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    Lo psicodramma del M5s: affermare il primato della politica sulla giustizia pur di salvare Salvini

    Matteo Salvini con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede

    Per salvare non solo il ministro dell'Interno ma il governo tutto, i Cinque Stelle dovrebbero sconfessare anni di anti-politica e di integralismo giustizialista con un'acrobatica giravolta sui principi

    Di Luca Serafini
    Pubblicato il 31 Gen. 2019 alle 09:25 Aggiornato il 18 Apr. 2019 alle 09:32

    “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”, diceva Carl Schmitt nella formulazione più compiuta del primato della politica sulla legge.

    Ciò che intendeva il filosofo e giurista tedesco è che in situazioni di estrema urgenza, in cui l’interesse o la sopravvivenza stessa dello stato sono messi a rischio, è lecita una sospensione di alcune norme per lasciare campo libero alla decisione dell’uomo politico.

    La politica, secondo questa visione, ha un primato costitutivo sullo stato di diritto: quest’ultimo serve a regolare i rapporti tra le persone in situazioni di “normalità”, ma solo la decisione della politica, che va oltre la codificazione formale delle norme giuridiche, permette di risolvere situazioni di emergenza.

    Schmitt è figura gravemente compromessa col regime nazista, a cui aderì e a cui fornì importanti strumenti teorici, ma è anche considerato uno dei giganti della storia del diritto.

    Sulle sue teorie, sul rapporto tra politica e legge e sul primato della prima o della seconda si interrogano tutt’ora tanto i politici quanto i giuristi.

    La vicenda della nave Diciotti e la richiesta di autorizzazione a procedere formulata dal Tribunale dei Ministri nei confronti di Matteo Salvini rappresentano un caso di specie di questo conflitto tra politica e giustizia che Schmitt aveva ben definito nei suoi aspetti teorici.

    Salvini, nella lettera al Corriere della Sera in cui ha spiegato perché il Senato dovrebbe opporsi alla richiesta di processo, ha scritto appunto di aver agito “per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante”, rivendicando quindi il diritto della politica, in situazioni in cui è in gioco “un preminente interesse pubblico”, di non curarsi dei lacci e lacciuoli di cui sono intessute le norme giuridiche.

    Solo che stavolta, per salvare il ministro degli Interni dal processo (e, secondo alcuni giornali come Repubblica, da una probabile condanna), ad affermare il primato della politica sulla legge dovrebbe essere il partito più anti-politico e giustizialista di tutti, il Movimento Cinque Stelle.

    Un partito che, fin dalle origini, non ha voluto nemmeno definirsi tale proprio in spregio alla politica intesa come ciò che si erge al di sopra del popolo sovrano e della maestà della legge.

    La politica, per i grillini, è sempre stata considerata come espressione degli interessi della “casta”, ad eccezione di quella dal basso, movimentista, secondo la nota retorica della democrazia diretta.

    Quanto alla giustizia, non serve nemmeno rimarcare le posizioni integraliste dei pentastellati.

    Sempre pronti a imbracciare la forca quando a finire nei guai con la legge sono gli avversari politici, Di Maio e compagnia negli ultimi anni hanno cominciato con la giostra dei distinguo, dei “si tratta di casi diversi”, per tentare di giustificare un’improponibile doppia morale a fronte di compagni di partito indagati o impelagati in magagne legali.

    Stavolta, però, dire no al processo a Salvini implicherebbe una giravolta da vertigini.

    Eppure, l’argomento utilizzato in queste ore dai “responsabili” del Movimento, quelli che vogliono salvare non tanto Salvini quanto il governo tutto, ha proprio a che fare con il primato della politica sulla legge.

    “Siamo stati anche noi a prendere quella decisione, è stata una scelta (politica) condivisa, collegiale. Se Salvini è responsabile lo è tutto il governo come entità politica”.

    È questo il senso del ragionamento dei lealisti a Cinque Stelle, portato al paradosso di prospettare  una auto-denuncia alla magistratura in caso di processo al ministro dell’Interno proprio per salvare, in un estremo atto di acrobazia politico-giuridica, sia il governo sia l’autonomia dei magistrati e della legge.

    Vedremo quale sarà la decisione finale dei grillini, se verrà scelta una linea comune (con le consuete purghe per chi la disattende) o se passerà il principio della libertà di coscienza.

    Storicamente il M5s non si è mai fatto scrupoli nel rinnegare le proprie battaglie storiche, in un inseguimento cinico (e proficuo) degli umori cangianti dell’elettorato.

    E anche stavolta da fanatici del giustizialismo a fini teorici dello stato di eccezione, da Davigo a Carl Schmitt, il passo può essere molto breve.

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