Da qui ai prossimi giorni si aprirà la cruciale partita per le nomine delle partecipate. Aziende che molto spesso valgono ben più di un ministero. Con Roberto Garofoli il ruolo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio è tornato ad essere centrale negli snodi del potere: è lui che Mario Draghi incarica per la preparazione dei vertici e per le decisioni più importanti. Ed è lui l’ufficiale di collegamento con l’altro grande decisore delle partite che contano: Daniele Franco, ministro dell’economia.
Ma la partita delle nomine sarà il primo vero banco di prova per la “triade” Di Maio-Giorgetti-Franceschini. Che, a quanto si dice negli ambienti del Deep State, quello “stato profondo” sempre molto bene informato, sarebbe già al lavoro. Di più, avrebbe iniziato a studiare una nuova architettura possibile.
In scadenza, tra le grandi, ci sono Saipem e Cdp (qui la sfida è tra Palermo che punta alla riconferma e Scannapieco, fedelissimo di Draghi e Franco) ma a restare in bilico è ancora Leonardo, visto che le vicende giudiziarie potrebbero costringere i vertici a rassegnare le dimissioni (in ballo c’è anche il Nos, il Nulla Osta Sicurezza).
Poi il Gse, sottovalutato da molti ma strategico per il futuro del Paese. La partita è aperta e chi pensa che la politica sia rimasta a guardare commette un grande errore di misura. I partiti sono allo sbando e navigano a vista, è vero, ma lo erano anche un anno fa. La grande novità è nel numero dei timonieri. E Draghi non potrà non tenerne conto.
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