c’entra neanche la politica, c’entra essenzialmente quella che Hannah Arendt chiamava “la banalità del male”, di chi pensa che le cose vere della vita possono arrivare al secondo posto dopo l’apparenza, le feste, la macchina, il fisico, i muscoli, e questo tema è culturale. Siamo seduti su 3mila anni di storia e non sappiamo di esserlo e ci vergogniamo di insegnarlo ai nostri figli, ma soltanto la raffinatezza e la complessità culturale del nostro popolo ci potrà salvare dalle bestialità, dalla violenza, dalla decadenza etica e morale diffusa.
Pensa di querelare qualcuno per i ritratti giornalistici su Colleferro?
Sto valutando, anche se il mio atteggiamento è un atteggiamento di compostezza, perché quando ti trovi davanti a una famiglia come quella di Willy ogni grido te lo rimandi giù in gola. Quando ti trovi davanti una madre e un padre che soffrono in silenzio senza muovere un muscolo, con compostezza e serietà, ogni rabbia la tieni dentro e accetti quell’insegnamento, non vai oltre. Vorrei gridare ma ogni volta che vedo quei genitori chiedo perdono e rimango in silenzio.
Come lei stesso ha scritto in un duro sfogo condiviso su Facebook, dopo il clamore di questi giorni, a breve ci si dimenticherà di Colleferro.
È abbastanza scontato, voi cronisti avrete altri fatti da raccontare. Ma bisogna tenere alta l’attenzione perché i ragazzi che testimonieranno hanno bisogno di tutto il nostro sostegno altrimenti c’è il rischio che qualcuno li avvicini e manipoli il loro racconto.
Conosce i testimoni che hanno assistito all’aggressione?
Faccio il sindaco di mestiere 14 ore al giorno, li conosco tutti di vista perché hanno dieci anni meno di me. Sono fragili ma coraggiosi, com’era Willy, ma bisogna star loro vicino. Ho fatto quattro appelli pubblici dicendo a chi ha visto di recarsi ai carabinieri. Se si chiede giustizia, la giustizia va chiesta nel processo e per farlo chi ha visto deve testimoniare.