Una coalizione tra Pd e Movimento 5 Stelle sarebbe uno scherzo della natura
Dopo anni di “pidioti”, “grullini”, “ladri di bambini”, “scappati di casa” e molte altre espressioni non proprio amichevoli, Partito Democratico e Movimento 5 Stelle oggi governano insieme e sperimentano alleanze locali sotto forma di “coalizioni civiche” per le prossime elezioni regionali. E c’è chi, come l’esponente di punta dem, Goffredo Bettini, ipotizza in un’intervista sul Corriere della Sera un “rapporto strategico” con il cartello elettorale della Casaleggio Associati “per candidarsi insieme a governare il Paese”.
Il dibattito è aperto in entrambi i partiti con molteplici sfumature di pensiero. Andrea Romano, intervistato da Radio Cusano Campus, la butta sul sentimentale: “L’alleanza va messa alla prova. Non ci vuole un matrimonio riparatore, non è che dobbiamo correre all’altare, ci vuole un fidanzamento, una convivenza e poi eventualmente un matrimonio”. Insomma, più che una strategia politica una puntata di “C’è posta per te”.
Decisamente più cauti gli esuli renziani, che pur non chiudendo del tutto all’ipotesi tirano il freno a mano: “Prima vediamo come va l’esperienza di governo e come andranno le elezioni in Umbria”, dice Alessia Morani. Guardando i sondaggi che girano sull’Umbria quello della Sottosegretaria al Ministero dello Sviluppo Economico sembra un calcolato “no”, ma nella terra dei miracoli di San Francesco tutto può succedere e gli operosi ceti produttivi della regione potrebbero non gradire troppo l’idea di spogliarsi di tutti i loro averi e di aprire una moderna Guerra del Sale con Roma.
È più duro il capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci, il renzianissimo che con gli occhi gonfi di lacrime ha scelto di restare al Nazareno e di non seguire Matteo nella nuova avventura di “Italia Viva”, partito politico che rischia seriamente di ritrovarsi un logo che richiama una marca di sapone intimo o di assorbenti con le ali. Commentando il trattamento che i militanti 5 stelle hanno riservato a Napoli al giornalista delle Iene Filippo Roma, Marcucci ha detto: “Chi parla in questi giorni di alleanza organica senza se e senza ma con il M5S faccia i conti anche con questi atteggiamenti vergognosi”.
Sull’altro fronte, tre linee di pensiero. La più “dura e pura” è quella dall’esiliato Alessandro Di Battista, figura sempre più marginale del Movimento che oggi si divide tra un corso di falegnameria a Viterbo, l’organizzazione di viaggi in posti lontani da raccontare come travel blogger e un libro su Bibbiano che probabilmente dovrà mandare al macero. Nell’ultimo post su Facebook, datato 19 settembre, scrive: “Il Pd è un partito ‘globalista’, liberista, colluso con la grande imprenditoria marcia di questo Paese, responsabile delle misure di macelleria sociale che hanno colpito i lavoratori italiani”.
Salvo crisi mistiche che potrebbero sovvenire nel suo prossimo viaggio in India, il suo netto “no” al matrimonio sembra abbastanza scontato. Abbiamo poi poi i possibilisti, con varie sfumature che vanno da “In questo momento secondo me non ci sarà alcun dibattito sull’alleanza organica con il Pd” (Luigi di Maio) a “Vedremo man mano, rispetto chi si mette in gioco” (Paola Taverna). Chi invece spinge per lo scambio di fedi è il comico-leader Beppe Grillo, che festeggiando i dieci anni del Movimento ha strigliato i militanti a modo suo: “basta con i piagnistei sull’alleanza con il Pd – ha detto all’Arena Flegrea – Non voglio che rimanete qui a dire sempre Pd, Pd… stavolta vaffa** a voi!”. E Casaleggio? Il presidente dell’Associazione Rousseau taglia corto e liquida la questione con un “non me ne occupo”, forse in attesa di capire cosa ne pensano i big data.
In verità, una coalizione politica tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle sarebbe uno scherzo della natura, per non dire “una cagata pazzesca”, citando la nota battuta di un film, perché si fonderebbe su un assunto sbagliato, ovvero che il partito-azienda della Casaleggio Associati sia una scheggia impazzita della sinistra. Così non è, anche se molti ex elettori di sinistra – per protesta o per momentanea fascinazione – hanno votato in passato Movimento 5 Stelle o ancora lo votano per mandare l’ennesimo “segnale” al Pd (sempre meno, i secondi).
Altra cosa sono i patti elettorali in regioni dove questo è possibile o un accordo di governo imposto da una legge proporzionale, che non prevedono una sintesi politica tra opposti. Pd e Movimento 5 Stelle su questioni chiave sono, infatti, come il giorno e la notte. Partiamo dalla più macroscopica: l’idea della rappresentanza.
Da una parte la democrazia rappresentativa, la centralità del Parlamento come unica e imprescindibile sede in cui si materializza la sovranità popolare: gli “onorevoli” che vestono dell’onore e dell’onere di rappresentare lo Stato su delega dei cittadini; dall’altra la Piattaforma Rousseau e la cosiddetta “democrazia diretta”: i “portavoce” dell’illusorio “uno vale uno” che si tagliano lo stipendio come fosse un maltolto da restituire, perché politica è “casta”, anche quando i politici sono loro.
Anche la forma dei due partiti è plasmata su questa opposta visione: da una parte quella novecentesca del partito del Nazareno, con le sue assemblee, i suoi circoli, i suoi riti ridondanti, le sue correnti, dall’altra il partito-azienda, i provini per scegliere i frontman, lo staff della comunicazione che detta i comunicati a ministri, sottosegretari, deputati e senatori. Altra incompatibilità di fondo è su capitoli enormi come i diritti civili, la gestione dei flussi migratori, il lavoro, l’economia, le stesse politiche ambientali dove pur partendo da comuni sensibilità i due partiti vertono su soluzioni spesso incompatibili.
È vero che il Movimento 5 Stelle, partito post-politico più che post-ideologico, può cambiare radicalmente posizione su tutto, come è vero che in entrambi i soggetti politici esistono variegate “anime”: ma per Luigi Di Maio (ad oggi capo politico del M5S) e per gran parte dei suoi elettori le Ong che salvano esseri umani nel Mediterraneo sono “taxi del mare”, mentre per chi ha una sensibilità di sinistra (anche la più annacquata) sono organizzazioni eroiche.
Impensabile al momento un accordo sullo Ius Culturae, sia per contrarietà di buona parte dei 5stelle che per i timori di una parte del Pd di “regalare voti” a Salvini, come se la non approvazione dello Ius Soli, nella scorsa legislatura, avesse portato i dem al 40 per cento.
E ancora: per il Pd il “reddito di cittadinanza”, misura bandiera del M5S, è una sorta di inutile e costosa paghetta che toglie soldi alle politiche di crescita che potrebbero portare nuova occupazione, per il Movimento 5 Stelle bisogna riciclare il 100 per cento dei rifiuti e guai a parlare di termovalorizzatori: il demonio al pari delle grandi opere pubbliche.
Si potrebbe continuare a lungo, ma in sintesi, la differenza più grande tra i due partiti è nell’idea di fondo di rapporto con il popolo. Da una parte il movimento nato dai “vaffa day” di Beppe Grillo e dalle teorie di Gianroberto Casaleggio, dove i movimenti di pancia hanno il sopravvento su una qualsiasi idea politica materializzandosi nel partito più populista d’Europa, un populismo che è anticamera del pensiero di destra più estremo, come ha dimostrato il massiccio travaso di voti da M5S a Lega in appena un anno di governo “gialloverde”. Dall’altra la presunzione – oggi più utopica che in passato, visto il livello del personale politico e i tanti “tradimenti” degli ultimi decenni – di poter “parlare e cambiare le teste”.
Spiace dover smontare il romanticismo di Andrea Romano, ma Pd e Movimento 5 Stelle sembrano un po’ quegli “amici di letto” che si frequentano quando si è single e non c’è qualcuno più bravo sotto le coperte con cui andare al mare la domenica. Amici con cui si può fare una cosa sola, che non è certo condividere l’esistenza. Amici che fa piacere non ritrovarsi nel letto la mattina dopo.