Dalle carte dell’inchiesta Open, contenenti email e chat sequestrate ad alcuni degli indagati, emerge anche l’esistenza di una task force volta a sostenere l’attività politica di Renzi sul web e sui social.
La “leopoldina” Simonetta Ercolani, titolare della società di produzione “Stand by me”, ne faceva parte. Tutto inizia il 7 gennaio del 2017, quando Fabrizio Rondolino, giornalista renziano ed ex portavoce di D’Alema, invia un’email a Carrai, il cui oggetto è “Anti-Grillo” e l’allegato è denominato “Tu scendi dalle stelle”.
Due mesi più tardi, il 2 marzo, la Ercolani passa all’azione: propone la sede della sua società per un incontro del gruppo. “Facciamo da me?”, scrive indicando agli altri l’indirizzo. Tutti i presenti rispondono “Ok”.
Così può iniziare la “fase 2” della bestia renziana, dopo un passato pro-primarie e pro-referendum: alla “dark room” (come la definiscono gli inquirenti negli atti) partecipano complessivamente 25-30 persone, moltissimi giovani reclutati alla Leopolda, ma anche alcuni tra i più fedeli collaboratori dell’ex premier.
Ci sono Fabio Pammolli, lo stesso Carrai, il suo socio Giampaolo Moscati, la coppia Ercolani-Rondolino, l’ex hacker Andrea Stroppa, Paolo Dello Vicario, Paolo Magi e Alexander Marchi.
Per tracciare le interazioni dei milioni di utenti della rete, stilano una lista di attivisti con tanto di punteggio assegnato a ciascuno di loro. Si dotano di software di rilievo quali Tracx (costo 60mila euro) e Voyager (costo 250mila euro), in grado di monitorare gli orientamenti sui social.
Ma non solo: secondo gli inquirenti, la bestia renziana avrebbe prodotto anche fake news per screditare gli avversari politici.
A pagare? È sempre Open: un ulteriore elemento che vale a confermare, per la Procura, il fatto che la fondazione fosse un’articolazione della corrente di Renzi nel Pd.
Sul caso “Stand by Me”, ora, anche la vigilanza Rai vuole vederci chiaro.
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