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    Il problema non è il numero di parlamentari, ma il loro rapporto con i cittadini

    Di Stefano Mentana
    Pubblicato il 15 Set. 2020 alle 19:06

    Secondo i sostenitori del Sì al referendum, ridurre il numero dei parlamentari porta a un aumento della qualità del Parlamento. Secondo i sostenitori del No, invece, non è così. Mettendo però da parte il fattore meramente numerico, c’è un elemento che dovrebbe stare a cuore a entrambi gli schieramenti: il metodo di selezione dei nostri rappresentanti, ovvero lo strumento che realmente permette di portare e valutare la qualità all’interno di Camera e Senato. 

    Pur con i dovuti cambiamenti avvenuti negli anni, pur con la crisi dei partiti che non tocca solo il nostro Paese, le principali democrazie hanno individuato metodi specifici per scegliere i propri rappresentanti, attraverso i quali si configura la partecipazione democratica e, attraverso essa, il controllo dell’operato degli eletti da parte degli elettori. Un meccanismo che in Italia attualmente manca quasi completamente, tra listini bloccati e collegi vasti e dal peso ridotto che contribuiscono ad allontanarci dai parlamentari del nostro territorio e a far perdere spesso e volentieri la volontà di rappresentare nello specifico quei cittadini e quel territorio.

    Originariamente, nella Prima Repubblica, l’Italia sceglieva i propri deputati con il sistema della preferenza multipla alla Camera e con collegi uninominali al Senato, in entrambi i casi all’interno di un sistema proporzionale. La fine di quel sistema politico e partitico portò a un nuovo sistema elettorale, il Mattarellum, che attraverso il meccanismo dei collegi uninominali sarebbe dovuto diventare, sul modello anglosassone, il nuovo strumento per costruire un rapporto tra eletti ed elettori. Uno strumento che tuttavia fu ben presto portato al naufragio dalla stessa classe politica che ne avrebbe dovuto e potuto fare tesoro.

    La legge elettorale, agli occhi di molti un astruso tecnicismo, ma nei fatti le “regole del gioco” attraverso cui vengono eletti i nostri rappresentanti che, ci piaccia o meno, influenzano attraverso le leggi e l’efficienza politica la nostra vita di tutti i giorni, si è trasformata in qualcosa da cambiare di volta in volta in base allo scontento di turno in maniera quasi schizofrenica. Una serie di cambiamenti, oltre a diversi interventi della Corte Costituzionale, hanno portato a un’ulteriore confusione che ha contribuito ulteriormente ad allontanare eletti ed elettori. Il tutto ha probabilmente toccato l’apice con il famigerato Porcellum, la legge modificata d’autorità dalla Consulta dopo essere stata usata in tre diverse elezioni in cui i cittadini dovevano limitarsi a scegliere il simbolo, votando in automatico liste chilometriche da decine di candidati bloccati, rendendo quanto meno complesso al cittadino informarsi su ciascuno di loro, le proprie idee e il suo operato.

    Se per l’elettore era divenuto difficile capire chi stesse votando, dal lato dei partiti non vi era più particolare interesse a scegliere persone in grado di ottenere un ampio consenso in specifici contesti territoriali, e con la maggior parte degli elettori che si limitava a scegliere il simbolo, dunque il partito nazionale senza badare più di tanto ai candidati alla Camera e al Senato, ecco che l’interesse principale diventava quello di riuscire a mettere più fedelissimi del leader di turno. Con gli elettori che sempre di più hanno preferito dare spazio ai leader e gli eletti che sempre meno hanno avuto necessità di una campagna casa per casa nel territorio, questo rapporto è andato scollandosi, favorendo l’ascesa dei leader come Renzi, Salvini e Di Maio e una decadenza della classe dei parlamentari. E se oggi un bel pezzo del Parlamento ha deciso di votare per il proprio taglio, forse è anche per la consapevolezza di un processo che troppe volte ha messo da parte la coscienza critica del parlamentare, cui il leader di turno ha preferito uno yes-man che creasse pochi problemi. Senza che un candidato possa costruire un rapporto reale con l’elettore, fatto di campagna e costruzione della fiducia nel territorio, questo è l’unico risultato possibile.

    Ma come si fa, oggi, a porre la questione di una modifica in qualsiasi senso della composizione del Parlamento se non abbiamo idea di come permettere a noi poveri elettori di partecipare e di scegliere una classe dirigente per il Paese, un sistema che ci permetta di avere un reale rapporto con gli eletti? Ormai dal referendum non si può tornare indietro, ma quale che sia il suo esito sarà fondamentale che dal 22 settembre la Politica non si nasconda e affronti chiaramente questo punto chiave della nostra democrazia.

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