“Giù le mani, le molestie sessuali nei luoghi di lavoro” è un mio libro uscito nel 1989 da Mondadori. Un capitolo era dedicato alle operaie agricole molestate dai caporali.
Ricordo bene l’incontro con alcune di loro. Mi raccontarono che, volendo lavorare, non avevano alternative a subire lo sfruttamento senza regole dei proprietari terrieri e la taglia sui loro guadagni imposta dai caporali. I quali, non di rado, le insidiavano sessualmente e spesso con la complicità delle donne caporale.
Chi non accettava le avances si vedeva negare il lavoro. Rifiutarsi era dunque difficile, specie se il misero guadagno risultava vitale per la sussistenza delle proprie famiglie. Sono passati trent’anni e ancora devo ringraziare quel gruppo di giovani braccianti che intervistai grazie a una collega sindacalista pugliese.
Da quell’incontro, svoltosi presso la Camera del Lavoro di Brindisi, portai con me, e ancora le conservo, l’immagine dei loro volti e la serena compostezza del raccontare. Così come non ho dimenticato la forza della denuncia che mi consegnarono in nome di compagne ricattate e chiuse nel silenzio della loro incolpevole vergogna.
Allora come adesso, quando si parla di Caporalato, a prevalere sono le condizioni materiali delle migliaia di uomini e di donne obbligati a subire il ricatto di agrari senza scrupoli e dei loro complici, ovvero i caporali. È una piaga che continua a non essere debellata e rimane una delle tante cause che rende una parte del territorio nazionale indegna di un paese civile. La responsabilità è in buona parte dovuta all’insufficienza dei controlli e alle mancate dure sanzioni.
Mi sono soffermata su questo ricordo personale per venire a un fatto molto recente, cioè alle polemiche seguite al giuramento del nuovo Governo Conte e, in particolare, agli insulti riservati a due donne nominate ministro: Teresa Bellanova e Paola De Micheli. Hanno entrambe subito lo scherno dei maledetti social per l’abito indossato il giorno del giuramento.
De Micheli sbertucciata per il presunto stile prostituta, Teresa Bellanova per avere il diploma di sola terza media. Entrambe hanno reagito con uno stile e una nonchalance che suonano a disdoro di chi le ha insultate.
Teresa Bellanova, nuova ministro dell’Agricoltura, non ha potuto studiare oltre le medie inferiori come tanti e tante della sua generazione. E allora, che male c’è? I titoli di studio sono importanti, ma chi l’ha detto che le esperienze professionali e di vita, le letture, le relazioni umane, i confronti con chi ha potuto studiare, la partecipazione a seminari e soprattutto il misurarsi con le difficoltà e i problemi delle persone valgano meno di un foglio di carta?
Bellanova avrà pure la terza media, ma ha frequentato la scuola del duro lavoro di operaia agricola nel territorio del Mezzogiorno. Provate a immaginarla giovane e alle prese con l’unica possibilità di fare la bracciante. E poi pensatela sindacalista a confrontarsi, lei una donna, con l’arroganza spregevole di agrari e caporali. Di sicuro il titolo di studio contava poco! Così come deve avere passato ben di peggio degli insulti ricevuti dopo la sua nomina a ministro.
Teresa ha alle spalle una lunga e onorevole carriera di sindacalista in difesa dei diritti di chi lavora nelle campagne del Sud sotto la sferza dei caporali e l’ingordigia dei proprietari terrieri. Ha dedicato una vita a contrastarne l’odioso sfruttamento e per affermarne i diritti. Ha dovuto imparare sul campo molte delle nozioni che non ha potuto apprendere sui banchi delle superiori e della laurea. E allora domando: per fare bene il ministro dell’Agricoltura conoscere il mondo per il quale si è chiamati a prendere provvedimenti conta meno del titolo di studio?
Infine dico ai maledetti social di non nascondere la bassezza del loro disprezzo dietro la foglia di fico del diploma di terza media della signora. Non c’entra nulla, proprio come l’abito blu elettrico da lei indossato al Quirinale.
Il vero obiettivo non dichiarato riguarda il fatto che la signora non ha il fisico da mannequin. Per grazia ricevuta ognuna di noi ha conquistato la libertà di essere se stessa. Ma domando: è più importante indossare la taglia trentotto oppure conoscere il settore nel quale si è chiamati a operare? Il mio pensiero è chiaro. Com’è chiaro che chi giudica una persona sulla base del suo aspetto difetta di cervello. Amen.
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