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    “Noi, usciti dalla Sardine perché nel movimento mancano democrazia e trasparenza”

    Credit: Emanuele Fucecchi
    Di Giuliana Sias
    Pubblicato il 28 Set. 2020 alle 16:41 Aggiornato il 21 Mag. 2021 alle 17:17

    “La Puglia e la Toscana erano le partite importanti, e non a caso, sia in Puglia che in Toscana, la base si è staccata dalle Sardine”. Cioè? “Proprio in Puglia e in Toscana, dove il cuore del movimento, cioè i fondatori locali, sono andati via. Lascia perdere le varie paginette ufficiali, paradossalmente lì la risposta all’ultima tornata elettorale è stata migliore”. Ma Santori sostiene che lo spumante versato dentro ai calici del Partito democratico arriva dalla cantina delle Sardine… “Macché, dalla Toscana lo mandarono a quel paese subito e si organizzarono per i fatti loro, in Puglia i gruppi cosiddetti autorizzati che hanno creato a febbraio sono rimasti marginali rispetto al gruppo originario da 50mila iscritti che continua ad essere amministrato dai fuoriusciti. Se le Sardine hanno fatto la propria parte in Puglia e in Toscana, non è certo grazie a Santori e Cristallo, che non volevano sostenere Giani e Emiliano”.
    Leggi anche: Zingaretti risponde alle Sardine su TPI: “Caro Santori, ti scrivo”

    Le 6000 Sardine sono implose nel silenzio generale, anche se nessuno se n’è accorto. E allora, prima di tutto, occorre domandarsi: perché finora nessuno ne ha ancora parlato? Il motivo della reticenza coincide quasi perfettamente con le ragioni che hanno portato decine di attivisti ad abbandonare, portandosi dietro le piazze reali: la democrazia interna al movimento è come minimo imperfetta, chi esprime un’opinione non allineata viene “bollato”. E lo scontro, va da sé, è impari: perché da una parte ci sono i proprietari del marchio con un’elevatissima esposizione mediatica, dall’altra dei semplici militanti che sono anche dei perfetti sconosciuti, nonostante rappresentino l’anima del movimento nei territori.

    “C’è una specie di macchina del fango al contrario che viene azionata contro chi esce da un contesto certificato e santificato”. Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia: “Fare un’intervista dove l’idea non è raccontare ma denunciare ci porterebbe a fare nuovamente male al centrosinistra”. Colpendo Santori, insomma, si rischia di essere strumentalizzati dalle destre: “Se si screditano non certi atteggiamenti ma un intero movimento che è stato capace di coinvolgere migliaia di persone e di portare a casa più di qualche risultato politico, cosa resta?”.

    Restano Mattia Santori su Repubblica e Jasmine Cristallo su Huffington Post che rilasciano due interviste, perfettamente sincronizzate, dalla cattedra delle 6000 Sardine con le quali strigliano i somari del Partito democratico incapaci, nell’ordine, di ascoltare la base, vincere e cambiare. Senza prima aver fatto i conti con i malumori della propria, di base, una sonora sconfitta al referendum e l’incapacità di aprirsi ad una gestione più collegiale e democratica all’interno del proprio movimento.

    In ogni regione, raccontano infatti le ex Sardine, ci si è allontanati per un motivo specifico, ma fondamentalmente il motivo principale era riconducibile ad una scarsa democraticità nei processi: per utilizzare il marchio occorreva sempre chiedere un permesso, così come per ogni uscita pubblica sui giornali; ogni singolo gruppo locale doveva essere amministrato da uno dei leader autoproclamatosi a livello nazionale cui spettava il compito di “controllare”; “i volti noti si spartivano le interviste e le ospitate in televisione” secondo una concezione per la quale “ci sono tanti portatori d’acqua ma solo alcuni che devono comparire, e non certo sulla base del merito, delle conoscenze o delle professionalità”.

    Viene spesso ripetuto, in questo contesto, che il Santori frontman “ha messo tutti in imbarazzo molte volte, perché non è sufficientemente preparato su molti temi” ma “si temeva potessero emergere altre persone”. Persone con una formazione specifica di tutto rispetto cannibalizzate dal protagonismo dei cosiddetti leader, basti pensare all’agiografia di Mattia “che seppure figlia dei tempi farebbe impallidire perfino Silvio Berlusconi”.

    La notizia fondamentale, per il centrosinistra, è tuttavia un’altra: quelle raccolte non sono testimonianze di gente rabbiosa, desiderosa di sparare a zero sul cerchio magico, portatrice di istanze minoritarie che vogliono essere imposte ad una maggioranza, anzi. Tutto all’opposto, ogni persona che ha accettato di parlare specifica in partenza che il suo non vuole essere un attacco distruttivo. Nessuna chiusura verso il vertice emiliano, nessuna sete di vendetta trasversale, nessun regolamento di conti è in atto, così come nessun tentativo di scalare il movimento e rimuovere gli attuali vertici con un colpo di mano a mezzo stampa.

    Il tentativo è semplicemente quello di portare alla luce delle criticità che la narrazione imperante finora ha nascosto sotto al tappeto, non aiutando o addirittura impendendo una loro comprensione e quindi un loro superamento. E questa è di sicuro la vera grande lezione di maturità politica proveniente dalla società civile che la sinistra italiana e il suo principale partito di riferimento dovrebbero assimilare e custodire: “Noi non vogliamo essere visti come dei fuoriusciti, a noi non interessa fare la guerra a nessuno e stare contro nessuno, se i meccanismi decisionali cambiano, siamo sempre disponibili a confrontarci ed eventualmente rientrare”.

    Ad esempio, c’è Angelo Attolico, che assieme a Isabella Capozzi gestisce il gruppo autonomo pugliese – che ha dovuto cambiare nome in “La Puglia non si Lega” – che dice: “Ti pregherei di una cosa: noi non siamo gli esodati delle Sardine, noi abbiamo proposto un ragionamento, c’erano le Sardine e abbiamo dialogato con loro ma nel momento in cui abbiamo capito alcune cose, ci siamo detti ok, noi capiamo le vostre istanze e vi sosteniamo ma vogliamo avere le mani libere nella nostra regione”.

    Perché, prima non eravate liberi? “Diciamo – spiega – che si era creata una situazione molto simile a quella che all’inizio vissero i Cinque Stelle. Loro, però, poi hanno avuto un’evoluzione, e non lo dico da elettore grillino”. Parli delle accuse di Giovanni Favia a Grillo descritto come un padre padrone? “Esatto, con una differenza: i Cinque Stelle, seppur con tutti i problemi di trasparenza e gestione antidemocratica sollevati all’epoca, avevano due o tre idee fondanti attorno alle quali si è costruito il movimento. Tu potevi non condividerle ma sapevi che c’erano ed erano quelle, molto caratterizzanti e riconoscibili”.

    “La differenza con il movimento di Sartori è che, purtroppo, quali sono le idee, a parte essere l’anti Salvini? Manca proprio, secondo me, l’elaborazione politica, qual è la loro concezione del mondo? Cosa vogliono fare? Questa cosa non c’è. Senza contare che tutto si piega ad un meccanismo mediatico che funziona fintanto che esiste un caso giornalisticamente rilevante ma il Covid ha insegnato che poi, quando si impone un tema più forte, vieni spazzato via. E dov’erano le Sardine durante la quarantena? Quale è stata l’elaborazione? Non c’è stata, eppure proprio il Covid avrebbe potuto rappresentare un’occasione per esprimere una visione. Ma quante parole sono state spese per dire che il sistema lombardo che appaltava ai privati la sanità pubblica ha fallito? Non c’è stata una parola su questo e neppure su altro”.

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