A un anno dal voto che ha consegnato a Giorgia Meloni il governo del Paese i sondaggi, pur con qualche piccola fiammata – come quella del PD dopo l’elezione di Elly Schlein – non si sono allontanati più di tanto dal dato del giorno delle elezioni. La compagine di governo continua, infatti, a godere di una salda maggioranza, Fratelli d’Italia continua a essere saldamente prima lista, segue stabilmente il PD a una distanza non preoccupante e le divisioni tra le diverse anime dell’opposizione rendono più serena la situazione per Giorgia Meloni e compagnia.
C’è tuttavia un convitato di pietra, che fa suonare questi pigri sondaggi come una quiete prima della tempesta, e quel convitato si chiamano elezioni europee. L’anno che ci attende, infatti, sarà un anno molto particolare, non solo perché saranno eletti i nostri rappresentanti a Bruxelles ma anche perché gli Stati Uniti dovranno scegliere l’inquilino della Casa Bianca e tutto questo si svolgerà con una serie di temi cruciali in sottofondo, di natura internazionale come locale, a partire dalla guerra in Ucraina, dalla crisi migratoria, dal carovita e dal reddito di cittadinanza. Temi che potrebbero infiammare la campagna e smuovere i sondaggi dal loro torpore verso qualsiasi direzione.
E allora, non stupiamoci se questi statici sondaggi che ci accompagnano da un anno dovessero, nei prossimi mesi, essere sconvolti e diventare qualcosa di diverso quando si trasformeranno in risultati. Complice, non solo i temi che potrebbero entrare in gioco, ma anche quell’astensione sempre più alta che gioca un ruolo da spada di Damocle: da un lato, quegli italiani lontani dalle urne potrebbero essere spinti a votare se qualcuno dovesse essere in grado di toccare le corde giuste, alterando così qualsiasi previsione, dall’altro, una scarsa partecipazione potrebbe portare alcune forze politiche a portare a casa risultati interessanti a fronte di un numero di voti relativamente ridotto.
Ma poi c’è anche l’ipotesi che non ci sia nessuna sorpresa, e davvero il torpore dei sondaggi potrebbe prolungarsi fino alle elezioni europee e consegnare un dato se non fotocopia, molto simile a quello del settembre 2022. Questo lo decideranno gli elettori, ma in ogni caso la quiete sembra destinata a finire dopo il voto: siamo sicuri che, se qualcuno nella maggioranza dovesse uscire ridimensionato, non proverà a far saltare il banco, crescere nei consensi e con l’obiettivo di capitalizzarli in sede elettorale? Se qualcuno dovesse invece consolidarsi particolarmente, tenterà la carta del voto o imparerà la lezione di Salvini nel 2019? Se i numeri della maggioranza parlamentare dovessero essere in bilico, arriverà qualcuno a dar loro man forte? Lo scopriremo solo vivendo, e anche se il prossimo anno dovesse essere ancora di quiete elettorale, non stupiamoci se dopo il voto arriverà la tempesta.