Flat tax contro reddito di cittadinanza? Macché. La vera incompatibilità tra Lega e Movimento Cinque Stelle sta emergendo nelle ultime ore, e ha a che fare con una questione di fondo ben più dirimente, rimasta sottotraccia per mesi, ma riemersa all’improvviso con la crisi siriana.
“Le dichiarazioni di Salvini sulla Siria sono irresponsabili, non si affronta così una questione internazionale così delicata. Bisogna continuare con la diplomazia. Sarò sempre contrario a chi vuole approfittare della Siria per sganciarci dagli alleati storici. Non devono essere casus belli per riposizionare Italia”.
Parole e musica di Di Maio Luigi, un tempo esponente di spicco del partito che puntava al referendum per l’uscita dall’euro, poi lentamente riposizionatosi, lui sì, su una linea di attendismo e vaghezza (“Non è questo il momento di uscire dall’euro, voterei no a un referendum”, disse in campagna elettorale) e infine, oggi, pronto a sposare una strategia pienamente europeista e atlantista agli antipodi di quella di Salvini.
Il leader della Lega, in queste ore, sembra più che mai solo nel suo appoggio alla Russia e a Putin. Persino Berlusconi, che con Putin condivideva anche il “lettone” di palazzo Grazioli finito al centro delle celebri intercettazioni, ha consigliato a Salvini di tacere sulla Siria, richiamandolo a una disciplina moderata ed europeista.
Ma quello siriano è solo il più classico dei casus belli. Il M5s, ormai da tempo, ha abbandonato la retorica barricadera, le piazzate anti-Bruxelles, e recentemente ha persino dato il via a un intenso corteggiamento nei confronti del più europeista di tutti, il presidente francese Emmanuel Macron.
A ottobre 2017 Di Maio, da leader che si preparava ad affrontare la campagna elettorale, scrisse una lettera al leader di En Marche!: “Il Movimento 5 Stelle avrà modo di raccontarLe e spiegarLe chi siamo davvero, cosa vogliamo e come vediamo il futuro dell’Europa e dell’Italia nello scenario internazionale. Probabilmente l’opinione che Lei si è venuto via via costruendo nei confronti della prima forza politica italiana è influenzata da una forte propaganda da parte di certo giornalismo e dalle cose che Le riferiscono i politici italiani che provengono dai partiti tradizionali, quegli stessi partiti che sono in crisi di rappresentanza in tutta Europa e che Lei ha sconfitto nettamente alle presidenziali del maggio scorso con una formazione giovanissima, En Marche”.
Parole e musica sempre di Di Maio Luigi, leader di un partito su cui Marine Le Pen, “sconfitta nettamente”, come dice Di Maio, da Macron al ballottaggio per le presidenziali in Francia, puntava fortemente come sponda per le sue battaglie anti-Ue.
Ma i vecchi alleati all’Europarlamento sono ormai troppo scomodi per il Movimento Cinque Stelle. Gli euroscettici del gruppo Efdd, Ukip di Farage in primis, hanno perso l’appeal che avevano fino a un anno fa.
Il M5s, in ogni caso, già in passato aveva tentato di mollarli, lanciando l’ipotesi di un’alleanza con l’Alde, il gruppo liberale e turbo-europeista guidato da Guy Verhofstadt. Offerta rispedita al mittente, ma il terreno per la svolta atlantista era stato preparato.
Ecco allora il secondo tentativo, quello con Macron. Il presidente francese, come sottolineava Di Maio nella sua lettera, vuole fondare un movimento europeista che vada oltre le ideologie, le contrapposizioni tra destra e sinistra, esattamente ciò che i grillini propugnano da anni in Italia.
E allora, per un Movimento che ha abbandonato i proclami sovranisti di un tempo, proprio Macron rappresenta la sponda ideale per presentarsi con una veste rassicurante alla Troika un tempo tanto odiata e additata come causa di tutti i mali italici.
Proprio qualche settimana fa, En Marche! aveva diffuso un comunicato in cui prendeva le distanze dal M5s, affermando che “i valori progressisti d’apertura e di umanesimo” del movimento del presidente francese “non sono compatibili con le posizioni” grilline.
Peccato che lo stesso comunicato sia stato rimosso poco dopo. C’è un’ala del movimento macroniano, infatti, che appare più che disponibile al dialogo con i pentastellati.
E allora, se su flat tax e reddito di cittadinanza un compromesso si può trovare, appare ben più difficile conciliare l’atlantismo di Di Maio con l’euroscetticismo e le posizioni filo-russe di Salvini.
Ne va della collocazione dell’Italia in Europa, da cui conseguono scelte fondamentali in materia di politica economica, contenimento del deficit, e via dicendo.
Per questo è proprio sull’ipotetica asse con i riformisti in Europa che Di Maio, in questi giorni, sta tentando di tessere la tela dell’intesa col Partito Democratico per formare un governo, abbandonando una volta per tutte il riottoso e inaffidabile Salvini.
Lo ha detto anche Deborah Serracchiani stamattina in un’intervista alla Stampa: “La questione siriana è decisiva, e allontana sempre di più l’alleanza tra Lega e Cinque Stelle”.
Nel Pd il fronte che spinge per un’intesa con i grillini si sta allargando sempre di più, e una coalizione tra i dem e i pentastellati potrebbe saldarsi proprio sull’appoggio agli alleati occidentali nella lotta a Putin e Assad.
Una situazione che potrebbe fare da incubatore di uno scenario di ben più lungo periodo: un Movimento Cinque Stelle europeista, guidato da un leader come Di Maio che guarda molto più a sinistra che a destra, e che si libera progressivamente delle sue componenti complottiste, anti-vacciniste, “scie-chimiciste”, per lavorare su un’immagine più moderata e responsabile che possa accreditarlo (in Europa e da parte dei mercati) come partito realmente in grado di governare.
Salvini, dal canto suo, non è e non sarà mai disposto a rinunciare al sovranismo, con le relative alleanze internazionali che vanno dalla Le Pen fino al Cremlino.
Sempre sulla Stampa, questa mattina, il vicesegretario della Lega Lorenzo Fontana ha ribadito una posizione da sempre sostenuta dal partito: “Via le sanzioni alla Russia, danneggiano la nostra economia”.
Dietro le ragioni economiche si cela però una visione del mondo: Putin è un baluardo dell’antiamericanismo, e sebbene gli Stati Uniti di Trump, tra dazi e protezionismo, risultino ben più sovranisti del solito, restano l’emblema della globalizzazione economica e culturale a cui Salvini, per mille motivi più che noti, si oppone con forza.
Ecco perché sulla questione siriana, come dice Di Maio, uno dei due forni del Movimento Cinque Stelle a breve potrebbe chiudersi.