Paola Taverna università | Il professore di Scienze politiche che aveva appena finito l’esame alla studentessa privatista cinquantenne e fuoricorso era rimasto per un attimo perplesso, ma non aveva detto nulla. Poi, solo dopo aver comunicato il voto a quella madre, tornata in tarda età sui libri, le aveva detto: “Mi scusi, non volevo fare la domanda prima che l’esame fosse finito per non imbarazzarla. Ma è possibile che io ieri l’abbia vista in tv durante un dibattito parlamentare al Senato?”.
È stato a quel punto che la studentessa fuoricorso ha sospirato e ha risposto: “Sì, è possibile, che lei mi abbia visto. Anche perché a dire il vero io quella seduta io la presiedevo…”.
L’aneddoto accompagna in modo divertente una notizia. La signora fuoricorso è Paola Taverna, vicepresidente del Senato, la più nota pasionaria a Cinque Stelle, che proprio in questi giorni – quasi in segreto – si sta laureando in Scienze politiche.
È una storia di esami studiati di notte, tra un turno di seduta e una maratona parlamentare, e una corsa a prendere il figlio (17enne) e un ritorno nella casetta (cinquanta metri quadri) ad un passo dal Raccordo anulare.
La Taverna ha scelto l’Indirizzo in scienze dell’amministrazione e dell’organizzazione. E sta facendo una tesi sul reddito di cittadinanza e sul salario minimo. Addirittura, in queste ore, è preoccupata dal possibile voto su una riforma retributiva e ci ride sopra dicendomi: “Sono in conflitto di interessi. Se approviamo il salario, da parlamentare festeggio, ma da studente devo rimettere mano al testo!”.
I paradossi dello studente che lavora sul contemporaneo dentro un’aula parlamentare sono molti. Alla vicepresidente del Senato oggi mancano solo due esami, e sta preparando economia aziendale. Ha una media del 28. Anzi, come dice lei ridendo, mentre consulta il libretto elettronico sul telefonino: “Sono al 27.67: me so’ allargata un po’”.
Un cursus honorum accademico che era costellato di 30, infatti, è stato zavorrato da un malefico 23 in Istituzioni di diritto pubblico. Commento Tavernesco: “Quanto ho rosicato!”. Racconta ancora la senatrice: “Non ho risposto bene alle prime domande, e avevo rifiutato il voto. Poi ho pensato: ‘No Paola, tu devi andare avanti, non te lo puoi permettere’. Il voto lo dovevo accettare”.
La Taverna – e qui la notizia diventa interessante – racconta che questo corso di studi per lei è stato una folgorazione: “Mi ha cambiato moltissimo”. L’esame di Diritto europeo, per esempio, le ha aperto gli occhi: “Studiando la materia – mi spiega – capisci che dietro l’Unione c’era una grande architettura, in parte snaturata. Ho corretto molte opinioni mie opinioni estremistiche, che non erano fondate su dati di fatto”.
Parole cariche di spirito severamente autocritico. In attesa della laurea, dunque, si può dire che questo corso di studi assume un significato simbolico che va oltre il caso personale. È un po’ come se sotto esame, insieme alla Taverna fosse finito tutto il Movimento, che cambia pelle e prova a crescere mentre governa, mettendo in discussioni antiche certezze.
Mentre mi mostra i suoi schemi riassuntivi ricordo alla senatrice che, prima di essere eletta, lavorava in un laboratorio di analisi a Cinecittà est. Chiedo: “Lei se finisce la legislatura non si potrà ricandidare più?”. Mi guarda come per dire: che domanda fai? E risponde: “Ovvio. Quella dei due mandati è una nostra regola”. Aggiungo: “Sa che non ritroverà nemmeno più il suo posto a Cinecittà?”. Sospiro: “Ci sarebbe tanto da dire. Ma ogni volta che mi preoccupo per il futuro – risponde la Taverna – mi ricordo di quando facevo la segretaria in una ditta di Arti grafiche. E basta questo per stare subito meglio”.
Allora le chiedo cosa pensi delle sue prospettive di lavoro dopo la laurea e dopo l’esperienza parlamentare, visto che si dovrà trovare un lavoro a cinquantaquattro anni, se non sia preoccupata. E lei mi ribatte così: “Se nel 2005, quando consegnavo le analisi ad un cliente, quello mi avesse detto che avrei presieduto l’Aula a Palazzo Madama avrei chiamato il 118”.
Conclude la senatrice: “Ora mi laureo. Poi perfeziono il mio inglese. Sono fiduciosa”. Allora aggiungo: “E poi?”. Un’altra pausa, un sorriso: “Sarò come una normale cittadina che dopo aver fatto cose straordinarie, in tempi di crisi si deve trovare un lavoro con i suoi mezzi”.
Qualcuno forse farà facili ironie su questa studentessa tardiva. Qualcuno forse proverà ammirazione. Ma il caso Taverna è un grande esperimento, su cosa succede dopo aver fatto il mestiere dopo il quale oggi è più difficile ricollocarsi: la politica. Solo il futuro ci dirà se le notti. Home sugli appunti di economia aziendale pagheranno davvero.