“Noto un conformismo e una iperreattività rispetto a qualsiasi critica venga fatta a questo Governo: vi spiego perché hanno massacrato Travaglio e Articolo Uno”. Chiara Geloni moderava il dibattito, tenutosi nell’ambito della festa di Articolo Uno, in cui Marco Travaglio ha definito Draghi un “figlio di papà”. Parole che hanno suscitato molte polemiche e attacchi non solo al direttore del Fatto Quotidiano, ma anche ad Articolo Uno, che fa parte della maggioranza che sostiene il governo Draghi. Ma Geloni sposta il bersaglio e spiega a TPI quali sono, a suo parere, le vere ragioni di questa ondata di indignazione.
Come risponde alle critiche sull’opportunità di invitare Travaglio alla festa di Articolo Uno?
Articolo Uno esiste da 5 anni e ha fatto 4 feste nazionali. Travaglio è stato invitato tre volte: a Napoli, a Roma, quando ha intervistato Bersani, e quest’anno a Bologna per presentare il suo libro. È un giornalista, non un politico: spesso non la pensiamo allo stesso modo, ma è uno dei nostri interlocutori.
Al di là dell’invito, le critiche più aspre sono arrivate per il fatto di non avergli contestato, durante il dibattito, quelle frasi su Draghi.
Partiamo da un presupposto: io quelle frasi non le avrei dette in quel modo. Tuttavia chi era presente a Bologna, o ha visto il video integrale su Youtube, sa bene che quelle parole sono state pronunciate nel conteso di un ragionamento più ampio. Travaglio, quando ha usato l’espressione “figlio di papà”, stava rispondendo a una mia domanda, incentrata sull’estrazione “popolare” di Conte e dei suoi ministri e sulla differenza col governo Draghi, il quale nasce con entrature nell’establishment molto più profonde. Si tratta di una riflessione presente nel libro di Travaglio. Considerando tutto questo contesto, l’espressione “figlio di papà” (che io non avrei usato) non è uscita fuori in maniera scandalosa, e non c’era motivo per cui io dovessi interrompere un ospite per prenderne le distanze.
È montata una polemica anche sugli applausi del pubblico a Travaglio.
Il pubblico fa quello che vuole: alle feste di Articolo Uno non è richiesta la tessera di partito per entrare. Quando Travaglio è ospite a un evento, immagino che molte persone vadano a sentirlo semplicemente perché sono interessate a quello che dice. Usare la reazione del pubblico in quella situazione come un termometro delle opinioni dei sostenitori di Articolo Uno mi sembra un’operazione politica superficiale. Aggiungo poi che i presidenti del Consiglio non sono come i fidanzati: se ne può sostenere uno avendo nostalgia per un altro. Che tra i simpatizzanti di Articolo Uno ce ne siano alcuni che hanno rimpianti per una maggioranza politica in cui si sentivano più a loro agio, priva ad esempio della presenza di Salvini, mi pare una cosa del tutto normale.
Ma al di là della forma, lei condivide la sostanza delle parole di Travaglio? Non solo sul “figlio di papà”, ma anche sulla presunta incompetenza di Draghi in molte materie, come la giustizia e i vaccini?
Sostenere che avere competenza sui temi economico-finanziari (e Draghi ne ha moltissima) non significhi automaticamente saper governare bene in ogni ambito, mi pare una testi accettabile. Ad esempio, ritengo sui vaccini il Governo abbia commesso degli errori di comunicazione.
Crede che l’atteggiamento dei media nei confronti di Draghi sia differente rispetto a quello avuto con Conte?
Noto un conformismo e una iperreattività rispetto a qualsiasi critica venga fatta a questo Governo, e la cosa mi preoccupa. Contro Conte è stato detto e continua ad essere detto molto di peggio: è stato definito un vulnus democratico, un maggiordomo, un segnaposto, senza che questo destasse scandalo. Tra l’altro, non è assolutamente vero che Bersani e Speranza fossero presenti in platea mentre parlava Travaglio. Alcuni giornalisti l’hanno scritto, senza farmi nemmeno una telefonata per accertarsi bene delle circostanze, e mettendo quindi in circolo una fake news. Mi viene un dubbio: a dare fastidio non sono le frasi di Travaglio su Draghi, ma la circostanza che il direttore del Fatto venga invitato a parlare del suo libro, in cui si ricostruisce anche il ruolo giocato dalla stampa nella caduta del Conte 2.
Questa iperreattività dei media sarebbe quindi un sintomo di coda di paglia.
Proprio così, ma questa operazione non è stata solo mediatica, bensì anche politica.
Orchestrata da chi?
Da chi ha interesse a mettere zizzania tra la sinistra e Draghi.
Ovvero? In un suo tweet lei parla di un account “di solito retweet di Calenda”.
Nello specifico, si tratta dell’account di un ragazzo che, fulmineamente, ha individuato quel passaggio nel dibattito con Travaglio, lo ha tagliato e postato: nel giro di meno di un’ora dalla fine del dibattito era stato ritwittato da diversi parlamentari e politici. Non voglio dare la croce addosso a questo ragazzo, ma non mi sembra difficile ricostruire il percorso di quel tweet e dei primi retweet, che sono stati di parlamentari ed esponenti di partiti. Poi, chiaramente, il tutto è stato cavalcato anche dalla destra, e Renzi ci ha messo messo la sua firma.