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    Quegli italiani “a metà” cui viene negato il diritto di voto

    Chi ha patito maggiormente l’asperità dei toni della campagna elettorale sono senz’altro i figli degli immigrati di lungo periodo. L'opinione di Ilham Mounssif

    Di Ilham Mounssif
    Pubblicato il 8 Mar. 2018 alle 16:22 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:28

    Il fatidico 4 marzo è passato. Il momento in cui i cittadini sono chiamati a esprimersi sulle sorti del paese si è consumato e il risultato è quello che in tanti avevamo previsto.

    Al di là di ogni considerazione su chi abbia avuto la meglio e su chi abbia fallito, mi preme ricordare che in questa campagna elettorale – iniziata tanto tempo prima dello scioglimento delle Camere – coloro che hanno patito maggiormente l’asperità dei suoi toni sono senz’altro i figli degli immigrati di lungo periodo, la cosiddetta seconda generazione (oramai anche terza).

    Non solo buona parte di loro è rimasta tagliata fuori dalla possibilità di esercitare il dovere civico di votare, ma quella stessa parte – che da tempo si districa tra la burocrazia infernale e una legge datata sulla cittadinanza che non permette agevolmente di vedersi riconosciuti cittadini del paese in cui si nasce e cresce – si è trovata al centro del dibattito politico come target di una forte opposizione che non ha neanche avuto la premura di distinguerli dalla complessa e delicata questione della crisi migratoria che ha investito l’Europa negli ultimi anni e in particolare l’Italia, che, come noto, ha visto un esodo di ingressi di rifugiati, richiedenti asilo (aventi diritto e non).

    Tutto questo ha prodotto una confusione e diffidenza tale da far naufragare una riforma temperata, peraltro poco sostenuta anche da una certa sinistra che avrebbe avuto l’occasione buona per cambiare le carte in materia di cittadinanza.

    È interessante riflettere su come paradossalmente, le seconde generazioni – secondo sondaggi e recenti ricerche – tendano a essere allineate con i partiti che notoriamente hanno posizioni rigide sulla questione migratoria e che hanno osteggiato il progetto di riforma della legge sulla cittadinanza oppure non hanno preso posizione. Infatti, parte del successo di tali forze politiche è dovuto anche al contributo elettorale dei cittadini di altra origine.

    Tale inclinazione non mi sorprende affatto, e anzi, da un certo punto di vista non fa altro che confermare quanto da tempo asseriamo: chi nasce e cresce in questo paese ne è sua parte integrante e ne riflette le peculiarità socioculturali. Sarebbe stato bello per me e tanti altri potermi recare alle urne e sentirmi un pezzo della comunità, con la possibilità di scegliere chi deve decidere e legiferare anche per mio conto.

    L’ingiustizia di avere le mani mozzate ed alcuna voce in capito nel momento cruciale del voto, tassello fondamentale del processo decisionale in una democrazia, non dovrebbe avere spazio nel nostro paese.

    Credetemi, è una sensazione infelice quella di sentirsi ai margini della società del paese in cui si cresce, ancor più se si è particolarmente attenti a ciò che ci circonda e alla politica in senso stretto.

    Questo, mi permetto questa digressione, vale anche per i tanti cittadini italiani giovani e lavoratori fuori sede lontani dai comuni di residenza che non hanno potuto esprimere il loro voto per questioni logistiche e di contingenza: è inammissibile e assurdo che nel 2018 possa perpetrarsi tale situazione.

    I giovani, il futuro del nostro paese, che non può decidere del proprio avvenire. Inaccettabile, sopratutto se pensiamo che chi vive da anni fuori dal nostro paese, lontano fisicamente e spesso anche disinteressato alla cosa pubblica, possa esprimersi in merito al futuro della nazione. Ciò non vuole suggerire di escludere altri piuttosto che alcuni.

    No. I diritti vanno estesi, più diritti si sommano e fanno la felicità di una comunità. I diritti si estendono nei modi e tempi dovuti, sopratutto se da anni si reclamano a gran voce.

    Perché questi diritti implicano forti doveri che rafforzeranno e uniranno questo tanto frammentato tessuto sociale, che come testimoniato dai risultati elettorali va sempre più disgregandosi e polarizzandosi. Per quel che mi riguarda, questa tornata elettorale è stata parziale. A metà. Incompleta.

    Perché ha visto esprimersi solo una parte di chi ogni giorno cammina per le strade delle nostre città e dei nostri quartieri.

    Perché ha escluso una forza giovane e volenterosa di esser quella che di fatto è, italiana. E da tale vorrebbe esserlo anche sulla carta e adempiere così a quegli obblighi e ed esercitare diritti che le restituirebbe la dignità e senso di cittadinanza. In tutti i sensi.

    Leggi anche: Quando mi sono resa conto di non essere italiana

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