Pnrr tra inefficienze e ritardi di spesa
«Il Pnrr è la sfida più grande per il Governo e per l’Italia», ha dichiarato la scorsa settimana la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, aprendo i lavori della riunione – la prima sotto l’egida del nuovo esecutivo – della cabina di regia sul Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. Meloni ha poi lanciato una stoccata al suo predecessore Mario Draghi: «In termini di spesa il Piano sconta alcuni ritardi».
In effetti, a dispetto dei proclami sulle efficienze di Super Mario, i numeri danno ragione alla neo-premier. Nel 2021 è stato speso meno di un terzo di quanto era stato preventivato, mentre il 2022 dovrebbe chiudersi con un utilizzo delle risorse europee dimezzato rispetto alle previsioni. Colpa di zavorre burocratiche e limiti strutturali che il nostro Paese si porta dietro da decenni e che nemmeno il “Governo dei migliori” ha saputo sanare.
Pnrr: quanto ha incassato finora l’Italia
In base all’accordo raggiunto due anni fa con la Commissione europea, il Pnrr dovrebbe drenare complessivamente per l’Italia 191,5 miliardi di euro entro il 2026, di cui 68,9 a fondo perduto e 122,6 sotto forma di prestiti. Questo tesoretto è spalmato in più rate periodiche, il cui pagamento viene di volta in volta sbloccato da Bruxelles a condizione che la tabella di marcia del Piano venga effettivamente rispettata.
Finora, da questo punto di vista, siamo stati impeccabili: i traguardi e gli obiettivi che erano stati fissati – 51 per il 2021 e 45 per la prima metà del 2022 (si parla di aggiudicazione di appalti ed entrata in vigore di nuove normative) – sono stati tutti centrati. L’Europa ci ha così versato le prime due rate da 21 miliardi di euro ciascuna, che si sono aggiunte al prefinanziamento da 24,9 miliardi concessoci nell’agosto 2021. Totale incassato: 66,9 miliardi.
Entro la fine di quest’anno dovranno essere soddisfatte altre 55 condizioni: il Governo Draghi puntava a centrarne 29 prima di novembre, ma secondo l’Osservatorio del Sole 24 Ore per il momento siamo solo a 21 “raggiunte”, più 11 “vicine”, 21 “in linea” e 2 “lontane”.
Se ce la faremo, all’inizio del 2023 la Commissione staccherà un altro assegno da 19 miliardi di euro. Ma avere i soldi in tasca non basta a rilanciare un Paese: bisogna anche essere capaci di spenderli (e ovviamente di spenderli nel modo giusto, ma questo è un altro discorso, che riguarda il merito dei progetti previsti dal Pnrr). E qui, ahinoi, vengono le note dolenti.
Pnrr: corsa al rinvio
Le tabelle del Ministero dell’Economia sul Next Generation Eu parlano chiaro: siamo in forte ritardo. Per il biennio 2020-2021 – vedi il Documento di Economia e Finanza (Def) dello scorso anno – l’allora ministro Daniele Franco aveva previsto di spendere 18,5 miliardi di euro: ebbene, ne sono stati utilizzati appena 5,5. Discorso analogo per il 2022 (vedi il Def dello scorso aprile): dei 29,4 miliardi di euro preventivati per l’anno in corso, ne spenderemo solo 15 (lo dice la Nadef, la Nota di aggiornamento al Def).
Ciò significa che nei primi tre anni di messa a terra del Pnrr, abbiamo impiegato complessivamente 20,5 miliardi di euro a fronte dei 47 programmati dal Governo. Attenzione: quei 26,5 miliardi di mancate attuazioni non andranno persi, il loro utilizzo è semplicemente rinviato ai prossimi anni. Ad esempio, per il 2025 era prevista originariamente una spesa di 34,2 miliardi, che – alla luce di questi ritardi – dovrà per forza di cose salire a 47,7.
Come sottolinea il Centro Studi di Confindustria in un suo rapporto sul Pnrr, intitolato “A che punto siamo?” e firmato da Francesca Mazzolari e Stefano Olivari, «purtroppo la Nadef non riporta informazioni utili né per individuare le voci di spesa rinviate, né la nuova composizione di spesa per ciascun intervento in ciascun anno. Però è plausibile che lo slittamento dei progetti non realizzati nel 2020-2022, abbia a sua volta fatto slittare alcuni progetti del 2023 agli anni successivi».
«Nel complesso – scrivono i ricercatori di Confindustria – l’entità del rinvio è preoccupante, se si pensa che il ritardo di spesa da parte dello Stato implica che queste risorse arriveranno ai soggetti attuatori del Piano (tra cui gli enti locali) e ai beneficiari finali delle misure (tra cui le imprese) più tardi del previsto e insieme alle altre risorse che si era programmato di spendere in quegli anni».
Non è da escludere che alcuni investimenti non siano stati ancora adeguatamente rendicontati o che per alcuni progetti fosse stata prevista una spesa rivelatasi poi sovrastimata. Tuttavia queste eventualità da sole non bastano a spiegare la mancanza all’appello di più della metà delle spese previste.
A scontare gli effetti di queste inefficienze rischia di essere soprattutto il Sud Italia, a cui è destinato il 40% delle risorse del Pnrr. L’ultima relazione della Presidenza del Consiglio dei ministri sul rispetto di questo «vincolo di destinazione» avverte: dei progetti destinati al Mezzogiorno, 15 miliardi di euro sono già identificabili a rischio “alto” o “medio-alto” di tenuta: si parla cioè di interventi per i quali il vincolo di destinazione territoriale non è previsto o non è associato a clausole di salvaguardia. E «massima attenzione – si legge nella relazione – dovrà essere prestata alle misure ancora da attivare (37,2 miliardi di euro) e alle risorse derivanti da economie o residui non impegnati».
Pnrr: appalti deserti per gli extracosti
Ma non c’è solo la burocrazia a rendere complicata l’attuazione del Pnrr. Ancora secondo il Centro Studi di Confindustria, «permangono rischi e incertezze legati al deterioramento della congiuntura economica»: in particolare, «i rincari, soprattutto dell’energia, possono non rendere conveniente alle imprese partecipare alle gare di appalto, lasciando di fatto alcuni progetti irrealizzabili»; diverse gare sono già andate deserte, ad esempio alcune relative ai progetti del 5G.
«Si è provveduto a modificare certe condizioni di gara, ma in alcuni casi ciò ha comportato ritardi nell’attuazione», si legge nel rapporto di Viale dell’Astronomia. Inoltre «la carenza di alcuni materiali può rendere concretamente difficoltoso realizzare alcuni investimenti nei tempi previsti». Secondo l’Ance (l’associazione confindustriale delle imprese edili) fra penuria di materiali e inflazione, dall’inizio del 2022 i costi per le aziende del settore sono lievitati del 35%.
«Sarebbe auspicabile – scrive Confindustria – riadeguare i prezzi delle gare con finanziamenti reperiti o a livello nazionale (a partire dalla prossima Legge di Bilancio) o a livello europeo (per esempio nell’ambito del RePowerEu)». Lo scorso maggio il Governo Draghi è intervenuto stanziando 9 miliardi di euro per compensare gli extracosti del Pnrr, ma per il 2023 – durante il quale è prevista al momento una spesa di quasi 41 miliardi – il neo-ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, avrebbe già fatto sapere che nella prossima finanziaria difficilmente ci sarà spazio di manovra per un ulteriore stanziamento.
Come noto, la premier Meloni è determinata a rivedere i contenuti del Piano, correggendo alcuni capitoli di spesa e magari ripensando certi progetti che non siano indispensabili. Modifiche su cui la Commissione europea non sembra però disponibile a fare concessioni. «Il Pnrr – ha messo in guardia Meloni nel suo primo discorso da presidente del Consiglio, davanti al Parlamento – è un’opportunità straordinaria di ammodernare l’Italia: abbiamo tutti il dovere di sfruttarla al meglio». Ne saremo capaci?
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