Cinque anni fa il suo nome non diceva nulla a nessuno, ma adesso è uno dei politici più famosi e si candida a diventare il più giovane presidente del Consiglio della storia d’Italia.
Questa notizia puoi leggerla direttamente sul tuo Messenger di Facebook. Ecco come
Luigi Di Maio, 31enne di Pomigliano d’Arco (anche se è nato ad Avellino), è passato in questi pochi anni da simbolo dei candidati “sconosciuti ma onesti” del Movimento Cinque Stelle a volto noto, così come il suo movimento è passato da forza politica che faceva della sua inesperienza rispetto alla “casta” un cavallo di battaglia a partito che ha schierato nelle sue liste professori ed economisti.
È la naturale evoluzione politica che alcuni vedono come una maturazione e altri come una perdita della propria identità, e sulla cui efficacia potranno esprimersi solo gli elettori. E così Di Maio, che c’era nel Movimento Cinque Stelle di prima e c’è anche in quello di adesso, rappresenta meglio di molti altri questo percorso.
Criticato dai rivali per un curriculum considerato non all’altezza per guidare un paese, fatto di esperienze come webmaster e steward allo stadio San Paolo di Napoli, oggi viaggia nella City londinese, centro dell’economia europea, dove incontra gli investitori affiancato da Lorenzo Fioramonti, professore di economia “anti-Pil” all’Università di Pretoria e candidato con i Cinque Stelle.
Nonostante questo, Di Maio ci tiene a far vedere che l’approccio del Cinque Stelle non è cambiato. Lo si vede guidare tranquillamente l’auto, senza autisti di alcun tipo, nel video in cui col sottofondo di “Finché la barca va” di Orietta Berti annuncia di aver finito gli eventi di Torino ed essere in viaggio per Aosta.
Nel suo mostrarsi un cittadino comune – seppur sempre vestito di tutto punto, con giacca e cravatta sartorialmente impeccabili – Di Maio ha visto come rivale naturale Silvio Berlusconi, il miliardario e magnate, che si distacca nettamente da questa immagine.
Che Di Maio veda come rivale Berlusconi – e non Renzi – lo ha mostrato chiaramente dopo le regionali in Sicilia.
In quell’occasione aveva dato disponibilità a un confronto pubblico nello studio di DiMartedì contro il segretario del PD, ma dopo il voto – che vide i democratici in terza posizione dietro al vincitore Musumeci, di centrodestra, e il pentastellato Cancelleri – il vicepresidente della Camera si tirò indietro, tacciando Renzi di non essere più il leader del suo partito e il PD di non essere più competitivo per vincere.
Nei sistemi politici con tre poli, come è attualmente l’Italia, il rischio è sempre che uno dei tre resti un po’ più indietro rispetto agli altri, portando molti suoi potenziali elettori a preferire una sorta di voto utile, e Di Maio, compresa questa tendenza, ha provato a marginalizzare il PD, riducendolo a qualcosa di simile al Patto Segni delle elezioni del 1994.
Di Maio ripercorre in qualche modo molte preoccupazioni e speranze della recente storia italiana. La mancata laurea, i lavori saltuari, sono problemi che colpiscono molti giovani e che permettono dunque a molte persone di potersi identificare con lui.
Ma se la volontà di vincere non manca, il rischio del Movimento Cinque Stelle è quello di passare come una forza che non si accorda mai con le altre, cosa che con l’attuale sistema elettorale potrebbe significare l’impossibilità di governare.
Non è casuale, infatti, il cambio dello statuto pentastellato, che ha aperto alla possibilità di accordi con altre forze, ma purché ciò non significhi rivedere il proprio programma.
Un’apertura piccola ma significativa, che forse fa parte di questo processo di cambiamento del Movimento Cinque Stelle. Resta da vedere se gli elettori lo percepiranno come un tradimento dei valori originari o come una maturazione.
Leggi l'articolo originale su TPI.it