C’è in giro un criminale per merito del ministro dell’interno Salvini. Anzi, per la precisione, due.
Sono padre e figlio e si sono macchiati di un reato odioso, uno di quelli che il governo del cambiamento ci aveva promesso che avrebbe stroncato sul nascere senza nessuna pietà: hanno utilizzato fondi (pubblici, quindi soldi nostri) che erano destinati al partito e invece sono stati spesi per fini personali. Hanno tecnicamente rubato denaro pubblico per fini privati.
Il padre, Umberto Bossi ha speso la bellezza di 208mila euro (hai voglia di accumulare reddito di cittadinanza) per le sue cure mediche, per ristrutturare la sua bella casa di Gemonio, per comprare i suoi maglioncini smunti e qualche gioiello mentre suo figlio Renzo (che avrebbe dovuto essere delfino e invece è finito trota) ha speso 145mila euro per le varie multe, per l’assicurazione della sua auto e per l’acquisto di una “laurea” in Albania (perché, si sa, la cultura è importante e anche gli albanesi possono essere amici se costano meno di noi italiani).
In primo grado si erano beccati 2 anni e 3 mesi il padre e 1 anno e 6 mesi il figlio insieme ai 2 anni e 6 mesi comminati al tesoriere (piuttosto “distratto”) della Lega Francesco Belsito.
Poi è accaduto che con una legge del 2017 l’appropriazione indebita sia diventata perseguibile solo su querela del danneggiato e indovinate un po’ chi ha querelato il ministro dell’inferno Salvini, leader Maximo della Lega? Solo Belsito, ovviamente.
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“Grazie a Matteo Salvini e grazie alla Lega”, ha detto ieri passeggiando beato per il tribunale di Milano Renzo Bossi con un sorriso che gli faceva tutto il giro della faccia.
Il Senatur Umberto invece non ha nemmeno avuto bisogno di ringraziare: il prode Salvini, l’uomo che vuole convincerci di restaurare la legalità e l’ordine e la disciplina, se l’è già portato in Senato qualche mese fa.
Portare in Senato un condannabile deve essere la sua versione di legalità sovranista in salsa padana: se sei un amico degli amici allora il tuo reato è una svista un errore mentre se sei un avversario, meglio se negro, allora qualsiasi illegalità non è nient’altro che il frutto di una cultura che va estirpata alle radici.
Ha un nome questo modo di fare: vigliaccheria. La vigliaccheria di chi fa il forte con i deboli (disperati, cenciosi, donne gravide di abusi subiti oltre confine) e che diventa un cagnolino scodinzolante ogni volta che c’è da colpire un potente, uno qualsiasi, che lo guardi diritto negli occhi.
L’avvocato Silvio Romanelli, legale di Belsito, è stato chiaro: “Belsito, prima di andarsene, ha lasciato nelle casse della Lega la bellezza di 49 milioni di euro. Non era impegnato a sottrarre fondi, come vorrebbero i giudici, ma aveva fatto dei buoni investimenti”.
E, guarda a volte il caso, è la stessa cifra che stanno cercando i giudici di Genova e che sono spariti sotto la gestione di Maroni e di Salvini (Bossi si salverà per prescrizione). Colpire l’esecutore e salvare il mandante: vigliaccheria, appunto.
Ma che Salvini sia una pecorella che goffamente prova a imitare il verso del lupo ormai l’abbiamo capito da tempo. È lo stesso Salvini che chiude i porti via Twitter tra una lasagna e una carnevalata senza nemmeno stendere uno straccio di documento ufficiale.
È il Salvini che continua a dipingere le mafie come picciotti con lupara e coppola e esulta quando ne pescano uno, uno che non conta quasi niente, senza occuparsi dei legami istituzionali e politici.
È il Salvini a cui non scappa mai una parola sui grandi evasori che sono lo zoccolo duro del suo elettorato. È il Salvini che sputa sui napoletani e poi si prostituisce con una sceneggiata napoletana per sfilargli qualche voto.
È il Salvini che se la prende con i piccoli spacciatori di marjuana definendoli seminatori di morte mentre gli gocciola la bava dall’angolo della bocca e intanto non si accorge delle bombe italiane che uccidono migliaia di civili in Yemen.
Si riempie la bocca di Africa (insieme al suo omologo vicepremier) ma non gli scappa mai una parola sugli interessi petroliferi tutti italiani (con tanto di processo in corso) che riguarda proprio quelle parti.
Ha tentato di rivenderci l’arresto di Cesare Battisti come successo internazionale che avrebbe cambiato le nostre vite mentre un cero Matteo Messina Denaro, capo di Cosa Nostra, pascola impunito nelle sue zone, mentre la ‘ndrangheta (che secondo lui non dovrebbe essere arrivata nemmeno a Milano) ha superato la Lombardia stringe affari in Valle D’Aosta.
Forte con i deboli e debole con i forti. Perdona gli amici e ogni giorno si inventa un nemico. Trasforma la vicinanza in impunità come accade nei clan. Indossa divise per farsi accettare. E dovrebbe essere ministro dell’Interno. Auguri.