«In un mondo nel quale è stato detto che se avessi scelto il liceo avresti avuto sicuramente un grande sbocco nella tua esistenza e se invece magari avessi scelto un istituto tecnico, forse le tue opportunità sarebbero state minori, forse dimentichiamo che in questi istituti, come l’agrario, c’è una capacità di sbocco nel mondo professionale molto più alta di quella che danno spesso altri percorsi di formazione. Per come la vedo io, questo è il liceo. Non c’è niente di più profondamente legato alla nostra cultura di quello che questi ragazzi sono in grado di studiare, tramandare e portare avanti. È la ragione per la quale ragioniamo del liceo del Made in Italy, cioè di fare un’operazione che spieghi il legame profondo che esiste tra la nostra cultura e la nostra identità, che è la cosa più preziosa che abbiamo». Le parole di Giorgia Meloni durante il suo intervento a Vinitaly, la più grande manifestazione dedicata al mondo del vino e dei distillati che si tiene ogni anno a Verona dal 1967, esaltano la nuova proposta di istruzione professionale.
L’idea non è nuova: la premier ne aveva parlato in campagna elettorale, prima di diventare presidente del Consiglio e così il 25 gennaio Fratelli d’Italia ha depositato il disegno di legge, firmato dalla senatrice Carmela Bucalo. «Vorremmo crescere studenti con competenze avanzate capaci di riconoscere le insidie dei mercati, i prodotti falsi provenienti dalla Cina, gli inganni del cibo sintetico. Vorremmo stimolare i ragazzi del nuovo liceo a proseguire gli studi nelle università di settore o negli istituti tecnici superiori», ha spiegato la senatrice.
Un piano di studi particolare
Ma quali saranno le materie? Il primo e secondo anno è previsto lo studio delle dinamiche del commercio internazionale e la difesa dei prodotti nazionali, con una preparazione su enogastronomia e moda. Le materie comprendono anche la letteratura italiana, la storia e un po’ di geografia, senza però il latino. Ci saranno informatica, diritto ed economia politica. Dal terzo anno verranno introdotte filosofia, “economia e gestione delle imprese del Made in Italy”, “modelli di business nella moda, nell’arte e nell’alimentare” e infine “Made in Italy e mercati internazionali”.
Sono previsti inoltre percorsi di alternanza scuola lavoro e l’accesso all’università: le facoltà di economia, marketing, legge sono quelle consigliate. L’idea è quella di creare professionisti che possano promuovere e difendere le eccellenze italiane nel mercato globale, nel campo della moda, delle nuove tecnologie, dell’agroalimentare e nel turismo, per contrastare l’agguerrita concorrenza straniera. Le figure specialistiche, secondo Bucalo, permetteranno di avere un patrimonio culturale sia in campo giuridico che tecnico, necessario per salvaguardare le piccole imprese e tutelare i prodotti italiani. Prima di essere applicata, la proposta dovrà passare al vaglio del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara.
Marketing politico?
Nel discorso tenuto a Vinitaly, Giorgia Meloni ha attaccato velatamente i licei tradizionali perché non sarebbero in grado di offrire uno sbocco professionale ai ragazzi e ha fatto un generico riferimento al settore agroalimentare, al vino e agli istituti tecnici prima di introdurre il nuovo indirizzo di scuola secondaria. Stando alle sue parole, il liceo del Made in Italy sembrerebbe pertanto un istituto agrario, o qualcosa di simile, e potrebbe preparare concretamente gli studenti ai lavori nei settori agroalimentari artigianali, che secondo la premier rischiano di andare perduti.
Ma da uno studio della Fondazione Edison, l’agroalimentare è il primo settore in Italia per occupazione, valore della produzione, valore aggiunto, investimenti fissi lordi e in impianti e macchinari; guardando invece i numeri del Censimento generale Agricoltura dell’Istat del 2022, vi è una diminuzione di aziende agricole giovani negli ultimi dieci anni. Nel 2020 rappresentavano infatti il 13% del totale del comparto, contro il 17% di dieci anni prima.
Il diavolo è nei dettagli
Se il settore agroalimentare è molto importante per l’economia del nostro Paese, sarebbe solo un bene rilanciare questo tipo di attività, ma il punto è: ha senso farlo creando il liceo del Made in Italy? Andiamo a leggere il disegno di legge. Nell’articolo 2 si stabiliscono i principi e criteri: nel primo punto è sottolineato come la scuola sia «indirizzata allo studio della cultura giuridica ed economica e della tradizione umanistica del nostro Paese», nel punto due è scritto che fornisce «competenze avanzate in ambito giuridico ed economico, con attenzione anche alle scienze matematiche, fisiche e naturali», nel terzo e nel quarto punto si evidenzia l’intenzione di «far comprendere allo studente le dinamiche di alcuni settori strategici del Made in Italy e di prepararlo all’università», mentre il quinto punto prevede che nel percorso formativo ci siano «principi dell’economia manageriale, strumenti per la gestione d’impresa, modelli di business, tecniche di marketing specifiche per le imprese del Made in Italy».
Tutto ciò non sembra avere molto a che fare con gli istituti agrari già esistenti, che forniscono una preparazione più focalizzata sulla sfera produttiva e che prevedono materie come agronomia territoriale, tecniche di allevamento vegetali e animale, ecosistemi forestali e così via. Il liceo del Made in Italy si configura piuttosto come un liceo economico sociale, introdotto ai tempi della riforma Gelmini, e offrirebbe studi di un’economia filo-italiana settoriale e specialistica.
Fratelli contraddittori d’Italia
Insomma, la nuova proposta pare l’ennesima trovata propagandistica per parlare di identità, tema citato da Meloni come parte del percorso formativo. E va anche a cozzare con le pulsioni del sovranismo linguistico emerse da altre proposte del suo partito. Come quella del vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, che propone multe fino a 100mila euro per chi usa forestierismi nella Pubblica Amministrazione. E poi la premier propone un liceo del Made in Italy, che tra l’altro non risolve i problemi del sistema di istruzione italiano.
Il nostro Paese è al penultimo posto per giovani laureati nell’Unione europea, con il 28% delle persone tra i 25 e i 34 anni ad aver ricevuto una formazione universitaria, si posiziona come terzo nella classifica degli abbandoni scolastici e i giovani sono spesso gli ultimi del continente per la conoscenza della lingua inglese. Sarebbe necessario concentrarsi su questo, anziché introdurre un liceo incentrato solo sull’Italia, in cui – tra le altre cose – verrebbe anche rimossa la seconda lingua straniera nel biennio.
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