Pillon (Lega) contro la sentenza sul suicidio assistito
Non usa mezze misure il senatore della Lega Simone Pillon per criticare la storica sentenza della Consulta sul suicidio assistito arrivata ieri, 15 settembre, con la quale è stato stabilito che non è sempre punibile chi aiuta un’altra persona a togliersi la vita. Il parlamentare del Carroccio, ultraconservatore, sostenitore di una politica che porti ad aborti pari a zero e di alcune teorie del complotto sull’identità di genere, in un post su Facebook ha condannato il verdetto della Corte Costituzionale accusando i giudici di sostituirsi al Parlamento, al legislatore.
Pillon: “La Consulta apre la strada al suicidio di Stato”
“La Consulta ha di fatto aperto la strada al suicidio di Stato, scavalcando le prerogative del parlamento e sostituendosi al legislatore”, è il messaggio pubblicato sul social network ha Pillon. “È sconcertante – ha continuato il senatore leghista – che decisioni tanto delicate siano prese a colpi di sentenze. La vita umana è sacra e inviolabile. Ci batteremo perché le persone malate o in situazioni di sofferenza non siano mai tolte di mezzo ma possano in ogni situazione avere sostegno, supporto e terapie antidolore per poter lasciare serenamente questa vita senza esser costretti a suicidarsi”. “Qualcuno – ha concluso Pillon – porterà per sempre questa decisione sulla coscienza”.
La vicenda su cui si è espressa la Consulta riguardava anche il caso di Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni, finito sotto processo con il rischio di una condanna fino a 12 anni di carcere per istigazione al suicidio, per aver accompagnato il 40enne cieco e tetraplegico Fabiano Antoniani, nome d’arte Dj Fabo, a morire in Svizzera. La Corte Costituzionale era chiamata ad esprimersi in particolare sulla costituzionalità dell’articolo 580 del codice penale, una norma che mette sullo stesso piano aiuto e istigazione al suicidio, con la reclusione sino a 12 anni.
Nella sua sentenza sul suicidio assistito la Consulta ha ribadito come ora resti “indispensabile” l’intervento del legislatore. La Corte Costituzionale un anno non si era espressa sollecitando inutilmente il Parlamento ad approvare una legge. I giudici avevano sospeso per undici mesi la loro decisione sull’articolo 580. Ma un provvedimento non è arrivato.