Piazzavano i raccomandati anche tra i posti riservati ai disabili. Una vergogna assoluta. E la politica che doveva vigilare su tutto questo, che secondo i magistrati sosteneva la sua candidata e dava indicazioni su come eludere le indagini, esprime “profondo stupore”. Fantastico, Ovviamente parliamo di sanità.
Da due diverse notizie di cronaca di queste ore emerge uno spaccato devastante sul mondo della cura in italiana: da un lato i poveracci che spaccano le braccia e le gambe a colpi di mattone per incassare le finte invalidità.
Dall’altro le (presunte) classi dirigenti che in Umbria fanno i curriculum in coriandoli, trafficano con le buste dei concorsi, massacrano il merito per piazzare i raccomandati nelle caselle chiave.
Davvero esemplare, da questo punto di vista, il dialogo fra il direttore dell’azienda sanitaria di Perugia Emilio Duca e un suo interlocutore, mentre si lamentano per il numero eccessivo di richieste di raccomandazione ricevute (tutti questi materiali sono contenuti nello sterminato atto d’accusa di 500 pagine firmato dal procuratore Luigi De Ficchy insieme ai sostituti Paolo Abbritti e Mario Formisano).
È il 10 maggio 2018, e parlando delle pressioni del sottosegretario Gianpiero Bocci, Duca sbotta ridendo: “Eh, gliel’ho detto, dico ‘I posti già son finiti!””. Poi aggiunge che gli stessi politici dovrebbero fare una selezione: “Anche loro devono dire ‘Questo si e questo no!’”.
E quindi riferendosi alla governatrice Catiuscia Marini: “Se mi chiama o mi manda giù Valentino… dopo che facemo ?… Casomai tocca bocciarli! Con delle prove tocca farli fuori! Glielo dicemo!”.
Una lingua orribile, ridanciana, sporcata dal gergo e dal dialetto. Ma terribilmente chiara. Quelli da far fuori erano i concorrenti leali, quelli senza protettore. Lo stesso ineffabile Duca (oggi agli arresti) viene intercettato mentre scorre i fascicoli con le biografie dei candidati sul suo tavolo: “E questo che è?”, si domandò il 18 giugno scorso il direttore generale degli Ospedali di Perugia: «Ah, i curriculum… è meglio che li strappiamo così vengono qua e li sequestrano… fosse mai!”.
Detto fatto. Quei fogli finiscono in pezzi, ma la prova rimane. La vergogna nella vergogna sono le lottizzazioni sui posti delle cosiddette categorie protette, cioè i disabili.
Il 4 maggio 2018 il principale collaboratore di Duca, Maurizio Valorosi gli dice, parlando dei politici che vogliono piazzare i loro protetti: “Devono fare un ordine di priorità”. E Duca svela l’identità degli sponsor proprio parlando con con il suo direttore amministrativo (arrestato anche lui): “Io ce l’ho dentro la borsa perché c’ho anche i nomi; uno ce l’ ha Barberini, uno ce l’ ha la Marini…”.
Valorosi ne aggiunge altri: “Quella di Bocci, che so’ andati a cena, la nipote di Conti (esponente locale del Pd legato a Bocci, ndr )..”. E qui si passa alla governatrice umbra, quella che ancora ieri diceva: “Se fosse vero quello che sta emergendo…. mi sentirei tradita”.
A quanto emerge, la prima persona da cui si deve sentire tradita è se stessa. I magistrati scrivono che dei quattro posti per assistenti contabili nella categoria C (sempre i famosi disabili) messi a concorso nel 2018 dall’Azienda ospedaliera di Perugia, tre furono assegnati ai candidati segnalati da altrettanti “esponenti politici di elevata caratura”, che comunicarono “tracce riservate” e poi “domande che dovevano restare segrete”.
Tra questi, secondo l’accusa della procura di Perugia contenuta nella richiesta dei pm, ci sarebbe stata anche la presidente della Regione Umbria. Per gli altri candidati, i comuni mortali, i cittadini semplici (97 le persone ammesse) non esisteva nessuna chance. I famosi curriculum di carta straccia da fare a coriandoli.
Ma – secondo la ricostruzione orrorifica dei pm – anche il quarto nome fu pilotato, nientemeno che dalla stessa Marini: “Ce l’ hai tutte? Ha da fa la selezione” chiede la presidente, in un dialogo intercettato il 10 maggio (ben sei giorni prima della prova scritta!).
La Marini si sta rivolgendo proprio a Duca, direttore generale dell’azienda, e si riferisce – scrivono i magistrati – alle tracce che il manager si è appena procurato, violando ogni procedura.
La persona alla quale la presidente si riferisce cercando di sostenerne la candidatura in ogni modo, è una certa A.C. Si tratta della nuora di un ex funzionario della Legacoop Umbria che sarebbe stata segnalata alla governatrice dalla vedova di quest’ultimo.
Duca, come documentano i magistrati con immagini riprese nel suo studio dalle microspie collocate (simulando un finto incidente), riceve gli argomenti delle prove scritte da Rosa Maria Franconi, presidente della commissione d’esame al mattino. “La figlia di…. mettetela dentro, non lo so…” dice la Marini nel dialogo con il direttore.
La presidente, spiegano i magistrati, “chiede a Duca se gli può mandare la Marisa a prendere le domande da consegnare alla candidata”. Però le sembra che il direttore tentenni. E così la Marini, raccontano i magistrati “chiama il suo consigliere politico” e gli chiede “di mettere le tracce della prova scritta in una busta e di portarle a Marisa, quella della Legacoop”.
Il motivo è evidente: per farle avere alla candidata, e per aiutarla a vincere. Ed ecco la chiamata della Marini al suo braccio destro, Valentino Valentini: “Valentì! La Marisa, quella della Coop… le devi portare sta cosa la figlia di Fascini (…) mettetelo in una busta”.
Il senso dell’operazione diventa evidente quando più tardi Duca parla a Valentini: “Hai sentito che questa partecipa alla selezione perché c’ha la prova mercoledì? La prova è scritta me raccomando eh! Ha da piglià un appunto!”. Alla fine Duca rassicura la governatrice: “sta tranquilla. C’ha cinque giorni di tempo, perlomeno, fa lo scritto”. Ovvero: ha il tempo di prepararsi, e di riuscire almeno in quella prova.
Ecco il motivo per cui, prima ancora che si celebrassero le prove d’ esame, Duca dichiarava spavaldo: “I posti sono già finiti!”. Nella loro ordinanza i magistrati ricostruiscono così i nomi dei vincitori, proclamati il 25 giugno.
Sono i candidati “sponsorizzati” secondo i pm oltre che dalla Marini, da Maurizio Valorosi, direttore amministrativo dell’azienda e da Marco Cotone, segretario regionale Uil Fpl, da Giampiero Bocci, segretario regionale del Pd, e da Moreno Conti, componente della direzione regionale dem.
La cosa davvero incredibile è che la Marini, che ieri si incontrava con la ministra Grillo promettendo nuove nomine “in 24 ore”, non solo parlava con Duca per far assumere la famosa Anna C.
Ma incredibilmente, nelle conversazioni intercettate dalla procura di Perugia, molto preoccupata per le intercettazioni in corso, la governatrice dava istruzioni al direttore generale su come cancellare i messaggi dal suo telefonino.
Intanto il sottosegretario Bocci, anche lui dello stesso gruppo dirigente del Pd, secondo i magistrati avvisava gli indagati che erano sotto inchiesta. Ancora più surreale il “tutorial” che la presidente offre al suo direttore sanitario proprio sulle intercettazioni.
Il manager – scrivono i pm – “si lamenta con la Presidente di non riuscire a cancellare dal proprio telefono un messaggio ricevuto. Al che la Marini sembra preoccupata di sapere cosa c’è scritto e cerca di aiutarlo nella sua eliminazione”.
Non solo: la presidente, evidentemente molto esperta in materia, avverte Duca sulle modalità di intercettazione dei messaggi da remoto tramite “captatore”. Dice la governatrice a Duca: “A remoto leggono il whatsapp, leggono tutto dal remoto”.
È sempre lei, dunque, stando alle intercettazioni, a dire al direttore generale come fare per evitare di beccarsi un virus spia dalla Procura. Meraviglioso.
Scrivono giustamente i magistrati, a conclusioni del proprio lavoro, che i manager indagati “attraverso l’ occupazione dei posti chiave all’ interno dell’Azienda ospedaliera, hanno ottenuto un capillare controllo dei concorsi banditi dalla struttura o dall’Asl Umbria uno, distorcendo completamente il regolare svolgimento delle procedure”. Senza dubbio.
Ma di fronte a tutto questo la Marini cosa fa? Affida questa mattina ai suoi avvocati una nota in ostrogoto burocratese che fa venire i capelli bianchi.
Leggetela: “Con riferimento al contenuto di articoli di stampa pubblicati questa mattina e tutt’ora in corso di divulgazione sui siti internet che riguardano, nella sua persona, la Presidente Catiuscia Marini esprime – scrive l’avvocato della presidente della regione Umbria – un profondo stupore e più di qualche perplessità”.
Una qualche perplessità. Su cosa? Mistero. “Profondo stupore”: su cosa? Non si riconosce nelle parole che sono state trascritte? C’è un equivoco? Contesta la veridicità degli atti? L’interpretazione? Altro mistero.
Dopodiché l’avvocato aggiunge: “La delicatezza della vicenda, che ha interessato importanti àmbiti della sanità regionale ed alcuni suoi vertici, induce alla massima cautela ed al più assoluto rispetto non solo delle persone, a vario titolo coinvolte, ma anche dell’Autorità che sta conducendo le indagini, verso cui si rinnova una piena ed incondizionata fiducia”.
Stupisce davvero che la Marini non senta il bisogno di parlare con la sua voce, di difendersi, di rispondere alle domande dei giornalisti, di spiegare se era vero o no quello che i magistrati ipotizzano nelle carte che la riguardano.
Se si sente vittima di una qualche distorsione dovrebbe metterci perlomeno la faccia. Invece scrive – anzi fa scrivere il suo avvocato – con una prosa da azzeccagarbugli pensando unicamente a fare catenaccio difensivo.
Ma data la gravità di quello che sta emergendo, secondo me, questo atteggiamento, di fronte all’opinione pubblica, è già una scelta che le fa meritare le dimissioni. O si ha il coraggio di dire: “Sono innocente, non è vero nulla”, oppure si va a casa.
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