Il Governo Conte ha incassato ieri in Senato una fiducia striminzita, facendo leva sull’astensione di Italia Viva. Si apre ora una nuova fase politica, in cui il premier avrà poco tempo per cercare di allargare la maggioranza e di offrire al Paese (e a Mattarella) una concreta prospettiva politica da qui alla fine della legislatura. Ne parliamo con Nadia Urbinati, professoressa di Scienze politiche alla Columbia University di New York e tra i più importanti politologi italiani.
Mi è piaciuto il fatto che Conte abbia scelto uno stile descrittivo, spiegando non solo quanto fatto finora dal Governo, ma concentrandosi anche sulle riforme che vanno ancora realizzate. Ha mostrato di “informare” coloro che erano chiamati a decidere se votare la fiducia, secondo una concezione deliberativa della democrazia. Ha tenuto bassissimi i livelli di demagogia, aprendo le porta a una vera discussione. Ed era proprio quello che doveva fare, avendo davanti a sé il problema di cercare un sostegno che andasse al di là della sua maggioranza.
La democrazia parlamentare presuppone il mandato libero. Così come Renzi è uscito dal Pd per fondare il suo partito, altri parlamentari possono uscire dai loro partiti per dare sostegno alla maggioranza. Non capisco dove sia il problema. Chiamarli “cosiddetti” responsabili o in modi persino peggiori è offensivo per la democrazia.
Istintivamente verrebbe da pensare che è meglio andare alle elezioni e fare lì la conta. Questa reazione emotiva però è sbagliata. La potenziale debolezza del Governo è chiara, ma c’è un paradosso su cui occorre riflettere. In certi casi, quando si ha una maggioranza risicata, può esserci uno stimolo maggiore a lavorare bene, proprio per guadagnarsi l’appoggio necessario dei parlamentari incerti e per restare in sella.
Che ci fossero dei problemi nell’azione del Governo è innegabile. Quando si sta in una coalizione è normale che qualcuno possa puntare i piedi su determinate questioni. Detto questo, a un certo punto occorre trovare una sintesi e andare avanti, non si può far saltare il banco e mandare tutti a casa solo perché si sono palesate delle difficoltà, è del tutto illogico.
Alla sua irrazionalità. Quando si è troppo presi dal tatticismo, da emozioni molto forti, si perde la capacità di fare scelte giuste e ponderate, come mandare giù un rospo oggi per avere una soluzione migliore domani. La politica è fatta di questo, non di roboanti affermazioni e decisioni istintive.
Lo è profondamente. In Italia purtroppo negli ultimi 30 anni siamo stati abituati a disprezzare il lavoro dei rappresentanti, derubricando tutto a una questione di “poltrone”. Conte, nella sua replica in Senato, ha messo i puntini sulle i anche su questo, disinnescando questa retorica populista. Il paradosso del nostro sistema politico però è anche un altro: all’interno di un movimento populista (per quanto dentro alle istituzioni) come i 5 stelle, un personaggio come Conte, che nulla aveva a che fare con la politica e non ne conosceva tattiche e strategie, può sviluppare una grande intelligenza politica.
Non so come proseguirà la storia politica di Conte, quel che so però è che al nostro Paese manca una destra spendibile, presentabile. Proprio per questo occorrerebbe una forza politica di centrodestra, che non può essere Forza Italia, forte abbastanza per limitare l’attuale (terrificante) destra che ci ritroviamo.
Non so se possa assumersi lui questo compito. Forse dovevano pensarci personaggi come Renzi e Calenda. Il loro problema, però, è che sono naturalmente centristi nelle politiche, ma populisti nella retorica e nelle tattiche.
Trovo semplicistico dire che la pandemia abbia indebolito il populismo. Trump, ad esempio, è caduto per altre ragioni. Il problema per certi versi è opposto: se non si presta attenzione a gestire la fase successiva alla pandemia, quella della difficoltà economica e sociale vissuta da larga parte della cittadinanza, il populismo avrà ancora moltissimo da spendere, quello di destra in particolare.
Trovo che questo sia un falso problema: quando abbiamo avuto sistemi maggioritari l’instabilità del sistema politico è rimasta sempre la stessa. È inutile identificare la soluzione dei problemi con la macchina. Il problema semmai sono gli autisti: se inclinano alla frammentazione, all’individualismo, non c’è sistema elettorale che possa fare da argine. Col maggioritario, peraltro, le divisioni si manifestano comunque all’interno dei singoli partiti. Forse allora è più opportuno accettare che siamo pluralisti, e varare un proporzionale con alcuni meccanismi correttivi, come una soglia di sbarramento sensata. Sempre che i partiti siano disposti a farlo.
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