“Faremo resistenza passiva. Voglio vedere se avranno il coraggio di mandare la forza pubblica a sfrattare le donne. Voglio vedere a cosa può arrivare la sindaca di Roma, che sostiene di avere grande spirito innovativo”. La senatrice Monica Cirinnà in un’intervista a TPI sfida Virginia Raggi sulla Casa Internazionale delle donne, dopo che mercoledì 8 novembre il comune di Roma ha inviato un avviso di pagamento del debito di oltre 800mila euro che grava sulla struttura entro 30 giorni. Altrimenti, scatterà “la procedura coattiva” nell’ex complesso del Buon Pastore.
La Casa Internazionale delle Donne è un centro che coniuga iniziative culturali e sociali, organizzando incontri e convegni e offrendo servizi come prestazioni socio-sanitarie, legali, di accoglienza e orientamento al lavoro, con particolare riguardo al genere femminile.
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“La Casa Internazionale delle donne l’abbiamo fatta noi”, rivendica Cirinnà. “Abbiamo cominciato il lavoro con la giunta Rutelli e l’abbiamo portato a termine con Veltroni. Quel luogo è nato con le amministrazioni di centrosinistra”. La senatrice rivendica la volontà politica e il lavoro dietro la creazione della Casa delle donne, un’antica struttura che nel Seicento era una prigione femminile, e che nel 1983 è stata destinata a scopi sociali. Per ironia della sorte, a minacciare lo sfratto contro la struttura in caso di mancato pagamento del debito, è la prima sindaca donna della capitale, Virginia Raggi.
Senatrice Cirinnà, questo non è un controsenso?
Credo che la cultura dell’appartenenza alla storia politica femminista sia assente nel mondo dei Cinque Stelle. Virginia Raggi si è comportata esattamente come avrebbe fatto qualunque sindaco – uomo o donna – della sua area politica, ovvero il centrodestra. Io ho la prova che il Movimento Cinque Stelle è un movimento di destra. Ho pagato sulla mia pelle il fatto di aver sperimentato un’alleanza con loro sulle unioni civili, una legge che loro alla fine non hanno votato.
Si comportano così in tutte le situazioni in cui si può colpire ciò che la sinistra ha costruito.
La storia della Casa delle donne è una storia di libertà, cultura, esperienza, voglia di condividere quel know how positivo che le donne hanno su tantissimi temi. Non fu facile in quegli anni mettere insieme 40 associazioni diverse e dargli la gestione della Casa. Cosa può saperne Virginia Raggi di questo? Cosa ne sa dell’aria che si respira dentro il Buon Pastore? Credo che non ci sia nemmeno andata.
Il complesso del “Buon Pastore” è un luogo che abbiamo creato quando palazzo Nardini di via del Governo Vecchio crollava e c’era bisogno di trovare un nuovo spazio. Era ancora viva Mariella Gramaglia, e altre donne che avevano fatto scelte importanti nei grandi comuni. Oggi questo patrimonio si è perduto, perché purtroppo la città è in mano a personaggi inefficienti che ignorano la cultura politica, non solo del mondo delle donne, ma anche di tanti altri ambiti.
Basta varcare quel cortile, andare a cena in quel ristorante, passare nei corridoi dove ci sono le sedi di quelle associazioni, per sentire la forza della cultura delle donne.
C’è un problema di ignoranza politica, di mancanza di conoscenza del movimento femminista. Una sindaca donna non si comporta così, se ha un minimo di infarinatura su questi argomenti.
Potremmo dire che neanche Alemanno era arrivato a questo.
Alemanno non ha potuto farlo, perché nonostante fossimo in minoranza, la presidente della Commissione delle Elette sotto Alemanno ero io.
Alemanno vinse le elezioni, ma aveva solo una donna in maggioranza al Consiglio comunale. Una sola su oltre 30 eletti. La sinistra elesse invece solo due donne: io per il Partito democratico (unica su 17) e Gemma Azuni di Sel. Per statuto del comune di Roma, la Commissione delle Elette è composta da tutte le donne elette in Consiglio comunale. Quindi eravamo due di sinistra e una sola di destra: due voti contro uno, ed io venni nominata presidente.
Per cinque anni feci “ballare” Alemanno, non solo sul fatto che il Buon Pastore non si toccava, ma gli feci anche cadere la giunta tre volte, appellandomi al Tar e al Consiglio di Stato, perché non c’era una donna in giunta. Alla fine inserì tre donne. Alemanno era paralizzato dall’attività della Commissione delle Elette, che su questo non perdeva un colpo. Non perché io ne fossi la presidente: c’era un’altra esponente combattiva come Gemma Azuni. E poi il movimento delle donne si faceva sentire, eravamo ancora fresche di “Se non ora quando”.
Il movimento ora si è forse indebolito?
No, questo non mi sento di dirlo. La Casa fa un ottimo lavoro, il problema è che il comune non la valorizza e non la aiuta. Prima di arrivare a questo doloroso sfratto, si poteva negoziare, per esempio, la creazione di servizi che la struttura poteva dare al comune. Quando io ero in Campidoglio con Alemanno, nonostante fossi in minoranza, avevamo quasi chiuso l’accordo per fare dentro la Casa un asilo nido, una ludoteca, un luogo di accoglienza per i bambini del quartiere. Sarebbe stato un modo indiretto di aiutare le mamme lavoratrici. E la Casa avrebbe avuto un aiuto economico dal comune. Poi si poteva fare quello che io ho fatto alla Casa per tanti anni, cioè spalmare il debito, in modo da non considerarlo una morosità per sfrattarle.
Cosa si può fare adesso?
Bisogna immediatamente fare un’operazione di resistenza civile. Una resistenza combattiva, di quelle che le donne sanno fare, per dire che loro vogliono comunque che la casa esista. Ci vuole una spinta molto forte, con un evento che possiamo organizzare tutte insieme. Poi dal punto di vista tecnico-giuridico bisogna trovare una soluzione per spalmare il debito. Non c’è un’altra soluzione.
Con Veltroni noi inventammo la famosa delibera 26, quella del canone ridotto per gli spazi sociali, come cooperative e associazioni culturali. Non si può pensare che gruppi di persone, che fanno quasi tutte lavoro su base volontaria, per il bene delle donne, siano in grado di tirare fuori 800mila euro. Allora vuol dire che vuoi fare cassa, vuoi vendere il palazzo e magari farci un hotel a cinque stelle.
Bisogna convocare un tavolo. Io ci sono, sono in prima linea.