Il rimpallo di responsabilità tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci sulla gestione degli sbarchi incontrollati e dei cosiddetti “campi di concentramento” in cui sono ammassati migranti senza rispetto della dignità umana e delle norme anti Covid-19 sta evidenziando una propensione dell’attuale classe dirigente a fare “ammuina” e depistare l’opinione pubblica sulle reali responsabilità. Ma da questa ‘mala governance’ derivano costi e danni esorbitanti, a tutto vantaggio del business dell’immigrazione, che continua a prosperare, in linea con il macabro refrain emerso dall’inchiesta su Mafia Capitale per cui “con gli immigrati si fanno molti più soldi che con la droga”.
Possibile che in un contesto tanto delicato, con l’incontrollabile quadruplicazione degli sbarchi, le ingestibili fughe dei contagiati, i rischi quotidiani per le forze dell’ordine e il crescente stato di insicurezza percepito dai cittadini, leader istituzionali e rispettivi superpagati staff prendano una cantonata proprio sulle materie in cui dovrebbero essere magister? Possibile che, per perpetuare questi malriusciti scaricabarile, i suddetti leader arrivino addirittura a convenire sul disconoscimento della validità di norme di rango costituzionale, per disapplicarle e nascondere le reciproche responsabilità? Possibile che tutto ciò stia accadendo mentre, con questi pessimi risultati, solo per la Sicilia la gestione del fenomeno migratorio si aggira sui 5 milioni di euro al mese, tra navi-quarantena, costi pro-capite per ogni migrante ospitato in hot-spot e centri di accoglienza, oltre che per la forza pubblica di terra e di mare?
La vicenda siciliana ricorda molto da vicino l’analogo scaricabarile tra Conte, Lamorgese e il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana sulla mancata costituzione delle zone rosse ad Alzano e Nembro su cui hanno poi invocato un improbabile “scudo politico” ora al vaglio della Procura di Bergamo. Solo che mentre in quel caso può ipotizzarsi un concorso di colpa, considerata la frammentaria distribuzione delle competenze, in quello odierno la responsabilità potrà ricadere in toto anche solo su Musumeci, in quanto unico titolare di poteri sconosciuti agli altri presidenti di Regione, comprese le altre cosiddette a statuto speciale come la Sicilia.
Se non passerà dalle parole ai fatti, la minaccia di Musumeci di mettere i sigilli agli hot-spot e ai centri di accoglienza non sgomberati dal Governo entro le 24 di ieri riferendo tutto alla magistratura rischia infatti di trasformarsi in un boomerang con un’imputazione per omissioni di atti d’ufficio (art. 328 del Codice penale), se lui stesso non eserciterà i pieni poteri che le norme vigenti gli attribuiscono – confermati dalla Corte Costituzionale – compreso quello di dare ordini direttamente alle forze dell’ordine, anche per quanto riguarda il blocco degli sbarchi. Il tutto aggravato da un’evidente diffusione di notizie false, esagerate e tendenziose (art. 656 Codice penale), con particolare riferimento alla mistificazione di norme di rango costituzionale, tale da renderle inapplicabili per eludere/nascondere le proprie responsabilità e forse anche di procurato allarme per alcune dichiarazioni imprudenti (art. 658 Codice penale).
L’articolo 31 dello Statuto della Regione siciliana stabilisce che “al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il presidente della Regione a mezzo della polizia dello Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente, per l’impiego e l’utilizzazione, dal Governo regionale. Il presidente della Regione può chiedere l’impiego delle forze armate dello Stato” (comma 1) e ha anche “il diritto di proporre, con richiesta motivata al Governo centrale, la rimozione o il trasferimento fuori dall’isola dei funzionari di polizia” (comma 2). Poteri diretti ed esclusivi rinforzati dalla previsione per cui “il Governo dello Stato potrà assumere la direzione dei servizi di pubblica sicurezza, a richiesta del Governo regionale, congiuntamente al presidente dell’Assemblea e, in casi eccezionali, di propria iniziativa, quando siano compromessi l’interesse generale dello Stato e la sua sicurezza” (comma 2).
Quindi Musumeci è il titolare in via principale ed ordinaria della gestione dell’ordine e della sicurezza pubblica in Sicilia, mentre Lamorgese e Conte lo sono solo in via sussidiaria ed eccezionale. Nonostante tale chiarezza normativa, durante la conferenza stampa di ieri, Musumeci – incalzato sul punto – ha inspiegabilmente dichiarato: “Lo dico per alcuni colleghi della stampa che non hanno avuto neanche la sensibilità di andarselo a leggere”, in base all’articolo 31 “il presidente della Regione può, in alcune condizioni, servirsi della Polizia di Stato” e comunque “il presidente Conte ha detto che ormai quell’articolo non è compatibile con le norme costituzionali”, che quindi “l’articolo 31 è morto e sepolto”. Tanto che effettivamente sul Corriere della Sera di ieri si fa esplicito riferimento ad una “lettera ancora inedita (…) del 30 luglio scorso” in cui Conte ricordava a Musumeci “l’allineamento, pur parziale, dello Statuto della Regione siciliana alla Costituzione” e quindi alla “incostituzionalità della sua pretesa” (a proposito: sarà interessante conoscere in toto il contenuto della suddetta “lettera ancora inedita” per meglio comprendere le ragioni logico-giuridiche di quella che appare un’ingiustificabile cantonata).
La realtà è esattamente l’opposto di quanto asserito da Musumeci e Conte: lo Statuto della Regione siciliana è stato approvato con decreto legislativo del 1946, poi convertito in toto con legge costituzionale n.2 del 1948, compreso l’articolo 31 su cui peraltro la Corte Costituzionale nella sentenza n.131/1963 ha sancito, in particolare, che “è fuori dubbio (…) che la funzione di provvedere al mantenimento dell’ordine pubblico nel territorio della Regione è attribuita dall’articolo 31 dello Statuto siciliano al presidente della Regione” (non come dice Musumeci solo “in alcune condizioni”).
La stessa Corte ha poi ribadito la vigenza dell’articolo 31 anche nella sentenza n.55/2001 (non essendo quindi incostituzionale come asserito da Conte), definendo peraltro nella sentenza n.345/2001 come comprese nella “Polizia dello Stato” non solo la Polizia di Stato (come asserito da Musumeci), ma anche l’Arma dei Carabinieri e il Corpo della Guardia di Finanza.
Quindi l’articolo 31 che attribuisce pieni poteri di rango costituzionale al presidente siciliano, contrariamente a quanto asserito da Musumeci e Conte: è in vigore, tanto che è tuttora pubblicato senza alcuna modifica e/o abrogazione sia sul sito web dello Stato “Normattiva – Il portale della legge vigente”, sia sul sito web della Regione Sicilia. E non è certo nei poteri del premier dichiarare l’incostituzionalità di una norma, competenza esclusiva della Corte Costituzionale. Così come pure di contro l’alt sollevato dalla Lamorgese sulla sua competenza esclusiva in materia di immigrazione è del tutto improprio, considerato che nel caso siciliano prevale l’assorbenza della specifica piena competenza di rango costituzionale di cui è titolare Musumeci in materia di ordine e sicurezza pubblica, soprattutto in una situazione di urgenza/emergenza come quella che coinvolge anche i migranti.
Appare pure infondato il tentativo di ritenere l’esecutività del suddetto articolo 31 subordinata a fantomatiche norme di attuazione, considerato che nessuna norma costituzionale statutaria e/o ordinaria – ma neppure nessun pronuncia giurisprudenziale – le ha mai previste. Soprattutto nella fattispecie odierna, data l’urgenza/emergenza di prendere misure risolutive per ragioni di ordine pubblico sanitario.
Musumeci dovrebbe insomma esercitare i suoi pieni poteri step by step, per gradi, indirizzando le proprie ordinanze direttamente alle forze dell’ordine, per iniziare a decongestionare i suddetti “campi di concentramento”, magari indirizzando i migranti – anche quelli in arrivo dalle coste africane – direttamente verso le navi-quarantena, così forse potrebbe ottenere un risultato concreto per risolvere le criticità in atto e dare tempo al Governo di interagire in via sussidiaria, soprattutto sul fronte europeo ed internazionale, attivando così il pieno principio di leale collaborazione e coordinamento interistituzionale.
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