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    Salvini-Di Maio, tiro alla fune con tintinnar di manette sulla questione morale (a caccia di voti)

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 23 Mag. 2019 alle 20:04 Aggiornato il 23 Mag. 2019 alle 20:10

    Salvini Di Maio questione morale | Tiro alla fune con tintinnar di manette. Non prendete la guerriglia sull’abuso di ufficio come una semplice polemica di giornata. Ma usatela piuttosto come una chiave di volta, per capire che tutta la campagna ha ripreso a girare intorno ad un cardine antichissimo della politica italiana.

    Solo due mesi fa tutti i sondaggisti erano concordi nel leggere i loro dati con queste tendenze: Lega in ascesa constante e Movimento 5 Stelle sottoposto a progressiva ma inesorabile erosione.

    Chi più chi meno – ovvio – ma la geometria era questa per tutti gli istituti. Il punto di svolta in cui queste tendenze si sono invertite (anche in questo caso con una forbice registrata da tutti) è stato il caso Siri.

    È dopo il dibattito furibondo sull’accusa di corruzione che si è riattivato un fiume di opinione carsico mai estinto, forse il più forte a livello emozionale dentro una parte ancora importantissima dell’elettorato storico della sinistra, ma anche – in modo speculare ed opposto – in una parte dell’elettorato di destra.

    Non è un caso che oltre allo scambio di consensi trai gialli e i verdi, il dibattito sulla legalità abbia visto recuperare consensi anche Fratelli d’Italia (sia su Salvini che su Berlusconi). Si potrebbe dire: i primi, i grillini, hanno surfisti sulle tracce profonde della diversità comunista berlingueriana, i secondi su quelli del “noi abbiamo le mani pulite” di almirantiana memoria, per chi ricorda i vecchi fascisti in camicia nera e guanti bianchi a Montecitorio.

    Anche il Pd di Nicola Zingaretti si era posizionato bene su questo crocevia, con la decisione di rottamare senza sangue, ma in poche ore, la governatrice della regione Umbria, Katiuscia Marini, dopo che era stata lambita dalle inchieste sulla sanità. Purtroppo per il neo segretario del Pd, la governatrice aveva mal sopportato quella scelta e sabato scorso, in un momento nevralgico di questo riassestamento di elettorato d’opinione, ha dato il suo colpo di coda (peraltro inutile, come abbiamo raccontato) votando contro le proprie dimissioni.

    Diciamo la verità: quando Luigi Di Maio ha ricominciato a battere il chiodo della “Nuova Tangentopoli”, nessuno immaginava che si potesse trattare di un’arma ancora così affilata.

    Ma subito dopo è venuta l’inchiesta lombarda, una deflagrazione inattesa che ha lambito persino candidati in campo (come l’azzurra Lara Comi) e gettato un’ombra finanche sul sindaco di Milano Giuseppe Sala, colpito dagli effetti ritardati della vecchia vicenda della piastra Expo.

    È a questo punto che Matteo Salvini ha immaginato l’ultima contromossa, e l’ha attuata con grande tempestività: se non poteva più rincorrere i suoi elettori più sensibili al tema della legalità intransigente (quelli che ancora ricordano il famoso cappio agitato a Montecitorio da Luca Leoni D’Orsenigo ai tempi di Mani Pulite), allora l’unico modo per ribattere l’attacco era partire in contropiede inseguendo gli ex pidiellini molto sensibili al racconti vittimistico.

    Aver messo al centro dell’agenda il tema dell’abuso d’ufficio non solo significa partire da un problema reale molto sentito da tutti gli amministratori di destra e di sinistra (“i sindaci non firmano piuttosto nulla perché hanno paura di essere indagati”) ma lancia questo messaggio sottointeso agli imprenditori del Nord: “Qui non si tratta di politici corrotti, ma di efficienza amministrativa del paese”.

    La Lega, dunque, nel contropiede di Salvini, non è l’ultimo baluardo della partitocrazia, come dice Di Maio, ma il presidio dei modernizzatori. Il primo capitalizza gli elettori post-comunisti, il secondo gli elettori post-berlusconiani. Una mossa abile, che rende aperto questo tiro alla fune con tintinnar di manette, anche solo simbolicamente. Perché poi bisogna sapere che non si voterà nulla, nemmeno su questo tema, fino a dopo il voto. Quando i lottatori di sumo, come nelle fiere di paese, smetteranno di picchiarsi e – dopo aver coperto tutti gli spazi – se ne andranno al bar a brindare ridendo.

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