Non può prevedere se scoppierà la guerra tra la Russia e l’Ucraina, cioè tra la Russia e l’Occidente, però spiega che se dovesse scoppiare sarebbe una guerra totalmente nuova, «come fu la battaglia di Pavia del 1525 tra Francia e Spagna che viene studiata nelle Accademie militari di tutto il mondo perché segnò il primato delle armi da fuoco su quelle bianche. E vide trionfare i popoli sui nobili. Quella fu una guerra che ruppe gli schemi, così come potrebbe essere questa: che sarebbe combattuta con mezzi nuovi, per esempio il controllo satellitare del territorio, l’uso dei computer, insomma con tutti i sistemi tecnologici a disposizione degli eserciti. In sintesi: azione e comunicazione».
Stiamo parlando con Giulio Tremonti, che è stato ministro dell’Economia tre volte e che oggi è Presidente di Aspen Italia. Nel frattempo, la crisi energetica colpisce duramente i Paesi occidentali: che si può fare?
«Il fenomeno è generale, aumento dei prezzi e inflazione, che riguarda tutte le materie prime, convenzionali e non: il gas, la benzina, il rame, la ghisa, il legno, il silicio… È l’effetto della frattura dell’ordine globale, cominciata con la crisi finanziaria del 2008 e che ho cercato di spiegare nel 2016 con il mio libro Mundus furiosus, come veniva chiamata l’Europa dopo la scoperta dell’America. Oggi il nostro continente sta vivendo una crisi analoga a quella di mezzo millennio fa».
Aggiungiamoci pure la pandemia…
«Appunto. Io la paragono alla Torre di Babele, quando l’umanità per affrancarsi dai vincoli del territorio costruisce la Torre ma la divinità reagisce privandola della lingua unica. Ecco, la pandemia ha rotto il software del pensiero unico, altrimenti detto globalizzazione. Un esempio: la Cina che si sta elettrificando provoca l’esplosione del prezzo del rame, e l’eccesso di moneta rompe lo schema politico che aveva governato il mondo fino a pochi anni fa».
E noi italiani, nel nostro piccolo, cosa possiamo fare?
«Non esistono strumenti nazionali specifici. Nel 2009 io proposi il Global legal standard, dicevo che bisognava passare dal Free Trade al Fair Trade, ovvero dal libero commercio al commercio equo. Era una bozza di trattato multilaterale che fu votata anche dall’Ocse, l’articolo 4 prevedeva il rispetto di regole ambientali e igieniche. Era un’ipotesi che aveva una solidità internazionale, ne parlai anche alla Scuola del Partito comunista cinese… Ma quella formula fu superata dal Financial Stability Board, sostenendo che non servivano regole per l’economia perché bastavano alcuni criteri per la finanza. Da allora di stability se n’è vista comunque poca. Volete sapere chi era il Presidente di quel Board?».
Ce lo dica lei, professore.
«Era Mario Draghi».
Il quale oggi governa il Paese: secondo lei cosa dovrebbe fare il premier per aiutare le famiglie alle prese con il caro-bollette?
«La legge finanziaria prevedeva 3 miliardi di aiuti per i redditi bassi e 8 miliardi di interventi sull’Irpef per il ceto medio, poi qualcosa è stato aggiunto per le bollette. Ecco, io penso che lo Stato debba accollarsi le bollette per i poveri. Inoltre potenzierei la carta acquisti che introdussi nel 2008: oggi vale 40 euro al mese, troppo poco. Bisogna metterci dentro più soldi, soldi che i cittadini con meno risorse possono usare per comprare generi alimentari e medicine».
Intanto il governo è alle prese con il Piano nazionale di ripresa e resilienza: sarà la nostra salvezza?
«Intanto dico che a me il concetto di Piano fa venire in mente il socialismo reale, vi ricordate i Piani quinquennali dell’Unione sovietica? Dirigismo puro che ovviamente non funzionava. Il nostro mi sembra una somma di burocrazia europea, burocrazia nazionale e burocrazia regionale: guardate quella foto, sono i volumi del Pnrr: uno sopra l’altro sono alti più di 30 centimetri…».
Quindi sarà difficile renderlo concreto?
«Oggi ho l’impressione che il tempo ci stia fuggendo di mano. Se ripenso al discorso sulla fiducia del premier, ricordo che fu incentrato su due binari: le vaccinazioni e le riforme alla Cavour. Bene, sui vaccini abbiamo assistito al trionfo della scienza occidentale, dei grandi contratti europei e della disciplina degli italiani. La campagna ha funzionato».
Le riforme invece?
«Quelle che riguardano i Pnrr sono 55 e sono ancora tutte sulla carta. Quelle più strutturali come la giustizia, il fisco, il catasto, la concorrenza diciamo che sono work in progress. Insomma, ancora non si vede molto».
Intanto nel 2021 il Pil è cresciuto del 6,5 per cento, un buon risultato del governo Draghi o no?
«Non è stato il rimbalzo del gatto morto, ovvero una piccola ripresa di breve durata. E comunque dovuta ai bonus del precedente governo, quello giallorosso guidato da Conte»…
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