Passano i decenni ma Bologna si riconferma sempre il laboratorio politico più avanzato nel Belpaese, essendo l’unica grande città italiana chiamata al voto in questo 2021 in cui la competizione elettorale è già entrata nel vivo. Nel senso che a sinistra se le danno di santa ragione mentre la destra rimane a guardare, in attesa che il PD si disintegri da solo.
Il prossimo 20 giugno si terranno le primarie del centrosinistra che sono diventate una lotta nel fango a due: da una parte Matteo Lepore, assessore uscente alla Cultura, e dall’altra Isabella Conti, attuale sindaca di San Lazzaro, comune di 32mila abitati della città metropolitana.
Non è un segreto che Lepore stia lavorando da almeno un anno alla sua candidatura a primo cittadino del capoluogo emiliano: la sua discesa in campo è infatti l’unico punto fermo in questa storia, che per il resto è in balìa di variabili impazzite e mine vaganti.
Conti invece è stata catapultata sulle elezioni bolognesi nottetempo e su precisa indicazione di Matteo Renzi che in diretta televisiva su La7, a L’Aria che tira, ha lanciato la bomba, come nel suo dna: «C’è a San Lazzaro una sindaca bravissima, competente. Vogliamo fare una cosa seria? Si chieda all’avvocato Conti di fare il sindaco a Bologna. L’ho detto a Letta oggi, bussiamo insieme alla porta della Conti e chiedemoglielo». La sindaca, che era stata riconfermata alla guida di San Lazzaro nel 2019, non se l’è fatto ripetere due volte e dopo pochi giorni ha di fatto imposto al Pd le primarie, giocandosi prima di tutto una carta pseudo femminista (“la sinistra è machista e misogina”).
Ecco. Per riuscire a ripercorrere gli ultimi mesi sotto le Due Torri e capire come si sia arrivati fin qui, forse occorre prima di tutto dire che in tempi di politicamente corretto malamente interpretato, sul fondo delle elezioni comunali bolognesi aleggia una certa questione femminile utilizzata a più riprese in maniera strumentale.
Agli inizi di luglio 2020, ad esempio, Cathy La Torre – l’avvocata di “Odiare ti costa” – aveva annunciato, bruciando tutti ai nastri di partenza, di voler diventare la prossima sindaca di Bologna con questa motivazione: «Me lo chiede una voce dentro». Insomma la lunga maratona elettorale bolognese è iniziata un po’ alla Sesto Senso – «vedo la gente che mi chiede di candidarmi» – ma le riprese di questo film si sono interrotte dopo il primo ciak visto che La Torre batte immediatamente in ritirata quando capisce che qualcuno potrebbe prenderla sul serio (in quei giorni si apre un piccolo fronte secondo il quale la candidatura di una donna è una buona notizia a prescindere).
Sembra infatti che l’attivista LGBT+ più che a sedere sullo scranno più alto di Palazzo d’Accursio punti ad essere notata da uno straccio di partito che possa proiettarla su ben altra carriera di respiro nazionale. Ex vendoliana, già eletta nel consiglio comunale della sua città nel 2011 tra le fila di Sel, fondamentalmente è sembrato che un anno fa abbia corso per finta perchè qualcuno le chiedesse di correre veramente. E infatti, trascorsi nove mesi in letargo risbuca all’improvviso dopo aver concluso un accordo con Lepore. Cioè l’assessore democratico contro il quale aveva sciolto le riserve l’estate precedente. Come si dice? Se non puoi batterlo, alleatici.
La foto endorsement al fianco del delfino del sindaco Merola, viene scattata a marzo. L’avvocata non porta in dote idee, progetti o voti, ma 127.000 follower. La Torre ha infatti dichiarato pochi giorni fa di essere entrata nella partita di Lepore «per aiutarlo con i social». E cioè: Cathy La Torre paga una squadra di social media manager per gestire i suoi account perchè lei nel frattempo fa la social media manager di Matteo Lepore.
Che sarebbe come se Matteo Salvini pagasse Luca Morisi perchè lui nel frattempo gestisce gli account di Claudio Borghi e non gli resta tempo di occuparsi anche dei suoi. Tutto è possibile, comunque la prova del nove l’avremo il 12 settembre, quando sulla pagina di Matteo Lepore dovrebbe comparire un post in cui il candidato sindaco racconta di aver ordinato una pizza e aver lasciato 5 euro di mancia al fattorino (il 12 settembre del 2018 La Torre pubblicò sui suoi account la storiella del rider sfruttato – “sono io che ringrazio te, il tuo lavoro è soddisfare il mio lusso di mangiare una pizza alle 10 di sera” – risultata poi completamente inventata visto che lo stesso giorno dell’anno seguente venne ripubblicata con qualche piccola variante).
Fino ad allora comunque l’unica certezza è che quella di Lepore si è trasformata in una battaglia campale contro tutti. Infatti da quando la sua candidatura è stata ufficializzata, a metà marzo, i colleghi di giunta e mezzo Partito Democratico, hanno iniziato a fare le bizze dirigendosi alla Patrick Swayze verso il sindaco Merola: «Nessuno può mettere Alberto Aitini e Marco Lombardo in un angolo».
Aitini è da cinque anni assessore alla Sicurezza, Lombardo al Lavoro. Hanno sfidato il titolare della Cultura in una consultazione interna al Pd che non è servita a trovare una quadra ma a contarsi. Il risultato è stato che il ballo proibito di Aitini si è conluso con un volo d’angelo che non è venuto bene come nel film visto che l’assessore securitario si è schiantato sulla candidatura di Isabella Conti, cioè la candidata di un altro partito. Vale a dire non il partito del quale Aitini sarebbe segretario cittadino ma un altro, per la precisione quello di Matteo Renzi. È come se Claudio Borghi, che ha ingaggiato Matteo Salvini come social media manager, ad un certo punto sparigliasse e alle primarie del centrodestra non sostenesse, per dire, Lucia Borgonzoni ma Daniela Santanché, che Giorgia Meloni aveva inviato appositamente in città per sbarrare la strada all’elezione di un leghista.
A questo punto immagino che chi non conosce in quali dinamiche perverse si stia avviluppando la corsa a sindaco di Bologna sia già scoppiato il cervello. Va tutto bene, è propedeutico ad entrare nella parte dei cittadini che dovranno esprimere il loro voto nei prossimi mesi. Il fatto è che alla sinistra piace far impazzire i suoi elettori, così quando poi la destra estrae dal cilindro il suo candidato, quelli sono già sotto ansiolitico da mesi e quindi riescono a rispondere in tempi brevissimi agli effetti di un attacco di panico collettivo innescato dalla solita frase ad effetto: «oddio dobbiamo contenere l’avanzata della destra».
In questo gioco perverso Isabella Conti ha un ruolo cruciale. Come spiegavo più sopra si candida dopo essere stata spinta da Matteo Renzi che secondo il più classico dei copioni renziani, da fuoriuscito a capo di un partitino al 2%, ha dettato la linea al Partito Democratico a mezzo stampa: scelgano i cittadini i candidati sindaco attraverso primarie e mai con i 5 Stelle.
Così il PD bolognese, che da mesi lavorava per convergere su una candidatura unitaria – quella di Lepore – che scongiurasse notti dei lunghi coltelli e permettesse quindi al più grande partito di sinistra di non arrivare “spompo” alle elezioni di ottobre (il copyright è sempre di Renzi, vi ricordate?, anno 2013, si riferiva a Bersani) si è sentito incomprensibilmente in dovere di obbedire ai desiderata dell’alleato minore.
In tutto questo si consideri peraltro che, secondo un recente sondaggio, Lepore, contro la destra, potrebbe spuntarla già al primo turno, pur essendo vero che dall’altra parte ad oggi non esiste ancora un vero sfidante. Ma in tutti i casi la prova più difficile rimane quella interna perchè nell’arco di poche settimane quello che sembrava essere il candidato unico del centrosinistra senza nemmeno bisogno di passare per i gazebo, si ritrova con i colleghi di giunta e diversi volti noti del partito (una su tutti: Elisabetta Gualmini, già vicepresidente in Regione, attualmente parlamentare europea) che sostengono apertamente l’aspirante prima cittadina di Italia Viva. La quale, come se non bastasse, ai banchetti per la raccolta firme ha anche ottenuto l’ormai tradizionale aiutino da parte della destra (a denunciarlo, con alcune foto, è stato tra gli altri Sergio Lo Giudice, ex senatore dem: «Per Isabella Conti continuano a presentarsi esponenti della destra bolognese. L’ultimo in ordine di tempo, Andrea Spettoli, consigliere di quartiere di BFC ed ex candidato di Forza Italia, ha firmato ad un banchetto organizzato da Natascia Merighi ex candidata di Forza Italia»).
Ma l’aspetto più rilevante in questa gazzarra, perchè produrrà effetti ben oltre i confini bolognesi, è la presenza di un convitato di pietra. Sempre lo stesso, sempre lui, l’innominabile più nominato di tutti, che nonostante tutto continua a tenere in ostaggio il PD e a muovere i fili, da dietro le quinte, di queste elezioni cittadine. Con l’ingresso sulla scena di Conti lo schema della campagna elettorale si è infatti schiacciato sul binario del renzismo.
Per esattezza nessuno vuol essere definito renziano (lo sforzo maggiore di Isabella Conti, che fa parte del direttivo di Italia Viva, consiste nello smarcarsi dal senatore di Rignano – “non sono renziana, sono isabelliana”) ma tutti accusano gli avversari di esserlo (sempre la Conti rimarca che al congresso del 2013 lei sostenne la mozione Civati mentre fu Lepore “a portarmi a Milano ad ascoltare Renzi”).
Insomma, alla faccia delle sale cinematografiche rimaste chiuse causa pandemia, nell’ultimo anno il film delle elezioni comunali di Bologna ha toccato tutti i generi possibili: il thriller con La Torre che sente le voci, il biografico con la stessa avvocata protagonista di The Social Network però in una versione comica, la commedia romantica alla Dirty Dancing con Aitini nel ruolo di Baby, e infine il dramma con Isabella Conti che consapevolmente o meno porta in scena La Stangata, con Lepore che recita la parte di quello che all’ultimo miglio, all’ultima decisiva scommessa, potrebbe perdere tutto il vantaggio accumulato.
Perderlo a favore della destra, che in questo scenario mangia i pop corn in prima fila e sogna il 1999, quello di Giorgio Guazzaloca primo sindaco ad espugnare il fortino rosso per antonomasia dopo 54 anni. A pensarci bene il ’99 fu anche l’anno del secondo Oscar a Spielberg con un film che più o meno si intitolava «Salvate il soldato Lepore». Posto che è sempre un grave errore per un politico pensare a se stesso come ad un predestinato.
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